Stasera, alcuni investitori in bitcoin mi ricordano un giocatore d’azzardo rovinato che, in piedi fuori dal casinò a mezzanotte, si rende conto di aver perso le chiavi della sua auto
Nassim Nicholas Taleb
Come la polvere di fata capace di far volare qualsiasi asset, la politica monetaria allentata e i tassi reali negativi hanno dato una spinta ai mercati finanziari negli ultimi dieci anni. Fino alla crisi da Covid-19, tuttavia, l’allentamento monetario agiva in modo isolato, proprio come un anestetico somministrato a un paziente che richiede un intervento chirurgico specifico. I tassi bassi e l’allentamento quantitativo erano inefficaci per stimolare la crescita e l’inflazione. Con la pandemia, lo stimolo fiscale e quello monetario si sono uniti per agire insieme, e i banchieri centrali devono finalmente affrontare le conseguenze delle loro azioni: l’inflazione.
Prima del Covid, l’equilibrio tra bassi tassi d’interesse, basse aliquote d’imposta sulle società e globalizzazione aveva permesso ai prezzi di rimanere bassi e ai profitti di aumentare, soddisfacendo sia le élite in Occidente che le ambizioni di crescita della Cina in Oriente. Questo mix di politiche fiscali a basso tasso ha consentito che i prezzi delle attività aumentassero, senza una sostanziale crescita dei salari. Piuttosto che salari più alti, sono stati i prezzi bassi dei beni e la leva finanziaria a far andare avanti i consumatori – ciò che Raghuram Rajan ha definito come “lasciar loro mangiare il credito”.
Oggi la politica sta cambiando. Con la disuguaglianza di ricchezza ad un record centenario, la pandemia ha spostato il potere contrattuale dai proprietari di beni ai lavoratori. Questa tendenza è destinata a persistere. Le persone nate dopo il 1985 possiedono attualmente meno di un quinto di tutta la ricchezza finanziaria. Lasciati fuori dalle politiche economiche, che favoriscono la crescita del patrimonio rispetto ai salari e alla produttività, i millennial diventeranno l’elettore mediano entro il prossimo decennio, sia in Nord America che in Europa.
Cosa pensate che richiederanno?
La priorità dell’amministrazione Biden non è più il lavoro, bensì domare l’inflazione e aumentare il potere d’acquisto. La Fed, la BCE e la Banca d’Inghilterra sono in ritardo. Normalmente, un ciclo di stretta dovrebbe iniziare in un momento di crescita crescente. Questa volta, però, è probabile che le banche centrali stringano quando invece lo stimolo fiscale svanisce.
Nel 2022, Jerome Powell deterrà il lavoro più difficile nei mercati finanziari. La Federal Reserve dovrà scegliere tra mantenere a galla i prezzi degli asset o la loro credibilità. I mercati stanno attualmente valutando quattro rialzi quest’anno, ma crediamo che un numero maggiore potrebbe essere necessario per domare l’inflazione, dato che i rischi geopolitici e i prezzi dell’energia continuano a salire. Ciò significa che la Fed potrebbe dover attuare i rialzi più velocemente, premendo improvvisamente il freno, con il rischio di far schiantare alcuni investitori. Finora, l’azione dei prezzi mostra una rotazione d’emergenza verso attività di valore non richieste, che traggono beneficio dall’inflazione, dall’aumento dei tassi e dalle attività di crescita degli asset. Il movimento è stato relativamente ordinato, eppure il ciclo di inasprimento non è ancora iniziato. Dopo molti anni di guadagni diffusi degli asset, ci stiamo preparando alla volatilità e alla dispersione nel 2022.
1. Quali sono le prospettive per le restrizioni Covid nel 2022 e quale il potenziale impatto sul mercato?
Riteniamo che la maggior parte delle principali economie, eccetto la Cina, siano sulla via dell’allentamento delle restrizioni e della riapertura. Oggi, la variante di Covid dominante è diventata più infettiva ma molto meno fatale, più persone hanno acquisito l’immunità attraverso i vaccini o l’infezione. Inoltre, adesso possediamo migliori informazioni e strumenti di cura per il Covid, come le pillole antivirali di Pfizer e Merck.
Dalla fine di dicembre, la rapida diffusione di Omicron ha apportato un’esplosione di casi a livello globale, innescando restrizioni più severe o una sospensione delle riaperture in alcuni paesi. Tuttavia, sono emerse più prove che specificano che le infezioni da Omicron tendono ad essere più lievi e hanno meno probabilità di causare ricoveri o morti. Londra, il primo epicentro di Omicron fuori dal Sudafrica, ha visto i casi giornalieri aumentare fino a circa 1,5 volte rispetto al picco pre-Omicron, mentre i ricoveri solo del 51% del picco precedente. Inoltre, i pazienti ricoverati hanno meno probabilità di avere bisogno di supporto di ventilazione e molte meno probabilità di morire. Di conseguenza, più governi si stanno dirigendo verso un allentamento delle restrizioni nonostante i casi ancora in aumento. Per esempio, gli Stati Uniti, il Regno Unito e diversi paesi dell’UE hanno accorciato i periodi di autoisolamento Covid. L’Italia ha eliminato l’obbligo di quarantena per le persone vaccinate che entrano in stretto contatto con i casi positivi. La Francia allenterà le restrizioni di viaggio per chi arriva dal Regno Unito.
Questo passaggio verso la convivenza con il Covid significa che le interruzioni apportate da Omicron nei confronti della crescita e dell’offerta di lavoro si riveleranno probabilmente temporanee nei paesi sviluppati. Questo dovrebbe anche stimolare la riapertura dei settori con l’ulteriore ripresa dei viaggi internazionali. L’eccezione a questa transizione è la Cina, che finora non ha indicato alcuna probabilità di cambiare la propria strategia zero-Covid, come discuteremo di seguito. Rimane anche il rischio di coda di una nuova variante più mortale che emerge, anche se l’aumento della copertura vaccinale globale e l’immunità acquisita attraverso le infezioni diffuse di Omicron dovrebbero ridurre questa probabilità.
2. Quali sono le prospettive per l’inflazione?
È probabile che l’inflazione persista, mantenendosi al di sopra degli obiettivi delle banche centrali negli Stati Uniti e nel Regno Unito; nei mercati dei beni e del lavoro persistono i colli di bottiglia dell’offerta, mentre la domanda si riprende. Anche nell’Eurozona l’inflazione sarà più bassa, ma vischiosa.
Negli Stati Uniti, la Fed si aspetta che l’inflazione rimanga superiore al 2% fino al 2024. Pensiamo che l’IPC statunitense rimarrà costantemente al di sopra dell’obiettivo, intorno al 3-4%, anche a fine anno, a causa dell’impatto combinato di entrambi i vincoli sul lato dell’offerta e, per citare il presidente della Fed Powell, di una domanda “molto, molto forte”.
Sul lato dell’offerta, in primo luogo, ci aspettiamo che certi problemi della catena di approvvigionamento persistano, come evidenziato dai tempi di consegna ancora in aumento per i chip, dai lunghi tempi di attesa nei porti di Los Angeles e dal recente rapporto di Maerk sui continui ritardi globali. In secondo luogo, la carenza di manodopera dovrebbe diminuire rispetto al 2021, ma ci aspettiamo che il mercato del lavoro rimanga saldo. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto un minimo storico del 3,9% a dicembre, mentre il tasso di partecipazione rimane basso. Ciò è dovuto sia a questioni temporanee, come le assenze per malattia legate a Covid, sia a questioni strutturali come i lavoratori che abbandonano il settore dell’ospitalità. Infine, il Covid ha evidenziato il rischio dell’affidarsi totalmente ad una supply chain internazionale e ci aspettiamo che la tendenza all’onshoring continui. L’OCSE ha stimato che l’avvento della globalizzazione alla fine degli anni ’90 ha diminuito l’IPC di uno 0-0,25% all’anno nei paesi OCSE.
Sul lato della domanda, principalmente, i risparmi repressi sono diminuiti dai loro massimi di Covid, ma rimangono ancora in linea con i livelli pre pandemia. In secondo luogo, lo stimolo fiscale si allenterà nel 2022 rispetto al 2021/2020, ma rimane al di sopra dei livelli pre-Covid, come abbiamo dettagliato nella risposta alla domanda 4. Infine, la transizione verso un’economia più verde è inflazionistica poichè crea una domanda aggiuntiva di manodopera e materie prime. La ricerca di Goldman Sachs stima che a livello globale nel prossimo decennio siano richiesti $6tr di spese in conto capitale green, contro i soli $3.2tr spesi tra il 2016-2020. Anche se $6tr non verrà raggiunto, è probabile che la spesa rimanga al di sopra del livello pre-pandemia. La nostra ricerca mostra che se l’IPC a livello globale avesse incluso il costo per pagare le nostre emissioni di CO2, il livello dei prezzi oggi sarebbe del 50% più alto di quello stimato.
Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra si aspetta che l’IPC rimanga sopra il 2% fino alla fine del 2023, e anche noi osserviamo un’inflazione persistentemente più alta. I driver dell’inflazione dal lato della domanda e dell’offerta sono addirittura peggiori rispetto a quelli degli Stati Uniti. Sul lato dell’offerta, oltre ai problemi di scarsità globale, il Regno Unito continua ad essere colpito dalla carenza di manodopera causata dalla Brexit. Il governo ha tentato di aumentare l’offerta di manodopera dai paesi non UE, ma ciò ha avuto un impatto limitato finora. Dal punto di vista della domanda, i tassi di risparmio ed il benessere delle famiglie britanniche rimangono ancora superiori ai livelli pre-pandemici, fornendo un ulteriore impulso alla persistente inflazione.
In Europa, pensiamo che l’inflazione rimarrà più alta rispetto ai livelli pre-pandemici, ma potrebbe essere meno vischiosa che negli Stati Uniti o nel Regno Unito. La ragione è che, a differenza dell’inflazione nel Regno Unito e negli Stati Uniti, l’inflazione europea è quasi interamente dovuta ai vincoli dell’offerta e ai prezzi più alti dell’energia. Cioè, i servizi non hanno apportato un contribuito significativo all’inflazione, dato che il mercato del lavoro è ancora molto debole. O, per semplificare: la maggiore debolezza del mercato del lavoro europeo non ha causato costi energetici più elevati, dunque l’inflazione dei servizi. Tuttavia, questo potrebbe cambiare se la crescita e la domanda europea continueranno a rafforzarsi, sostenute da tassi di risparmio più alti di quelli pre-Covid e dalla transizione verso l’energia verde – come recentemente evidenziato dal membro del consiglio della BCE Schnabel, la transizione verde è inflazionistica e non pienamente considerata nelle attuali previsioni di inflazione della BCE.
3. Quante volte le banche centrali dei mercati sviluppati attueranno dei rialzi e come ciò avrà un impatto sugli asset di rischio?
Le banche centrali sono in ritardo nella lotta all’inflazione. Ci aspettiamo più di quattro rialzi della Fed nel 2022, il che metterà alla prova gli asset di rischio, in particolare nei mercati emergenti.
Negli Stati Uniti, sosteniamo che la Fed potrebbe dover fare più di quattro rialzi – che è quanto prezzato attualmente dal mercato – per domare l’inflazione. In Europa, il mercato sta valutando quasi 20 pb di rialzi quest’anno e quasi 30 pb l’anno prossimo. Crediamo che la BCE cercherà di posticipare il suo primo rialzo al prossimo anno, ma potrebbe dover accelerare il rialzo almeno due volte nel 2023. Nel Regno Unito, il mercato sta valutando oltre 100 pb di rialzi, con il prossimo ritocco a febbraio. Con i tassi reali sempre più in negativo nei mercati sviluppati, 100 pb di rialzi sarebbero meno della metà di quelli necessari. Detto questo, con i consumatori sovraindebitati e una debole prospettiva di crescita, insieme alle strozzature dell’offerta dovute alla Brexit, crediamo che la normalizzazione della politica sarà difficile nel Regno Unito.
Tassi reali più alti danneggeranno i prezzi degli asset a livello globale. Osserviamo tre possibili scenari:
Scenario peggiore: una crescita debole della Cina e persistenti strozzature dell’offerta nei mercati sviluppati. Lo scorso anno le autorità cinesi hanno inasprito la politica in modo aggressivo, prendendo di mira sia le aziende quotate che il settore immobiliare. Senza ulteriori stimoli, l’economia cinese potrebbe oscillare trovandosi vicina al 4% di crescita. Se le strozzature dell’offerta e i blocchi persistessero – ma non è il nostro scenario base – allora le banche centrali potrebbero essere costrette a rialzare maggiormente i tassi contro il rallentamento della crescita globale. Gli asset di rischio dovrebbero comportarsi come nel 2018 in questo caso, con un persistente allargamento degli spread, mentre le curve dei rendimenti si appiattirebbero ulteriormente.
Scenario migliore: La Cina stimola ulteriormente l’attività economica, i colli di bottiglia si allentano. In questo scenario, la Fed potrebbe fermarsi a 4-5 rialzi, mentre lo stimolo cinese manterrebbe la crescita più vicina al 5%. Soffierebbero ancora venti contrari per gli asset di rischio, anche se dovuti più alla rotazione settoriale dal growth al value.
Scenario medio: i colli di bottiglia si allentano ma la crescita cinese rallenta. In questo scenario, gli asset di rischio dei mercati emergenti si troverebbero a sottoperformare ulteriormente sia in valuta forte che in valuta locale. I tassi dei mercati sviluppati continueranno ad allargarsi. Questo allargamento, combinato con l’indebolimento della crescita cinese, potrebbe iniziare a pesare sui prezzi delle attività di rischio in marchi tedeschi. La bilancia dei rischi punta a una maggiore volatilità e a un maggiore ribasso nei mercati emergenti, a causa delle valutazioni ristrette, del rallentamento della crescita cinese e dei crescenti rischi geopolitici nell’Europa dell’Est e nel Sud-Est asiatico.
4. Lo stimolo fiscale globale svanirà nel 2022?
Lo stimolo fiscale globale diminuirà quest’anno, rimanendo sopra i livelli pre-pandemici.
Mentre i progressi su nuovi stimoli fiscali si sono fermati, è improbabile che gli Stati Uniti tornino presto a un bilancio in pareggio. Storicamente, i grandi deficit statunitensi richiedono tra i 4 e i 7 anni per concludrsi, il che implica almeno altri 2 anni di spesa sopra i livelli del 2019. Potremmo anche osservare lo stimolo fiscale riaccelerare fino ai livelli del 2020/2021 – ma solo nell’improbabile scenario in cui i democratici mantengano sia la Camera che il Senato, come discutiamo nel punto seguente.
In Europa, lo stimolo fiscale di Covid è rimasto indietro rispetto ai suoi colleghi dei mercatti sviluppati: il deficit fiscale europeo è stato del -7% del PIL nel 2020 contro il -14% del PIL negli USA e nel Regno Unito. Questo può implicare che l’Europa sarà più lenta dei suoi pari a chiudere il suo gap fiscale. Infatti, dei 750 miliardi di euro del fondo EU Next Generation Fund di prossima generazione, solo il 13% è stato speso nel 2021 e il resto sarà speso nel 2022-2023.
Al di fuori delle economie sviluppate, la domanda chiave è se i leader cinesi stimoleranno la loro economia nel 2022 e quanto grande potrebbe essere lo stimolo se lo faranno. Finora, il CCP e la PBOC hanno mantenuto la loro posizione per uno stimolo mirato e hanno minimizzato la necessità di uno stimolo più grande e più ampio.
5. Quali sono le potenziali implicazioni delle elezioni statunitensi di metà mandato in autunno?
Pensiamo che gli investitori dovrebbero prepararsi a un’ulteriore contrazione degli stimoli fiscali l’anno prossimo, nel probabile scenario in cui i democratici perdano la Camera dei Rappresentanti.
In tutti i casi, tranne due, di elezioni di metà mandato dalla seconda guerra mondiale, il partito al potere ha perso seggi alla Camera. Con l’indice di gradimento del presidente Biden a nuovi minimi, è probabile che i democratici perderanno la Camera. Non è chiaro se perderanno anche il controllo del Senato.
Pertanto, il nostro scenario base è rappresentato dai repubblicani che vincono almeno la maggioranza alla Camera, e probabilmente la maggioranza al Senato. In questo scenario, ci aspettiamo una situazione di stallo politico e che le discussioni su un nuovo stimolo fiscale si blocchino. Alcuni commentatori politici hanno suggerito che se i repubblicani controllassero sia la Camera che il Senato potrebbero approvare qualche stimolo fiscale, come ad esempio il taglio delle tasse sulle imprese. Pensiamo che questo sia improbabile, poiché i repubblicani sono incentivati a non collaborare con il presidente Biden e ad aumentare le loro probabilità di vincere le elezioni del 2024.
Nell’improbabile scenario che i Democratici mantengano la maggioranza sia alla Camera che al Senato, potremmo assistere ad una spinta verso un nuovo stimolo fiscale – potenzialmente l’accordo sulle infrastrutture potrebbe essere rilanciato. Le probabilità di questo passaggio, tuttavia, dipendono in ultima analisi dal fatto che l’inflazione in quel momento sia diminuita sostanzialmente dall’attuale livello impopolare del 7% a/a. Se questo non è successo, le probabilità di un nuovo stimolo fiscale sono inferiori.
6. Qual è la probabile direzione del cambiamento politico in Italia e Francia e come influenzerà la stabilità europea? Quando torneranno le preoccupazioni per il debito nell’Eurozona?
Crediamo che la politica europea rimarrà probabilmente stabile, nonostante le elezioni chiave in Francia e in Italia. È probabile che le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito ritornino nel 2023, tuttavia, su tassi di interesse più elevati.
In Francia, le elezioni presidenziali si terranno ad aprile. Macron è in testa nei sondaggi, poiché il suo tasso di approvazione si è rafforzato durante la crisi Covid. Il fronte populista, molto forte nel 2017, sta ora andando peggio, poiché lo stimolo fiscale da Covid ha ridotto l’appeal delle posizioni anti-europee, e l’immigrazione non è più un tema chiave post-pandemia. Infatti, i sondaggi di Marine Le Pen sono vicini al repubblicano Pécresse, suggerendo che un ballottaggio potrebbe vedere una vittoria moderata in ogni caso.
In Italia, le elezioni presidenziali di fine gennaio determineranno il futuro del governo. Un’elezione dell’attuale premier Draghi aprirebbe un piccolo rischio di elezioni anticipate, anche se l’appetito dei parlamentari per un ulteriore anno di mandato potrebbe spingere per un altro governo semi-tecnico fino al 2023. Il caso migliore per i mercati sarebbe una rielezione del presidente in carica Mattarella, il quale spianerebbe la strada per Draghi, per diventare presidente dopo la fine del suo mandato come premier nel 2023. Un’elezione di un terzo candidato sarebbe positiva a breve termine, poiché il rischio elettorale verrebbe rimosso, ma aumenterebbe le incertezze per il 2023. Il rischio di instabilità è quindi basso, anche se alcune incertezze potrebbero sorgere con le elezioni italiane nel 2023.
Anche le preoccupazioni per il debito dell’Eurozona saranno probabilmente rimandate al 2023. Il tapering della BCE sarà più delicato di quello della Fed, e i rialzi dei tassi non sono sul tavolo per ora. Con l’inflazione più a lungo al di sopra dei rendimenti di mercato, è probabile che le tematiche relative alla sostenibilità si presentino in seguito, soprattutto se il 2022 continuerà a vedere prevalere i moderati nella periferia. I rischi di mercato, però, sono sbilanciati verso il basso. Le banche centrali detengono ora una grande frazione del debito europeo – il 35% solo in Italia, così che il tapering significherà la mancanza di supporto per il principale stakeholder del debito europeo.
Gli spread della periferia rimangono a livelli storici minimi di fronte alla crescente incertezza politica e alla riduzione del supporto delle banche centrali. Il rapporto rischio-rendimento sul debito pubblico periferico è quindi fortemente sbilanciato verso il basso.
7. Quali sono le prospettive per la crescita della Cina nel 2022, le autorità aumenteranno gli stimoli?
Percepiamo un rallentamento della crescita cinese verso il 4% nel 2022. Tale aumento sarà messo alla prova da una serie di venti contrari, vale a dire il suo scrupoloso rispetto di una strategia zero-Covid sempre più costosa, l’attività scoraggiata del mercato immobiliare, lo scarso coordinamento delle politiche tra il governo centrale e i vari livelli di governi e istituzioni locali, così come le difficoltà nel bilanciare gli obiettivi socio-economici nel lungo termine e la stabilità nel breve termine.
La politica zero-Covid della Cina, caratterizzata dalla quarantena obbligatoria per tutti i viaggiatori internazionali, dai test di massa e dal rintracciamento dei contatti, così come dalle chiusure rapide e mirate, ha funzionato bene nella prima parte della pandemia. Tuttavia, l’elevata contagiosità della variante Omicron comporta un cambiamento del costo di sostenere tale strategia, divenuto sproporzionatamente alto. Eppure il governo ha mostrato pochi segni di allentamento della politica: l’amministrazione dell’aviazione civile della Cina, nel suo recente piano quinquennale pubblicato, mira al 2023-2025 a ripristinare i viaggi internazionali, indicando una probabile chiusura continua dei confini per tutto il 2022. Focolai più sporadici e chiusure regionali significano maggiori interruzioni economiche quando la crescita è già indebolita da un settore immobiliare in difficoltà. Come mostrato di seguito, il nostro indice composito indica che l’attività del mercato immobiliare è vicina ai minimi storici mentre le vendite di case rallentano e gli sviluppatori con problemi di liquidità si concentrano sulla sopravvivenza invece di avviare nuovi progetti.
Queste sfide di crescita richiedono un maggiore allentamento della politica. In effetti, il governo centrale è passato a un tono più accomodante nel quarto trimestre, con la Central Economic Work Conference di dicembre che ha rilasciato un forte messaggio pro-crescita. Tuttavia, finora, tutte le misure di allentamento sono rimaste piccole e mirate, tra cui un taglio di 50 pb al coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, tagli di 5-15 pb a vari tassi di interesse e allentamenti delle restrizioni all’acquisto di case/regole ipotecarie in alcune città. Da un lato, gli obiettivi a lungo termine della Cina di ridurre gli squilibri strutturali e perseguire la “prosperità comune” la rende cauta nell’adottare qualsiasi stimolo su larga scala che potrebbe essere visto come “aprire la porta dell’alluvione”. D’altra parte, misure mirate e a livello regionale possono essere inclini a una peggiore esecuzione, specialmente per i governi locali con finanze deboli.
Il governo cinese probabilmente aumenterà gli stimoli politici nei prossimi mesi per mantenere la stabilità della crescita per il prossimo Congresso del Partito in autunno. Tuttavia, il rischio è che tale stimolo possa non essere abbastanza grande o tempestivo per compensare completamente tutti i venti contrari dell’economia in modo che la crescita sia inferiore alle aspettative del mercato. Questo potrebbe danneggiare i Paesi e i settori esposti alla Cina attraverso i legami commerciali. Inoltre, la continua strategia zero-Covid e i frequenti blocchi regionali in Cina significano interruzioni persistenti delle catene di approvvigionamento globale e un più lento allentamento della pressione inflazionistica per i paesi sviluppati.
8. Le tensioni geopolitiche in Ucraina e nell’Europa orientale sfoceranno in una guerra?
I rischi di un’ulteriore escalation sono aumentati nelle ultime settimane. Vediamo il 50% di possibilità di un conflitto locale in Ucraina orientale entro la fine dell’anno, nonostante la diplomazia sia ancora aperta.
A partire dalla fine di novembre, la Russia ha ammassato un gran numero di truppe al confine con l’Ucraina, ricordando ai mercati i precedenti episodi in Georgia (2008) e Crimea (2014). L‘escalation è un tentativo del Cremlino di ristabilire una chiara sfera di influenza russa in Europa orientale. Infatti, alla fine di dicembre, la Russia ha chiesto agli Stati Uniti di sottoscrivere pubblicamente una tabella di marcia per la sicurezza europea, richiedendo restrizioni difficili da accettare riguardo l’adesione alla NATO e sull’azione in Europa orientale. L‘escalation è stata condotta in concomitanza con i massimi storici dei prezzi del gas, in modo da limitare le possibilità di reazione da parte dell’Europa.
Lo stallo tra gli Stati Uniti e la Russia si è intensificato all’inizio di gennaio, quando entrambe le parti hanno mantenuto la loro posizione ai colloqui NATO-Russia a Ginevra. L’esito infruttuoso dei colloqui ha scatenato un forte selloff sul mercato. Le obbligazioni ucraine hanno raggiunto i minimi di tre anni e ora pagano un rendimento del 10% in dollari. Il rublo russo e le obbligazioni locali sono state vendute in modo aggressivo sui timori di sanzioni economiche. Il più ampio segmento dei mercati emergenti ha iniziato a vendere aggressivamente nei giorni successivi alla rottura dei colloqui. I mercati stanno ora valutando le alte probabilità di un’azione militare.
Il caso migliore: la de-escalation delle tensioni. Per questo scenario, avremmo bisogno di alcune concessioni da parte degli Stati Uniti, e che la Russia sia inclusa almeno nella discussione per la sicurezza europea. Una de-escalation non avverrebbe immediatamente, dato lo stato attuale delle tensioni, ma avrebbe luogo nel corso di alcune settimane attraverso vari round di discussioni. In questo caso, nessuna interruzione economica sarebbe imposta all’Ucraina. Allo stesso tempo, i governi occidentali non hanno bisogno di imporre una nuova serie di sanzioni alla Russia. In un tale scenario, i prezzi degli asset recupererebbero la maggior parte ma non tutte le perdite da dicembre, poiché alcuni premi al rischio potrebbero rimanere sul mercato. Assegniamo una probabilità del 40% a questo scenario.
ll caso peggiore: un’ invasione completa. In questo scenario, l’esercito russo invade l’Ucraina e marcia verso Kiev. L’esito finale di tale caso è incerto, ma causerebbe certamente grandi interruzioni economiche all’interno dell’Ucraina, apportando un massiccio aumento del rischio di credito. Gli Stati Uniti e l’Europa risponderebbero in modo aggressivo, imponendo sanzioni sul debito russo e tagliando il paese fuori dal sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication). In questo caso, l’Ucraina soffrirebbe una grande perturbazione economica. I fondamentali più forti suggeriscono che la flessione potrebbe non rivelarsi così profonda come nel 2014, ma una contrazione nell’ordine del 5-10% è plausibile. In questo caso, il sostegno finanziario occidentale continuerebbe ad essere abbondante, ma non eviterebbe il rischio di credito materiale per le obbligazioni. In questo scenario, Stati Uniti ed Europa reagirebbero fortemente contro la Russia, con nuove sanzioni sul debito sovrano e un probabile taglio della Russia dal sistema SWIFT. È improbabile che la performance economica della Russia sia materialmente colpita in questo scenario, ma i mercati obbligazionari e la valuta affronterebbero forti perdite. Assegniamo una probabilità del 10% a questo scenario.
La via di mezzo: un conflitto locale. Il caso vedrebbe azioni più aggressive che non sfociano in una guerra vera e propria. Troviamo che questo sia il risultato più verosimile, con il 50% di probabilità. Le azioni aggressive potrebbero includere un’occupazione di aree selezionate dell’Ucraina orientale, o attacchi aerei in tutta la regione. In questo caso, il rischio di credito dell’Ucraina aumenterebbe solo moderatamente, in quanto una lieve perturbazione economica sarebbe compensata dalle forti riserve finanziarie che il paese ha costruito negli ultimi tre anni. Inoltre, il sostegno finanziario occidentale rimarrebbe forte. Gli Stati Uniti colpirebbero la Russia con una sorta di sanzioni, ma un rapido taglio in questo scenario è in definitiva improbabile, poiché la cooperazione europea non sarebbe garantita. Alcune restrizioni extra sui mercati obbligazionari e sanzioni individuali sono più probabili in questo caso. La volatilità degli asset di Russia e Ucraina aumenterebbe quindi, ma rendendo meno pllausibili delle perdite permanenti.
9. La nuova politica monetaria della Turchia funzionerà o scoppierà una grande crisi?
Crediamo che le recenti politiche per affrontare le vulnerabilità fondamentali della Turchia non funzioneranno. Infatti, le proprie fragilità strutturali rendono la Turchia uno dei Paesi più esposti al ciclo di contrazione della Fed di quest’anno.
A partire da settembre 2021, la banca centrale della Turchia (CBRT) ha perseguito un’aggressiva politica di allentamento monetario, con tagli di 500 pb fino a dicembre. I tagli sono arrivati nonostante l’inflazione sopra il 20% e la stretta monetaria globale. Di conseguenza, la lira turca è crollata, deprezzandosi di oltre il 50% nella seconda metà del 2021. Una lira debole e un’inflazione elevata hanno innescato una crisi di fiducia da parte dei risparmiatori nazionali, con la dollarizzazione che ha raggiunto i massimi storici a novembre. Alla fine di dicembre, il governo ha quindi deciso di introdurre un nuovo schema volto a scoraggiare la dollarizzazione. Con questo schema, il governo ripaga qualsiasi perdita in valuta estera che i depositanti subiscono tenendo depositi in valuta nazionale, garantendo de facto rendimenti in lire del 14% ai risparmiatori che utilizzano fondi pubblici.
Lo schema ha una certa attrattiva, dato che i turchi hanno più di 200 miliardi di dollari di depositi e il debito pubblico si è abassato al 40% del PIL. Infatti, la lira turca ha arginato alcune delle sue perdite da quando il deposito è stato introdotto, trovando una certa stabilità all’inizio del 2022. Tuttavia, non percepiamo ciò come una soluzione a lungo termine: i tassi garantiti sono ben al di sotto dell’inflazione, che probabilmente salirà al 50% nel corso dell’anno. Per cui è improbabile che il tasso incentivi molte conversioni dai depositi in dollari. Inoltre, il crollo della valuta ha innescato un forte intervento della banca centrale alla fine dell’anno scorso, che ha portato a un buffer di riserve molto più basso. Le riserve della Turchia al netto delle risorse possedute dalle banche locali attraverso gli swap di valuta sono ora inferiori a 10 miliardi di dollari, un livello preoccupante per un’economia da 700 miliardi di dollari.
Riteniamo che la politica monetaria dovish, riserve basse, inflazione dilagante e misure poco ortodosse si riveleranno un cattivo mix per gli asset turchi nel 2022. È anche probabile che la politica stimolante diventi più aggressiva con l’avvicinarsi delle elezioni del 2023. Gli asset turchi continueranno quindi a soffrire: la valuta si deprezzerà gradualmente in linea con l’inflazione e il credito rimarrà sotto pressione perché il deprezzamento del foreign exchange danneggia le riserve del paese e i bilanci delle banche, soprattutto in un contesto di tassi USA più elevati e forza del dollaro. Sia le condizioni locali che quelle globali indicano la Turchia come una delle principali vittime potenziali del mercato del 2022.
10. Le elezioni in Brasile destabilizzeranno la politica dell’America Latina?
Noi pensiamo che sia possibile, poiché questo è l’evento chiave nella regione per il 2022 e il risultato è molto aperto.
Le elezioni generali brasiliane si terranno ad ottobre. Sia la carica di Presidente che tutti i seggi del Congresso sono in palio. L’elezione è particolarmente incerta perché l’ex presidente di sinistra Lula ha annunciato la sua candidatura. Il mandato di Lula è stato caratterizzato da pesanti politiche anti-mercato, tra cui una politica fiscale aggressiva e un’ondata di nazionalizzazioni e malversazioni delle SOE. Per ora, la posizione e il team politico di Lula per la prossima campagna è sconosciuta. Alcuni analisti lo vedono assumere una posizione più moderata, date le posizioni estreme dell’attuale presidente Bolsonaro su molti argomenti. Dall’altro lato, anche un Lula un po’ più populista potrebbe avere una possibilità, dati gli scarsi risultati di Bolsonaro durante la pandemia. I sondaggi vedono attualmente l’approvazione di Lula al 40% contro il 25% di Bolsonaro, con il candidato moderato Moro a una sola cifra di preferenze. I recenti sviluppi suggeriscono che Lula potrebbe scegliere un Vice Presidente moderato, nel tentativo di conquistare il centro. Questo, alla fine, modererebbe i rischi di coda della sua elezione. L’arena politica rimane quindi abbastanza aperta, e la campagna che inizierà ad aprile potrebbe portare volatilità.
Gli asset brasiliani si sono rivelati scarsi nel 2021 e alcuni macro rischi stanno svanendo, ovvero la violazione del tetto di spesa è stata evitata e l’inflazione sta iniziando a scendere. Il real brasiliano è ai minimi di 5 anni in termini reali, e i rendimenti a lungo termine si sono ampliati di 400 pb nel 2021, concludendo l’anno con 200 pb sopra l’inflazione. Dunque, i mercati hanno iniziato a prezzare un notevole scenario negativo, che potrebbe non materializzarsi alla fine, specialmente se Lula gioca una parte moderata.
A breve termine, l’incertezza elettorale può ancora creare una certa volatilità, soprattutto nella valuta e nel credito, se Lula dovesse governare con una coalizione di sinistra. Dopo la pandemia, l’equilibrio politico in America Latina si è gradualmente spostato verso sinistra, con svolte in Perù e Cile l’anno scorso, e forse in Colombia quest’anno. L’Argentina e il Messico sono già diventati nazionalisti negli ultimi tre anni. Una svolta in Brasile segnerebbe quindi un ultimo passo per un governo meno amico del mercato nella regione, con implicazioni negative per le prospettive economiche e la stabilità della regione.
Conclusioni: qual è la nostra posizione in investimenti obbligazionari?
La normalizzazione della politica monetaria ha implicazioni di portafoglio fondamentali. In primo luogo, un cambio di rotta da molteplici asset con una una bassa volatilità ad altri asset in grado di resistere a tariffe o prezzi più elevati, come i titoli finanziari e i produttori di materie prime. In secondo luogo, un potenziale cambiamento di regime nelle correlazioni tra obbligazioni e azioni, a causa della persistente volatilità dell’inflazione. Questo potrebbe favorire i portafogli a con approccio “barbell”, per esempio, rispetto al tipico portafoglio bilanciato o alla sua versione a leva, il risk-parity. In terzo luogo, dopo molti anni di volatilità contenuta, la normalizzazione delle politiche potrebbe provocare un aumento del rischio di coda sia nei tassi che nelle azioni.
In questo contesto di normalizzazione della politica e di tassi d’interesse più alti, è giusto chiedersi: perché investire in obbligazioni? La risposta risiede nel fatto che gli investitori devono ripensare la strategia del reddito fisso, come ha sostenuto di recente l’investitore bond di lungo corso Dan Fuss.
Una ragione è che non siamo usciti dalla stagnazione secolare. Risolvere decenni di sottoinvestimenti in infrastrutture, istruzione e alta disuguaglianza potrebbe richiedere più di un piano infrastrutturale. La narrazione macro di oggi è interamente concentrata sulla forte domanda e sull’aumento dell’inflazione – ma l’irrigidimento delle politiche potrebbe alla fine significare rischi per la crescita. A valutazioni più ampie, le attività income dovrebbero ancora far parte del vostro portafoglio.
Un’altra ragione è che con le valutazioni compresse di oggi, i gestori attivi possono trovare una protezione molto economica contro eventi di coda idiosincratici nelle obbligazioni e nel credito. Pensiamo ad alcuni esempi di potenziale rischio coda: in Turchia, dove l’amministrazione Erdogan sta lottando con tassi di inflazione superiori al trenta per cento, il governo ha ampliato i prestiti swap foreigh exchange e sta usando le banche statali per sostenere la Lira, mentre allo stesso tempo mantiene i tassi di interesse a meno della metà del tasso di inflazione per sostenere la domanda fino alle elezioni. MicroStrategy, una società di servizi di business intelligence e software con circa 500 milioni di dollari di entrate e meno di 100 milioni di profitti, ha emesso oltre 2,5 miliardi di dollari di debito per acquisire bitcoin.
Come in situazioni precedenti caratterizzate da bassa volatilità e valutazioni compresse, abbiamo abbassato l’esposizione delle nostre strategie e aggiunto protezione in strutture di capitale che riteniamo insostenibili.
I prossimi mesi non saranno facili, ma una maggiore volatilità e dispersione offriranno sicuramente delle opportunità.
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