Messaggi principali dai meeting annuali del FMI a Washington, a cui ha partecipato il team di credito globale di Algebris.
Per quanto riguarda la macroeconomia statunitense, il rischio principale è una ripresa dell’inflazione, mentre in Europa il rischio è la crescita, alimentando la divergenza tra i continenti. La recessione negli Stati Uniti non è più un rischio per gli investitori. Le preoccupazioni per la situazione fiscale degli Stati Uniti sono elevate, con l’elezione di Trump ora considerata lo scenario base, ma non il “Republican sweep”; rischio/rendimento quindi più bilanciato. I dazi sono il principale timore globale (più della geopolitica) e le speranze nutrite nei confronti dello stimolo in Cina si sono ridotte.
Inflazione
Il tema dell’inflazione non preoccupa più come un anno fa. Questo non significa che il tema sia superato: con i prezzi dell’energia che si sono stabilizzati l’inflazione “headline” è scesa mentre quella “core” è risultata più resiliente. Inoltre l’inflazione dei servizi rimane alta (circa 4-6% nei vari Paesi). Non siamo tornati ai livelli pre-2022 e l’inflazione è ancora percepita come un rischio globale per il 2025.
Scenario macro
Il Fondo Monetario Internazionale mantiene le stime per la crescita globale nel 2025 al 3,2%, con un leggero rallentamento negli Stati Uniti compensato dal miglioramento della componente asiatica emergente (Cina esclusa). La Cina scende al 4,5% e l’Europa resta stabile su livelli bassi. I timori di una recessione globale si sono attenuati e i dazi sono considerati il rischio principale (più della geopolitica). La maggior parte delle banche centrali continuerà a tagliare i tassi, ma dato che il ciclo non è così negativo come si temeva alla fine del 2° trimestre, sono attesi rallentamenti o arresti.
Inflazione USA
L’inflazione negli Stati Uniti rimane al centro delle preoccupazioni. L’inflazione “core” al 2,7% non viene percepita pienamente in linea con l’obiettivo e “l’ultimo miglio è il più difficile da percorrere”. Le stime dell’inflazione “core” a 12 mesi oscillano tra il 2,5% e il 3% contro il target della Fed del 2,3%. Le politiche di Harris sono percepite come neutre dal punto di vista dell’inflazione, mentre quelle di Trump inflattive per la riduzione dei flussi migratori, la politica commerciale e la spinta fiscale. Intervallo del premio all’inflazione di Trump 0,4-0,8% su base 12 mesi.
Panorama macro USA
Il panorama macro USA è solido, con previsione di non-atterraggio o di atterraggio morbido. La recessione degli Stati Uniti non è più un tema. Le ultime revisioni dei dati sono considerate una prova della resilienza dei consumatori in un contesto di tassi più elevati. I dati del mercato del lavoro sono visti indubbiamente come solidi e la debolezza dei mesi estivi viene spiegata con considerazioni settoriali o di stagionalità. I fattori principali di un potenziale allentamento della Fed sono i tassi reali percepiti come elevati e i possibili rischi di inflazione al ribasso. La crescita potenziale degli Stati Uniti è rallentata rispetto a due anni fa ed è ora più vicina al 2%, mantenendo l’attuale tasso di crescita al di sopra del potenziale.
Politica monetaria USA
Visto il momento di “black-out” della FED, gli investitori stanno ricalibrando le loro aspettative. La view di mercato è infatti passata da un lungo ciclo di tagli che termina sotto il 3% a un aggiustamento di metà ciclo al 4-4,25%. Il taglio di novembre non è a rischio, né quello di dicembre probabilmente, ma ci sono rischi pronunciati per il tasso terminale (ora valutato al 3,5%). Le stime del tasso neutrale sono a 3-3,5% contro il 2,8% di lungo periodo della Fed.
Politica fiscale USA
La politica fiscale USA preoccupa, con pochissimi rimasti fiduciosi e alcuni che prevedono scenari catastrofici. JPM stima un debito/PIL del 165% nei prossimi 30 anni e molti investitori vedono un incremento nei premi visto il possibile ritorno dei bond-vigilantes. Alcuni temono una crisi qualora debito raggiungesse il 130% del GDP, la soglia per cui i Treasury inizieranno ad essere più legati al panorama fiscale. Le elezioni sono percepite come negative qualunque candidato vinca, ma alcuni ritengono che un Congresso diviso sarebbe peggiore di una maggioranza repubblicana, poiché priorità contrastanti porterebbero ad un aumento della spesa. La raccolta dei Treasury Bill è aumentata, ma ha raggiunto il tetto del 20%, quindi ci saranno più emissioni di Treasury a prescindere da chi vincerà.
Elezioni USA
L’ipotesi di base vede il Senato in mano ai Repubblicani e la Camera Democratica, senza però certezze sul Presidente. Un presidente Repubblicano aumenterebbe le probabilità di “republican sweep”. Gli investitori si aspettano una vittoria di Trump, gli esperti sono più equilibrati. I sondaggi rimangono difficili da interpretare, con una leggera preferenza per Trump dovuta ad un momentum positivo ed alla percezione che l’economia stia andando nella direzione sbagliata. La vittoria sarà determinata da una manciata di voti, 6-7mila voti in alcuni Stati. Chi vince in Pennsylvania ha l’85% di probabilità di vincere. La convocazione della Camera potrebbe richiedere settimane. Trump è pronto a fare causa in caso di sconfitta, quindi ci aspettiamo turbolenze.
Politiche repubblicane
Trump è sinonimo di incertezza ed è considerato difficile da interpretare. Nessuno lo conosce fino in fondo tranne forse Musk e Thiel. Il consenso è che faccia sul serio su immigrazione e fisco, ma abbia bisogno del Congresso per quest’ultimo. C’è scetticismo sulle sue politiche commerciali, in particolare sui dazi, che alcuni considerano come leva per i negoziati su tecnologia e valuta. La Cina è l’obiettivo principale, ma anche la Germania e il Giappone lo sono. La posizione favorevole alle imprese di Trump è controbilanciata dalle preoccupazioni per l’impatto sulla crescita delle tariffe. Anche la potenziale interferenza della Fed solleva preoccupazioni, con pressioni sulla leadership della Fed e possibili nomine alternative. I primi 100 giorni di Trump si concentreranno probabilmente sui tagli alle tasse, sulla creazione di posti di lavoro e sull’aumento della produzione di energia a 3 milioni di barili al giorno. L’agenda prevede una distensione per quanto riguarda i conflitti in Medio Oriente, Ucraina e Taiwan, ma il modo in cui intende farlo non è chiaro. Sono probabili intensificazioni di discussioni con Netanyahu e discussioni ombra con Putin.
Politiche democratiche
Le politiche dei Democratici sono considerate stabili e prevedibili. Ci si aspetta infatti una continuazione dell’approccio economico di Biden, con un focus maggiore su questioni sociali e sull’innovazione, favorendo le piccole imprese. Le sue politiche sono percepite come sfavorevoli per le grandi aziende, con priorità come alloggi a prezzi accessibili, assistenza sanitaria e beni di consumo. I suoi piani potrebbero tradursi in una spesa significativa, anche se i tentativi di aumentare le tasse sulle imprese potrebbero incontrare delle difficoltà, portando a un impatto fiscale potenzialmente espansivo.
Impatto delle elezioni statunitensi sui mercati
L’impressione è che l’elezione di Trump sia quotata, ma non una vittoria repubblicana schiacciante (“republican sweep”). I rischi sono quindi più equilibrati rispetto a un mese fa, in quanto la vittoria di Harris mette a rischio i “Trump trade”. Per quanto riguarda i tassi, una presidenza Trump dovrebbe portare a rendimenti più alti, con un obiettivo del 5% sul decennale. Per quanto riguarda le valute, le politiche di Trump dovrebbero portare a un rafforzamento del dollaro USA a causa dei dazi. Le prospettive azionarie sono contrastanti; Trump è considerato meno favorevole rispetto al 2016 a causa dei dazi, dell’impatto sui tassi e dell’aumento dell’incertezza.
Panorama macro Europa
Le prospettive per l’Europa rimangono negative, con una crescita lenta nonostante l’aumento dei salari reali e la riduzione del tasso di risparmio. Il turismo e l’ospitalità sono punti di forza, soprattutto nelle regioni periferiche, ma è improbabile che possano sostenere una crescita a lungo termine. L’industria manifatturiera, in particolare quella tedesca, continua a destare preoccupazione. L’Europa è considerata vulnerabile agli shock, con i dazi del 10% che rappresentano un potenziale rischio di recessione. Anche l’esposizione dell’Europa alla Cina desta preoccupazione, mentre il fondo Next Generation dell’UE non ha incrementato in modo significativo la competitività. Il piano di Draghi gode di un ampio sostegno, ma pochi credono che sarà pienamente attuato.
BCE
La BCE ha assunto un atteggiamento più dovish. L’inflazione al di sotto dell’obiettivo a settembre rassicura i “falchi”, mentre i dati PMI suggeriscono rischi di recessione. Si ha la sensazione che il vecchio contesto deflazionistico stia tornando, mentre la crescita rimane la preoccupazione principale. Il tasso terminale dovrebbe scendere al di sotto della neutralità, tra l’1-1,5%. Si prevede un taglio di 50 pb, anche se probabilmente ritardato a dopo novembre, in attesa dei dati. L’aumento dei salari nominali rappresenta un rischio inflazionistico per il 2025, in quanto il costo del lavoro è ora il principale motore dell’inflazione in Europa.
Regno Unito
La questione fiscale è un grosso problema, in quanto non è chiaro se il Regno Unito si allineerà o meno agli Stati Uniti/Francia nella categoria dei “big spender”. C’è consenso sulla necessità di spesa per le infrastrutture, quindi le entrate per la spesa extra di 50 miliardi di sterline saranno osservate attentamente nel bilancio. I funzionari della BOE si sforzano di sembrare cauti e non troppo accomodanti, vista la tenuta dell’inflazione dei servizi.
Cina
Si prevede che la Cina annuncerà misure di stimolo durante la riunione dell’Assemblea Nazionale del Popolo il 4-8 novembre, focalizzandosi sui consumatori e coordinandoli con la politica monetaria. Il grado di fiducia varia, con la maggior parte degli scettici che indicano un valore di 3-4tn di yuan come percentuale del PIL rispetto al 2008 o al 2015. Le tariffe doganali sono una grande preoccupazione e alcuni elementi indicano un rallentamento degli investimenti in previsione dell’inizio delle stesse. Lo yuan probabilmente si deprezzerà gradualmente in risposta e le prime ritorsioni tariffarie potrebbero colpire le importazioni di Apple. In generale, ci si aspetta che Xi persegua il negoziato, portando a una significativa contrattazione.
Giappone
Si prevede che la BOJ manterrà il suo approccio moderato, mantenendo alcune aspettative dovish per evitare che si ripetano gli shock di restringimento del passato. Il posizionamento strutturale nel carry trade dello JPY persiste, con un range neutrale reale tra -1% e 0,5%. Il tasso terminale dovrebbe raggiungere l’1-2% nei prossimi due anni.
Medio Oriente
L’attenzione si è spostata dai rischi immediati di conflitto tra Israele e Iran a una visione a più lungo termine di rischi crescenti ma a sviluppo più lento.
Ucraina
La guerra è in fase di stallo, ma di recente si è accennato a lievi aperture ai colloqui di pace, anche se con precondizioni non negoziabili. Le elezioni americane potrebbero influire pesantemente sul sostegno, poiché si prevede che Trump ridurrà i finanziamenti, mentre Harris probabilmente continuerà l’approccio di Biden. I finanziamenti europei all’Ucraina sono aumentati in modo significativo. Le obbligazioni ucraine sono considerate un’operazione legata a Trump.
Mercati
Il sentiment dei mercati è basso, caratterizzato da una minore propensione al rischio rispetto ai cicli precedenti. Gli investitori si coprono con USD e steepeners della curva concentrati sui rendimenti a lungo termine. La divergenza tra i tassi terminali statunitensi ed europei rimane un tema dominante e gli investitori privilegiano gli allargamenti di UST-Bund e il ribasso di EURUSD. USDCNH e USDMXN sono considerate le coperture preferite di Trump.
Credito
Tutti sono lunghi e cercano di giustificare il motivo per cui lo sono. Nessuno vede i rischi di Trump e gli investitori del credito credono alla storia della “disinflazione immacolata” molto più della comunità macro. Gli argomenti spesso citati sono: 1) Gli IG sono stretti ma quest’anno si è verificato un numero record di upgrade vs. downgrade. 2) Gli HY sono stretti, ma la percentuale record di B nell’indice non è quindi paragonabile. 3) Il tasso di default degli HY statunitensi inferiore all’1,5% ci dice qualcosa sul ciclo. L’attenzione al margine si sta spostando dal beta a storie più distressed che hanno ancora un upside.
Mercati emergenti
Gli investitori esposti ai Paesi emergenti hanno ottenuto buoni risultati nel credito di bassa qualità, ma hanno registrato risultati contrastanti nei mercati locali, soprattutto in America Latina. Molti hanno ridotto l’esposizione, in attesa dei risultati delle elezioni statunitensi e delle potenziali reazioni della Fed. Mentre l’interesse per la Cina rimane limitato, cresce l’ottimismo per l’Asia non cinese, in particolare per India, Indonesia, Malesia e Tailandia. L’Argentina si distingue per l’ottimismo nei confronti dell’amministrazione Milei. L’umore è forte per la Turchia, il Sudafrica e l’Egitto, mentre le opinioni sono più costruttive sull’Ucraina. Brasile e Messico continuano a destare preoccupazione, anche se nel primo caso i timori si stanno attenuando.
Davide Serra
Founder & CEO
Sebastiano Pirro
CIO & Financial Credit Portfolio Manager
Gabriele Foà
Global Credit Portfolio Manager
Silvia Merler
Head of ESG & Policy Research
Lennart Lengeling
Macro Analyst
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