Le cicatrici degli altri dovrebbero insegnarci la prudenza
San Gerolamo
Chi troppo in alto sale, cade sovente… Il detto si applica bene al 2022. Il bilancio della Fed è triplicato rispetto a quello del 2019 e l’ondata di “denaro facile” ha portato la ricchezza delle famiglie ai massimi storici. Se aggiungiamo al quadro la più grande spinta fiscale dal secondo dopoguerra e il peggiore shock dell’offerta dal 1973, qualcosa dovrà cedere: inflazione e mercati.
Stimolo monetario e shock dell’offerta si sono trasformati nel rischio di stagflazione. Per la prima volta negli ultimi 15 anni, gli Stati Uniti hanno visto un livello di inflazione tra i più alti e uno di crescita tra i più bassi nel primo trimestre. Il futuro dell’Europa sarà determinato dalla politica energetica e la Cina continua a perseguire la strategia “zero Covid”. I dati di maggio mostrano che l’inflazione sta gravando sulla spesa dei consumatori e sui margini delle imprese.
La buona notizia è che i mercati stanno già scontando un risultato negativo. L’azionario finanziario sta scendendo nonostante l’aumento dei tassi, sintomo che sta già prezzando la recessione. I livelli di spread sul credito sono stati più alti di oggi solo in occasione di forti flessioni. Dall’altra parte, i venti di coda provenienti dalle riaperture sostengono ancora i dati e i consumi statunitensi restano forti. Le autorità cinesi stanno diventando più pragmatiche in materia di stimoli. Un rallentamento è plausibile, ma i mercati stanno rapidamente giungendo a conclusioni davvero molto pessimistiche.
La cattiva notizia è che il margine di errore non è mai stato così basso. Con l’inflazione all’8% sia in Europa che negli Stati Uniti, le banche centrali non possono permettersi di sostenere l’economia, nemmeno in uno scenario negativo. Le banche che hanno suggerito questa opzione sono state punite con un indebolimento della valuta, che a propria volta porta a una maggiore inflazione. L’inizio dell’inasprimento quantitativo e l’aumento dei costi di finanziamento comportano una politica fiscale fortemente limitata. Potrebbe non trattarsi di una recessione, ma le conseguenze di un errore sono molto gravi.
I mercati stanno già valutando un inasprimento nel 2022, ma i tassi terminali rimangono estremamente bassi. Gli investitori si preparano al “grande picco” dell’inflazione, ma l’effetto base da solo non basterà. L’estrapolazione dei recenti dati mensili rivela l’inflazione statunitense vicina al 7%. Qualcosa dovrà cambiare, o tassi terminali del 2,5-3% potrebbero rivelarsi problematici.
Ciononostante, i mercati obbligazionari appaiono “ripuliti” rispetto a sei mesi fa. I rendimenti negativi appartengono al passato e i governatici americani hanno appena registrato il peggior ribasso del primo semestre della storia. Gli afflussi di credito post Covid sono in gran parte rientrati e i livelli di liquidità stanno salendo in un contesto in cui le nuove emissioni sono limitate.
Il pessimismo generalizzato e il miglioramento dei fattori tecnici obbligazionari consentono agli investitori di avvicinarsi agli attivi di rischio per la prima volta dopo tempo. A nostro avviso, il credito è in una condizione migliore dell’azionario. Gli spread sono finalmente attraenti in segmenti di qualità relativamente elevata. Le obbligazioni in dollari di Amazon pagano ora il 4%, un rendimento che solo un anno fa era offerto dai governativi della Costa d’Avorio. Soprattutto nel caso di emittenti solidi, inizia a diventare interessante assicurarsi rendimenti elevati e il premio incorporato negli spread.
Si stanno creando alcune opportunità, ma non è il momento di andare all-in. La strategia “lower for longer” ha funzionato negli ultimi dieci anni, ma non funzionerà nei prossimi tre. L’aumento dei tassi comporta la necessità di bilanciare i rendimenti con la qualità: generazione di alfa e conservazione del capitale saranno cruciali. Avvicinatevi in punta di piedi, ma rimanete in guardia. La volatilità macro è tornata e dobbiamo prepararci ad affrontarla.
Macro –Tempi inflazionati
L’inflazione rimane il problema principale a livello globale. I dati di aprile e maggio offrono poche rassicurazioni sul picco dell’inflazione, per cui la Fed proseguirà a pieno ritmo con i rialzi e la BCE farà partire a sua volta una stretta. Nelle reazioni delle banche centrali, l’inflazione giocherà un ruolo più decisivo rispetto alla crescita. La Cina sta gradualmente riaprendo, ma la politica zero Covid continuerà a rappresentare un rischio nei prossimi mesi. Le misure di stimolo stanno finalmente aumentando. I dati globali indicano un rallentamento, ma i fattori macro suggeriscono che la probabilità di recessione è inferiore alle stime, soprattutto negli Stati Uniti.
Inflazione – L’incertezza sui picchi apre la strada ai falchi
I dati sull’inflazione rimangono elevati, con l’aumento dei prezzi dell’energia che si ripercuote sull’inflazione core, mentre l’inflazione dei beni continua a essere più forte del previsto. Le banche centrali non hanno altra scelta che procedere con i rialzi dei tassi. La Fed, infatti, effettuerà rialzi di 50 pb sia a giugno che a luglio, portando i tassi al 3% entro fine anno. La BCE inizierà con i rialzi in estate per arrivare a un totale di quattro nel 2022.
Negli Stati Uniti, gli Indici dei Prezzi al Consumo (IPC) headline e core sono cresciuti rispettivamente dell’8,3% e del 6,2% a/a in aprile, con una lieve decelerazione rispetto all’8,5% e al 6,5% di marzo, ma ancora al di sopra delle previsioni. Le ultime tendenze sono in linea con la nostra opinione precedentemente condivisa: l’inflazione ha probabilmente raggiunto il picco, ma la discesa potrebbe essere più lenta di quanto previsto dalla Fed. L’inflazione core continuerà a diminuire nei prossimi mesi grazie alla riduzione dello stress nella catena di approvvigionamento e all’effetto base. Tuttavia, l’inflazione degli affitti e dei servizi di base potrebbe aumentare ulteriormente a causa della crescita degli affitti e della forte pressione salariale.
Nel complesso, l’inflazione core potrebbe chiudere l’anno al 5%, esercitando pressioni sulla Fed affinché si attenga a un atteggiamento aggressivo “da falco”. L’inflazione è salita in cima alle priorità della Fed e sta diventando un elemento chiave anche nell’agenda politica di Biden. L’economia statunitense è anche più resiliente ai rialzi, data la bassa dipendenza energetica, l’assenza di esposizione alla guerra e i solidi bilanci del settore privato.
Nell’Eurozona, l’inflazione è ancora in gran parte trainata dai prezzi delle materie prime: energia e cibo rappresentano quasi il 70% della crescita complessiva. Anche l’aumento dei prezzi dell’energia sta facendo salire i costi di produzione, con effetti di secondo impatto sull’inflazione core, che ora è appena al di sotto del 4%. L’inflazione headline di maggio ha sorpreso al rialzo (oltre l’8%). Nel complesso, l’inflazione rimarrà al di sopra del 7% a giugno e al di sopra del 4% nel 2022.
La BCE dovrà recuperare rapidamente il ritardo con la Fed, poiché le continue sorprese al rialzo dell’inflazione ne mettono a rischio la credibilità. I commenti di marzo e aprile avevano aperto le porte a un atteggiamento più accomodante, portando immediatamente l’euro a nuovi minimi. I commenti più recenti hanno ristabilito una posizione antinflazionistica, per cui ora è necessario passare all’azione. La riunione di luglio porterà al primo rialzo, probabilmente di 50pb, e ci aspettiamo tassi vicini all’1% alla fine del 2022.
Dati globali – Atterrare non vuol dire schiantarsi
Le economie globali stanno rallentando, come segnalato da tutti gli indicatori, ma i PMI (Purchasing Managers’ Index) continuano a crescere, registrando valori intorno a 50-55 negli Stati Uniti e in Europa. Le previsioni di consenso per il 2022 si sono abbassate, ma anche le proiezioni più ribassiste sono superiori all’1,5% per l’Europa e al 2% per gli Stati Uniti. Secondo i nostri modelli, le probabilità di una recessione negli Stati Uniti nei prossimi 12 mesi non sembrano più alte del solito. In Europa, le probabilità sono più alte del solito, ma non altissime.
I nostri modelli di previsione della recessione mostrano che la probabilità di una recessione nei prossimi 12 mesi è salita a circa il 30% in aprile, in linea con le probabilità di qualsiasi altro mese. Nel frattempo, le probabilità di recessione a 24 e 36 mesi si attestano al 59% e al 65%, al di sopra delle rispettive probabilità incondizionate. Tuttavia, i mercati finanziari si sono spinti ancora oltre nel prezzare una recessione imminente, con una probabilità a 6 mesi implicita nelle variabili finanziarie superiore al 70%. I modelli suggeriscono che i rischi di recessione su un orizzonte di 2-3 anni sono più elevati del normale, ma i timori del mercato di una recessione nel breve termine negli Stati Uniti sono probabilmente eccessivi.
Le probabilità di una recessione nell’Eurozona a 6 e 12 mesi sono aumentate significativamente, rispettivamente al 49% e al 59% in aprile, superiori alle probabilità incondizionate. I modelli dell’Eurozona basati sui mercati finanziari faticano a interpretare gli insoliti segnali di mercato, in quanto gli attivi di rischio stanno svendendo ma le curve dei rendimenti continuano a farsi più ripide. I nostri modelli attribuiscono all’Europa rischi di recessione più elevati rispetto agli Stati Uniti. Oltre alla maggiore esposizione alla guerra tra Russia e Ucraina, l’Eurozona è anche più soggetta a un rallentamento causato dalla Cina, data la maggiore dipendenza dalle esportazioni.
Cina – Azzeramento
L’ultima ondata di Covid in Cina è stata in gran parte contenuta: i casi giornalieri a livello nazionale sono scesi sotto i 150 e il numero di quartieri ad alto rischio si è ridotto in modo significativo. Shanghai, la città che ha subito i lockdown più severi, ha dato inizio alla riapertura su larga scala il 1° giugno. Per ora, sembra che gli effetti peggiori di Omicron siano passati. I dati ad alta frequenza (come il traffico passeggeri, i voli di linea e il trasporto merci su strada) suggeriscono che i livelli di attività si stanno riprendendo molto gradualmente, a differenza del rimbalzo a V che avevamo visto nel 2020. I PMI di maggio sono rimasti in territorio di contrazione, ma mostrano un miglioramento sostanziale rispetto ad aprile.
In seguito al drastico crollo della crescita, il governo è passato all’allentamento delle politiche. Il 19 maggio la banca centrale cinese (People’s Bank of China, PBoC) ha tagliato di 15pb il tasso di riferimento sui mutui. Il 23 maggio il Consiglio di Stato ha annunciato 33 misure incrementali per stabilizzare l’economia, con particolare attenzione agli sgravi fiscali e agli investimenti in infrastrutture. Il premier Li ha recentemente tenuto una teleconferenza politica con i funzionari dei governi locali per sottolineare l’urgenza di sostenere la crescita. L’insieme delle misure annunciate quest’anno si avvicina alla metà dello stimolo previsto per il 2020. Tuttavia, è improbabile che il governo si discosti dalla sua strategia zero-Covid almeno fino al Congresso del Partito in autunno, date le considerazioni politiche. I rischi a breve termine per la crescita quindi permangono. Il mix di politiche potrebbe diventare più favorevole dopo il Congresso del Partito, ma la crescita del 2022 rimarrà ben al di sotto dell’obiettivo.
Mercati – In punta di piedi
I mercati rimarranno altalenanti nei prossimi 12-18 mesi. Gli investitori hanno prezzato rialzi per il 2022 e la prima metà del 2023, ma rimangono positivi sull’inflazione nel medio termine. La nostra analisi suggerisce che i rischi di inflazione possano aumentare su un orizzonte di due anni. Tuttavia, nel breve termine, prevediamo che la stabilità dei tassi farà proseguire il recente rally. La maggior parte delle classi di attivi sta prezzando una recessione quasi certa nei prossimi dodici mesi: è infatti probabile che ci sia un rallentamento, pur con crescita ancora positiva. Il credito, in particolare quello di rating elevato, potrebbe trarre i maggiori benefici dal fatto che gli attivi di qualità sono scesi (per effetto di allargamento spread e salita rendimenti). In ambito valute, vediamo un rialzo in EUR/USD e USD/CNH. Sul lungo termine, riteniamo che la volatilità macro persisterà. Gli investitori dovranno quindi mantenere un’asset allocation tattica e privilegiare l’alfa rispetto al beta.
Tassi – (Troppo) relax sul picco inflazione
Il mercato dei tassi ha giustamente prezzato rialzi per i prossimi due anni, ma il grado di fiducia in una rapida disinflazione nel 2022-23 rimane estremamente elevato rispetto a quanto rilevato dai dati. La rivalutazione dei tassi è stata aggressiva nella parte anteriore, ma rimane più contenuta lungo la curva. I mercati prevedono un tasso terminale dell’1,4% per la BCE e del 2,8% per la Fed, rispettivamente del 6% e del 5% al di sotto dell’inflazione attuale. I mercati si aspettano quindi una rapida stabilizzazione dell’inflazione, che eviterebbe alle banche centrali di aumentare troppo i tassi negli anni successivi. Sebbene sia difficile stabilire se questa visione sia vera, alcuni segnali iniziali suggeriscono che la bilancia dei rischi è orientata verso un aumento dell’inflazione e dei tassi.
In primo luogo, le condizioni finanziarie rimangono relativamente allentate. Una curva statunitense piatta significa che i tenori esterni sono ben al di sotto dell’inflazione spot, con spread a 2s10 inferiori a 30 pb e a 5s10s sostanzialmente piatti. I tassi reali impliciti nel mercato dei linkers sono appena positivi. Condizioni finanziarie allentate, nonostante i 200 pb di rialzo previsti, suggeriscono che la Fed abbia spazio per fare ancora di più. In secondo luogo, le aspettative di inflazione dei consumatori sono costantemente superiori a quelle implicite nel mercato, il che fa pensare a poca variabilità nei consumi e a una maggiore pressione sui salari. Infine, l’incertezza sulle aspettative di inflazione al 2022 rimane molto alta. In molti prevedono il raggiungimento un picco, ma ogni minimo ritardo nel calo dell’inflazione mensile può avere un effetto significativo. Per concludere l’anno con un’inflazione superiore al 6% basterebbe una continuazione dei recenti trend di inflazione mensile, anche tenendo conto degli effetti base (disinflazionistici).
Mercati obbligazionari – Un sano rimescolamento
I mercati obbligazionari sono decisamente più interessanti rispetto a sei mesi fa. Il re-pricing dei rialzi ha innescato il più rapido crollo dei governativi americani nella storia. Una movimento repentino che ha apportato forti deflussi, migliorando in modo significativo il quadro tecnico di diversi segmenti, in particolare il credito IG e HY. Il rapido riprezzamento dei tassi ha innescato un altrettanto rapido allargamento degli spread creditizi, cosicché per la prima volta da alcuni anni è possibile trovare rendimenti accettabili in segmenti di qualità dei mercati del reddito fisso. Gli spread IG statunitensi si sono allargati di circa 40 pb quest’anno, raggiungendo quasi gli 80 pb, mentre i Treasury a 5 anni sono saliti di 150 pb al 2,7%. I principali indici di liquidità del settore offrono ora rendimenti superiori al 4%, con picchi del 5% e con un rischio di credito praticamente nullo. Gli indici high yield statunitensi offrono rendimenti superiori al 7%. I rendimenti e i premi al rischio sono aumentati in modo uniforme trasversalmente alle classi di attivi: per la prima volta negli ultimi dieci anni è possibile costruire un portafoglio obbligazionario con un rendimento del 5-6% in USD e un profilo di rischio molto conservativo.
Il quadro rimane meno roseo per i governativi dei mercati avanzati, a causa della riduzione su larga scala dei bilanci delle banche centrali. La Fed ridurrà il proprio bilancio di circa 6 milioni di dollari nei prossimi tre anni, di cui 2/3 rappresentati da titoli di Stato. La BCE terminerà l’espansione del proprio bilancio, ma gli acquisti effettuati in passato privilegiavano i Paesi periferici, costretti ora a trovare nuovi acquirenti. Per quanto riguarda i BTP italiani, ad esempio, il 30% dello stock è detenuto dalla banca centrale (dieci anni fa tale valore era sotto al 5% e 15% ad inizio 2017).
Infine, negli ultimi tempi la volatilità dei tassi è stata più importante per i mercati rispetto a quella delle azioni, per cui è probabile che un piccolo allentamento inneschi un rally nei segmenti obbligazionari che hanno sofferto di più. Grazie alle migliori valutazioni e ad un posizionamento più chiaro, il credito globale ha sperimentato un sostanziale miglioramento del quadro tecnico negli ultimi sei mesi. Lo stesso non vale per i titoli di Stato, ancora in balia di venti contrari (inasprimento quantitativo).
Quella parola con la R… – Già troppo prezzata
Ad aprile i mercati hanno iniziato a prezzare in modo più aggressivo le possibilità di una recessione.
Anche gli spread creditizi si trovano a livelli recessivi. I livelli attuali sono storicamente associati a una marcata, e talvolta profonda, recessione globale. Gli indici dei CDS (Credit Default Swap) europei sono più ampi di 50pb rispetto ai livelli peggiori raggiunti nel 2018. Il nostro modello interno suggerisce che gli spread del credito HY rispetto al rischio implicito nei fondamentalisono i più ampi dalla crisi di Covid nel 2020.
Come già osservato, i prezzi ribassisti non sono del tutto giustificati dai dati. A meno di un’improvvisa interruzione dei flussi di gas, la crescita europea rimarrà al di sopra dell’1,5% nel 2022 e toccherà il fondo nel quarto trimestre. L’economia americana rimane solida e quella cinese crescerà oltre il 3,5% nonostante un trimestre di chiusure dovute al Covid. L’aumento dei costi energetici comporta una certa pressione sui margini. Tuttavia, gli aumenti sono concentrati in pochi settori, alcuni dei quali godono ancora dei benefici della riapertura post Covid e di un ampio sostegno governativo. Il rischio di credito delle imprese non dovrebbe quindi aumentare in modo significativo.
Rimanere tattici
I prossimi due anni saranno ancora impegnativi per gli investitori, in quanto i rischi legati ai tassi terminali delle banche centrali sono saliti e i premi al rischio si adegueranno di conseguenza. Nel reddito fisso, solo il 4% delle obbligazioni globali ha un rendimento negativo, contro il 20% di pochi mesi fa. Tuttavia, la maggior parte delle obbligazioni rende al di sotto del loro tasso di inflazione di riferimento, il che suggerisce che una strategia “buy-and-hold” nell’obbligazionario, a cui gli investitori hanno iniziato ad abituarsi un po’ troppo, difficilmente produrrà rendimenti soddisfacenti nel medio termine.
A nostro parere, gli investitori dovrebbero approcciarsi all’asset allocation tatticamente: qualche settimana fa, il livello di rischio è mutato, ma i dati tecnici stanno migliorando e le valutazioni rimangono ancora attraenti. Inoltre, è improbabile che la stabilità dei tassi venga messa in discussione dalle banche centrali nel prossimo futuro. La differenza tra questo rally e quelli precedenti, almeno per quanto riguarda il reddito fisso, è che gli attivi relativamente sicuri hanno valutazioni storicamente interessanti, dato che il crollo è stato ampio. Essere lunghi sul credito con rating superiore a BB e in giurisdizioni sicure è un posizionamento consigliato nel panorama attuale.
Sarà importante costruire coperture sui tassi prima di ridurre il rischio in modo più deciso. Gli asset di rischio stanno probabilmente sopravvalutando le possibilità di recessione, mentre i tassi reali sono troppo bassi per quasi tutti i possibili livelli di inflazione. Pertanto, il rischio rimane nel complesso più interessante dei tassi e i cali di rendimento del Treasury americano rappresentano un’opportunità per coprire di più.
Vediamo valore nelle obbligazioni statunitensi IG e in alcune hard currency dei mercati emergenti con rating superiori a BB-. Quelle aree hanno sottoperformato i mercati del credito e sono a buon mercato rispetto ad altri momenti storici. Per quanto riguarda IG americano, le banche statunitensi hanno visto emissioni sostanziali in aprile e maggio (al contrario di tutti gli altri mercati), quindi hanno minor rischio di approvvigionamento. Per quanto riguarda hard currency dei mercati emergenti, privilegiamo il mercato sudamericano e quello degli esportatori di materie prime. Rimaniamo negativi sugli importatori di materie prime in Medio Oriente e Africa. In Europa, privilegiamo alcuni industriali e nomi legati alle riaperture, per lo più nello spazio ad alto rendimento. Vediamo potenziale al rialzo nell’EUR/USD data la probabile svolta aggressiva della BCE.
Il macro rischio principale – L’Europa e il problema energetico
Il rischio macro-globale principale è l’improvviso distacco dell’Europa dall’energia russa, che potrebbe far materializzare una recessione nel 2022-23 e mandare l’inflazione fuori controllo. Per quanto l’embargo sul petrolio recentemente introdotto dall’UE abbia incrementato le possibilità di ritorsione sui mercati del gas, è improbabile che i principali Paesi quali Germania e Italia si trovino di fronte a un taglio rapido. Le politiche nazionali sui prezzi dell’energia sono costate finora l’1% del PIL in Europa, ma il costo dell’indipendenza energetica dalla Russia è molto più alto. L’UE potrebbe mettere a disposizione risorse molto più consistenti, anche se distribuite in modo diseguale tra i Paesi.
Embargo petrolifero UE – Poco e tardi
Le importazioni di petrolio del blocco europeo sono più diversificate rispetto alle importazioni di gas. Per la Russia, invece, il mercato dell’UE rappresenta circa il 50% delle esportazioni di petrolio. Il sesto pacchetto di sanzioni dell’UE che include un embargo sul petrolio, ha richiesto settimane di negoziati per superare il veto dell’Ungheria – un’ulteriore prova di quanto le sanzioni energetiche nell’UE continuino ad apparire controverse e politicamente polarizzate. Il pacchetto concordato il 31 maggio è più debole della proposta originale e tale difficoltà a trovare un accordo rende la prospettiva di un blocco UE sul gas (politicamente ancora più controverso) meno probabile di quanto apparisse poche settimane fa.
Lo stallo del gas – Maggiore rischio di ritorsioni
Il 18 maggio la Commissione europea ha pubblicato REPowerEU, un piano che stabilisce come il blocco raggiungerà l’indipendenza energetica dalla Russia entro il 2027. Nel frattempo, la mossa di imporre un embargo sul petrolio aumenta il rischio di azioni di ritorsione sul gas naturale da parte della Russia, che ha già interrotto i flussi a cinque grandi compagnie energetiche dell’Unione europea per non aver pagato secondo lo schema di pagamento del gas in rubli. I livelli di stoccaggio di gas hanno continuato ad aumentare negli ultimi mesi in tutta l’UE, ma lo stoccaggio è ancora molto al di sotto l’obiettivo dell’80% da raggiungere entro novembre 2022. Un’interruzione delle forniture di gas russo all’Europa sarebbe quindi uno shock significativo per l’economia dell’UE, con una riduzione di 2-3 punti percentuali del VAL, anche ipotizzando un razionamento ottimale e tagli alla produzione.
REPowerEU – Un test per il coordinamento dell’UE
Tra il quarto trimestre del 2021 e il secondo trimestre del 2022, i Paesi dell’UE hanno speso in media l’1% del PIL per proteggere i consumatori e le imprese dall’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia. Il raggiungimento dell’indipendenza dalla Russia richiederà un investimento supplementare di 210 miliardi di euro in 5 anni.
I Paesi potranno utilizzare la quota non reclamata dei prestiti nell’ambito dello Strumento per la ripresa e la resilienza (RRF) per finanziare gli investimenti di REPowerEU. Finora, solo sette Paesi avevano fatto richiesta per prestiti RRF, lasciando un importo residuo di 225 miliardi di euro. La Commissione europea prevede di emettere anche nuove sovvenzioni per il RRF da finanziare dalla vendita all’asta di quote del sistema di scambio di emissioni attualmente detenute nella Market Stability Reserve, per un valore di 20 miliardi di euro. In percentuale del PIL, l’UE metterà a disposizione fondi per un valore medio del 5,5% del PIL che i Paesi potranno utilizzare per compensare l’aumento dei prezzi dell’energia e accelerare la transizione nei prossimi anni. Ma per quei Paesi che hanno già usufruito in toto o in gran parte dei prestiti di Next Generation UE, l’importo sarà molto inferiore. Italia, Grecia e Romania avranno accesso ad appena l’1% del PIL di fondi extra del RRF da utilizzare per REPowerEU, a meno che altri Stati membri non decidano di rinunciare ai prestiti del RRF a cui hanno diritto.
Conclusione
I timori legati alla stagflazione e l’esaurimento dello stimolo post-Covid hanno portato a un massiccio riprezzamento del mercato nella prima metà del 2022. Obbligazionario e azionario hanno subito una correzione simultanea e i governativi americano hanno perso il 12%, il più grande crollo del primo semestre di sempre.
Gli investitori non hanno potuto difendersi, per cui i deflussi sono aumentati trasversalmente alle classi di attivi, in particolare nel reddito fisso. I mercati obbligazionari ne escono “ripuliti”: gli spread stanno ora prezzando una recessione e i Paesi stanno rallentando la corsa, ma sono ancora in crescita. Rendimenti più elevati e spread ai massimi suggeriscono che le obbligazioni di qualità ricominceranno a pagare rendimenti interessanti.
Il credito si è rivalutato più dell’azionario e appare più interessante. La volatilità rimarrà elevata, pertanto gli investitori dovrebbero mantenere un approccio tattico e concentrarsi sull’alfa e sulla conservazione del capitale. Riteniamo che il rischio principale per i mercati sia l’inflazione, non tanto una recessione. L’inasprimento dei tassi è ben prezzato per il 2022, ma è probabile che i tassi terminali salgano a causa di un’inflazione persistente. La politica energetica europea è il rischio principale per l’economia. Non vediamo segnali di un imminente taglio del gas, ma un cambiamento improvviso farebbe precipitare l’Europa in una recessione già nel 2022.
Davide Serra
Founder & CEO
Sebastiano Pirro
CIO & Financial Credit Portfolio Manager
Gabriele Foà
Global Credit Portfolio Manager
Silvia Merler
Head of ESG & Policy Research
Tao Pan
Head of AI and Big Data
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