Elezioni tedesche – Troppo presto per una coalizione
La SPD ha vinto le elezioni tedesche con il 25,7%, in linea con i sondaggi e con 5 punti percentuali in più rispetto al 2017. Nonostante l’accelerata finale, la CDU ha ottenuto un risultato storicamente basso ed è arrivata solo seconda, con il 24,1%. I Verdi hanno ottenuto 6 punti percentuali in più rispetto alle ultime elezioni raggiungendo il 14,8%, ma hanno deluso rispetto ai sondaggi e alle loro aspettative. Con l’11,5%, i liberali di FDP hanno ottenuto per la seconda volta consecutiva un risultato a due cifre. Delle 5 coalizioni ora matematicamente possibili, Olaf Scholz della SPD sarebbe il cancelliere in 4 di esse, soprattutto nella coalizione semaforica SPD-Verdi-FDP. Solo lo scenario Giamaica (CDU/CSU, Verdi, FDP) vedrebbe Armin Laschet della CDU a capo del governo. 3 coalizioni presentano CDU/CSU e SPD (Grande coalizione, Kenia e Germania), ma al momento sembrano fuori discussione, dato che entrambi i partiti l’hanno escluso per un altro mandato. Alla luce del debole risultato della sinistra del 4,9%, una coalizione di sinistra rosso-verde-rosso non è più possibile.
Nella TV tedesca di ieri sera, i Verdi e la FDP sono stati rapidi nell’annunciare che si siederanno prima per discutere quale coalizione a tre con CDU/CSU o SPD preferiscono – dove sarà la FDP a fungere da ago della bilancia in quanto presente in ogni coalizione (a parte nella sola improbabile CDU/CSU e SPD). Naturalmente, i liberali di FDP preferiscono la coppia CDU/CSU e sono stati chiari nell’esprimere la loro preferenza per la coalizione Giamaica, mentre i Verdi di sinistra preferiscono la SPD. Le questioni chiave per qualsiasi configurazione che includa FDP e Verdi continuano a essere la riduzione del debito e la politica fiscale – questioni per cui i due partiti si trovano su posizioni opposte e quindi un cedimento è necessario da una delle parti. Dato il coinvolgimento della FDP in una coalizione, è probabile che la politica fiscale rimanga conservatrice in futuro.
Inflazione: le banche centrali ne stanno prendendo atto?
I dati sull’inflazione continuano a confermarsi forti e alcune banche centrali ne stanno prendendo atto. La scorsa settimana, l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) statunitense ha registrato per la quarta volta di fila un dato superiore al 5%. I sondaggi del Purchasing Managers’ Index (PMI) e dell’ISM rimangono solidi, soprattutto nelle voci relative alle vendite effettuate. I colli di bottiglia lato offerta rimangono forti, con problemi di stoccaggio del gas (principalmente nel Regno Unito) che si aggiungono alla carenza globale di componenti. In questo contesto, alcune banche centrali stanno stravolgendo la loro posizione. Alla riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) di mercoledì, la Fed ha distorto la propria policy in modo aggressivo, anticipando un possibile aumento dei tassi per il 2022 e dando chiari indizi di un tapering a partire dal 2022. La Banca d’Inghilterra ha seguito l’esempio giovedì, con una rapida revisione al rialzo delle previsioni di inflazione, aprendo la porta ad un rialzo dei tassi già nel 2021 (potenzialmente prima del tapering). La Norges, banca centrale norvegese, ha apportato un rialzo dei tassi di 25 punti base questa settimana. Nei mercati emergenti, le banche centrali mantengono un atteggiamento proattivo in risposta all’aumento dei prezzi. In Brasile, mercoledì la Central Bank of Brazil (BCB) ha alzato i tassi di 100 punti base. In Indonesia, la Bank Indonesia (BI) ha deciso di adottare una policy restrittiva. In Repubblica Ceca, la Czech National Bank (CNB) ha optato per un ciclo di rialzi più veloce. L’unica eccezione rimane la Turchia, dove la Central Bank of the Republic of Turkey (CBT) ha deciso per una politica monetaria accomodante questa settimana nonostante l’aumento dell’inflazione. Nel complesso e come abbiamo discusso a maggio, l’inflazione si sta rivelando meno transitoria del previsto, costringendo le banche centrali ad un inasprimento delle decisioni di politica monetaria. I titoli del Tesoro USA sono aumentati di 10 punti base durante la settimana (nonostante la volatilità in Cina) e i breakeven dell’inflazione sono in aumento. Sull’inflazione, le banche centrali stanno gradualmente convergendo verso le aspettative dei consumatori. Continuiamo a pensare che un momento di resa dei conti sui mercati possa arrivare presto.
Evergrande – Brutta situazione ma non alla Lehman
Questa settimana è stata caratterizzata dalle ricadute di Evergrande e dalle preoccupazioni per il potenziale contagio. Cercare di trovare un parallelo con il caso Lehman è esagerato, a nostro avviso. Le banche globali non hanno un’esposizione diretta alla società e i grandi fondi che la detengono lo fanno in portafogli ben diversificati. Anche il sistema bancario cinese ha un’esposizione complessivamente contenuta. I rischi di una ricaduta economica sono maggiori, poiché il settore immobiliare rappresenta il 15% del PIL cinese. Una contrazione cinese danneggerebbe le materie prime e i mercati emergenti, trascinando in definitiva la ripresa economica. Le autorità cinesi, tuttavia, hanno un ampio spazioa livello fiscale e monetario per sostenere l’economia e un forte interesse nel farlo. Il taglio del Reserve Requirement Ratio (RRR) in estate e le iniezioni di liquidità negli ultimi giorni suggeriscono che il supporto all’economia sarà rapido e ampio. Pertanto, il crollo non innescherà uno stress finanziario globale e anche le conseguenze economiche potrebbero essere mitigate. I mercati hanno aperto la settimana in modo più debole lunedì, ma la correzione azionaria e del credito è stata superficiale e di breve durata. Le valutazioni sui mercati globali rimangono in gran parte poco attraenti, con i multipli azionari del 30% al di sopra delle medie a lungo termine e spread creditizi ai minimi da 5 anni. Manteniamo un atteggiamento cauto sui mercati nei prossimi mesi poiché prezzi elevati, imminente tapering e volatilità cinese formano una combinazione potenzialmente rischiosa.
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