You say you want a revolution
Revolution, The Beatles, 1968
Well, you know
We all want to change the world
You tell me that it’s evolution
Well, you know
We all want to change the world
Cosa hanno in comune scarpe da ginnastica rare, arte digitale e figurine da collezione? Sono tutti beni che non producono flussi di cassa o reddito. Inoltre, la loro offerta è limitata e di recente abbiamo visto i loro prezzi salire alle stelle. Perché?
L’inflazione è sempre e comunque un fenomeno politico. La storia dimostra che governi ed elettori hanno l’ultima parola su spesa, monetizzazione del deficit e svilimento delle monete, con conseguente forte impatto sull’inflazione, anche senza considerare i risultati degli aggregati monetari, dei canali di trasmissione e della velocità del denaro.
Oggi la situazione sta cambiando. Dopo un ciclo del debito pluridecennale culminato in un decennio di tassi reali negativi, i governi si stanno spostando dalle politiche deflazionistiche alla lotta alla disuguaglianza che potrebbe portare alla stagnazione secolare. Ci riusciranno? A nostro avviso, questa è la domanda più importante a cui gli investitori devono rispondere per navigare la situazione attuale.
Sappiamo ancora poco del piano infrastrutturale varato dall’amministrazione Biden e se questo riuscirà ad invertire la stagnazione secolare e ad aumentare l’inflazione. Tuttavia, sappiamo che la musica è cambiata e gli investitori istituzionali sono posizionati nel modo sbagliato: troppo esposti ad attivi le cui valutazioni sono sostenute da bassi tassi di interesse e bassa inflazione e sotto-esposti rispetto all’economia reale. Gli asset sostenuti dalle banche centrali (governativi, credito investment grade, azioni Growth) sono quelli che hanno performato meglio nell’ultimo decennio, attraendo la maggior parte dei flussi di capitale.
Tuttavia, gli ultimi mesi hanno dimostrato che anche solo l’ombra delle politiche inflazionistiche è sufficiente a provocare un violento repricing dei rendimenti e degli asset sensibili ai tassi di interesse. Alcune banche centrali (come quelle australiana ed europea) hanno lasciato i tassi invariati, mentre la Fed per ora prosegue con il proprio piano di acquisti, il che significa che l’opzione put implicita è sempre lì, ma con strike price più basso. Se la Fed agisse, come ci aspettiamo, lasciando salire i rendimenti decennali verso il 2,5%, allora gli asset del Quantitative Easing (QE) saranno soggetti ad un brusco riprezzamento. Se invece cercasse di fermarne la salita attuando politiche di controllo della curva, allora ci troveremmo con un dollaro ancora più basso, inflazione più alta e tassi reali ancora più negativi per i governativi.
Gli investitori in attivi a basso rendimento si troveranno inevitabilmente a perdere i loro soldi: resta da capire se ciò avverrà lentamente (con l’inflazione che piano piano erode il loro rendimento) o rapidamente (in caso di un rapido riprezzamento).
In questo contesto, le strategie attive che non si basano su beni rifugio saranno vincenti. A nostro parere la chiave sarà catturare alfa sia a livello macro (dalla volatilità e dalle divergenze nella velocità di ripresa tra Paesi) che micro, investendo in settori che beneficeranno di forte crescita e inflazione più rapida.
La fine dei portafogli tradizionali?
Come dobbiamo ripensare la costruzione del portafoglio in questo mondo post-pandemia? I bruschi aggiustamenti di mercato visti negli ultimi anni stanno mettendo in discussione molti dei pilastri tradizionali dell’asset allocation. È improbabile che in futuro un portafoglio bilanciato 60/40 fornisca un rapporto rischio/rendimento interessante, poiché i rendimenti bassi ma in aumento invertiranno la correlazione storica tra obbligazioni e azioni. L’aumento dei tassi è una conseguenza inevitabile della ripartenza dell’economia, anche se il ritmo non sarà sostenuto come quello di febbraio. Tuttavia, l’aumento dei rendimenti potrebbe anche diventare strutturale, se il mix di politiche si spostasse permanentemente verso un maggiore stimolo fiscale.
Portafogli 60/40 – non più la soluzione perfetta
La correlazione generalmente negativa tra azioni e obbligazioni degli ultimi due decenni è stata un importante pilastro della costruzione di portafoglio. Tuttavia, è facile dimenticare che si tratta di un fenomeno piuttosto recente; ad esempio, prima della fine degli anni ’90, la correlazione tra azioni e obbligazioni era positiva. Ricerche come quella pubblicata da Andersson et al. (2008) suggeriscono che il cambiamento potrebbe essere dovuto all’inflazione e alle aspettative di inflazione. Come mostrato nel grafico, la correlazione tra azioni e obbligazioni saliva quando l’inflazione saliva ed era molto positiva quando l’inflazione era superiore al 4%. In altre parole, quando gli investitori erano fiduciosi che l’inflazione sarebbe rimasta contenuta senza innescare rialzi tassi o erodere i rendimenti futuri, i titoli di stato fornivano una buona riserva di valore, o un “porto sicuro” in tempi di volatilità del mercato.
Ma quando i rendimenti sono troppo bassi, i governativi non coprono bene il rischio dell’azionario. Pertanto, il classico mix bilanciato di azioni e obbligazioni gioca a sfavore degli investitori, che soffrono su entrambi i fronti. Negli ultimi 20 anni, quando la correlazione tra azioni e obbligazioni è stata tendenzialmente negativa, i rendimenti in calo tendevano a segnalare un’inversione temporanea. Questo perché l’aumento dei rendimenti avrebbe iniziato a influenzare le azioni, mentre i selloff azionari non riuscivano ad innescare tassi più bassi. Questo è accaduto nel 2013 e a fine 2017, e il 2021 potrebbe seguire lo stesso copione.
Infatti, da marzo 2020, i mercati hanno già sperimentato due correzioni azionarie (agosto e ottobre, quando l’S&P è sceso di circa il 9%). In entrambi i casi, i rendimenti dei governativi si sono mossi appena. L’accelerazione dei tassi vista a febbraio, al contrario, ha iniziato a influenzare l’azionario. Allo stesso modo, le valutazioni azionarie elevate nei settori Growth indicano che il rally del 2020 ha meccanicamente aumentato la duration azionaria, ovvero la sensibilità del mercato azionario all’aumento dei tassi. Oggi, il portafoglio tradizionale 60/40 offre il rendimento più basso e il rischio duration più alto di sempre.
Tassi – direzione nord
Se la storia e le valutazioni suggeriscono che i mercati azionari sono vulnerabili a ulteriori aumenti dei tassi, i recenti movimenti lasciano pensare che un’altra fase di svendite non sia lontana.
Innanzitutto, perchè diventerà gradualmente più difficile per l’azionario sostenere questo livello di rendimenti. Il rendimento da dividendi dell’indice S&P 500 è ~1,5%, vicino all’attuale rendimento del decennale americano. Se il trend dovesse continuare, farebbe sicuramente allontanare dall’azionario gli investitori in cerca di reddito. In secondo luogo, perché è aumentato il ritmo con cui i rendimenti dei governativi stanno salendo. La volatilità dei tassi è quasi raddoppiata nella seconda metà di febbraio ed è ora ai livelli più alti da aprile 2020. Movimenti dei tassi più rapidi tendono a influenzare la volatilità e i prezzi azionari in modo più marcato. Infine, per i motivi che sono alla base dell’aumento dei tassi. Mentre la maggior parte dell’aumento di gennaio era dovuto alle aspettative di inflazione, il movimento di febbraio è stato innescato da tassi reali più alti, che si ripercuotono più facilmente sul rischio. Con il breakeven dell’inflazione a lungo termine sopra il 2% e i rendimenti reali ai minimi da molti anni, è probabile che in futuro un’ulteriore pressione sui tassi derivi dai rendimenti reali. Attualmente il rischio duration è la principale incognita nei portafogli degli investitori e crediamo che la pressione sui tassi globali rimarrà. I rendimenti reali sono ora a circa -0,7%, il livello più basso degli ultimi vent’anni, precedentemente raggiunto solo dopo la crisi dell’Eurozona nel 2012. Poiché il secondo e il terzo trimestre dell’anno offriranno una crescita robusta, una maggiore normalizzazione potrebbe avvenire anche in assenza di una stretta delle banche centrali. Le aspettative di inflazione si aggirano intorno al 2%, un livello non altissimo, che probabilmente sarà superato dalle pubblicazioni degli IPC (Indici dei Prezzi al Consumo) ad aprile e maggio. Gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno aumentando gli stimoli e l’Europa potrebbe seguirli nel secondo semestre dell’anno. Questa volta l’offerta in eccesso dovrà essere assorbita dai mercati, dato che le banche centrali hanno poche ragioni per aumentare il QE in una fase di ripresa.
Le banche centrali cercheranno di controllare il ritmo dell’allargamento tassi e potrebbero fermarlo a tratti, ma è improbabile che possano invertire la tendenza. Dato che la crescita globale sta rimbalzando e che i dati mostrano una certa inflazione, non c’è motivo di intensificare le misure per controllare i rendimenti a lungo termine, a meno che la volatilità del mercato non vada fuori controllo. L’intervento verbale ancorerà il front-end della curva, ma rimarranno pressioni per l’irripidimento. Non crediamo che le principali banche centrali smettano di essere accomodanti prima della seconda metà dell’anno, ma una posizione “neutrale” è storicamente coerente con rendimenti reali intorno allo 0,5% (che di per sé sarebbe sufficiente per un ulteriore ampliamento di 120 pb).
Politica fiscale americana – benzina sui tassi infuocati.
Ulteriore pressione sui tassi verrà dalla politica fiscale statunitense. Ad inizio marzo, il Congresso americano ha approvato la versione completa del pacchetto fiscale di Biden, che consiste in $1,9 miliardi di nuovi stimoli. Come abbiamo discusso nella precedente edizione del Silver Bullet, circa il 50% del piano è dedicato a misure di sostegno al reddito, compresi gli assegni di stimolo e il sostegno alla disoccupazione. Con i tassi di risparmio statunitensi già a 2,5 volte i livelli pre-covid, le previsioni di spesa sono molto rosee per il secondo semestre dell’anno, quando l’economia statunitense dovrebbe accelerare la riapertura. Uno stimolo del 10% del PIL è in linea con l’anno scorso, con la differenza chiave che questa volta agli investitori viene lasciato l’onere di acquistare le obbligazioni. Nel 2021, il Tesoro americano emetterà $2,5tn di nuove obbligazioni, mentre la Fed ne assorbirà solo $1tn. E qui si vede la netta differenza con il 2020, quando gli acquisti della Fed hanno costantemente superato le emissioni del Tesoro. In passato (ad esempio nel biennio 2016-17), espansione fiscale senza politiche monetarie accomodanti ha portato all’irripidimento della curva.
Credito – il gigante addormentato
I mercati del credito sono stati finora straordinariamente resilienti rispetto ai movimenti dei tassi. Crediamo che questo sia dovuto a buoni dati macroeconomici e al sostegno delle banche centrali. Tuttavia, pensiamo che il credito potrebbe improvvisamente indebolirsi nel corso dell’anno, quando il sostegno delle banche centrali sarà messo in discussione dalle crescenti pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti e il flusso di notizie macroeconomiche positive si esaurirà gradualmente.
li spread sul credito normalmente si restringono in un ambiente macroeconomico positivo. Oggi, tuttavia, sono già stati compressi dagli acquisti delle banche centrali e hanno poco spazio per compensare un allargamento dei governativi. Al rischio di un aumento dei rendimenti si aggiunge l’aumento della duration: quella del credito investment grade (IG) statunitense è ora oltre i dieci anni, poiché gli emittenti hanno esteso le scadenze negli ultimi anni. L’indice iBoxx in dollari ha già perso oltre il 6% da inizio anno, a causa dell’aumento dei rendimenti.
Le obbligazioni con rendimento più alto sono più protette, ma il buffer non è grande. Il debito americano high yield (HY) rende agli investitori ~370 pb, che è troppo poco per compensare piccole perdite nel credito e un potenziale allargamento dei rendimenti di 50-100 pb.
Questo semplice calcolo fa capire come il credito IG considerato generalmente “sicuro” è in realtà perdente, mentre il rischioso credito HY non offre in realtà rendimento. A nostro parere, se i tassi di interesse continuassero a salire, i flussi potrebbero invertirsi, come nel 2013 e nel 2018. Dal 15 aprile 2020, $640 miliardi sono fluiti dagli investitori al mercato obbligazionario globale, più del 50% dei quali nel credito IG. EM e HY hanno chiuso il 2020 con flussi netti positivi, nonostante i forti deflussi di marzo-aprile. Anche solo un parziale svincolo di questi flussi potrebbe aggravare i movimenti dei tassi, ampliando gli spread del credito di pari passo.
Costruzione di portafoglio ottimale nel deserto dei rendimenti
Approccio barbell è vincente
Un portafoglio dinamico con approccio “barbell” tra credito e liquidità offre un rapporto rischio-rendimento migliore di un portafoglio tradizionale, completamente investito in credito. In un contesto di QE e di tassi d’interesse bassissimi, quest’ultimo offre rendimenti negativamente convessi agli investitori. Ciò significa che questi ultimi ricevono una piccola cedola annuale in cambio del rischio di grossi crolli e l’incapacità di impiegare liquidità di riserva in periodi di stress. Con gli spread che si restringono e la duration delle obbligazioni in crescita, anche un piccolo allargamento può cancellare un intero anno di carry. Questo rischio-rendimento negativo è particolarmente lampante oggi, dati i mercati fragili e volatili a valutazioni elevate: dall’inizio del QE, gli eventi estremi sono diventati più frequenti, come illustrato in seguito. A nostro parere, un portafoglio barbell tra liquidità e obbligazioni con rating BB o B- fornisce lo stesso spread di un portafoglio di solo credito BBB, ma lascia anche la possibilità di generare ulteriori rendimenti/alfa impiegando la liquidità di riserva in momenti di stress.
Per dimostrarlo, abbiamo creato tre portafogli ipotetici: uno BBB solo credito, uno barbell cash/obbligazioni BB e uno barbell cash/obbligazioni B. I pesi della liquidità rispetto a credito BB o B sono regolati in modo che tutti e tre i portafogli abbiano lo stesso spread medio. Per i portafogli barbell, assumiamo che per ogni crollo dell’1,2% dei mercati, venga impiegata la metà delle riserve di liquidità, vale a dire che con un drawdown del 2,4% i portafogli sarebbero completamente investiti rispettivamente in credito BB e B. Le obbligazioni acquistate verrebbero poi vendute quando il mercato fosse salito dell’1,2% dal punto di ingresso. Come mostrato nel grafico, i portafogli con che seguono questo approccio barbell performano meglio del portafoglio interamente di credito BBB, anche con soglie più basse.
Obbligazioni convertibili – meglio la convessità del credito standard Nell’ultimo anno, il mercato delle obbligazioni convertibili è cresciuto del 50%, fino a toccare i $500 miliardi. Tuttavia, ha ancora spazio di crescita, soprattutto se paragonato alla dimensione del mercato HY ($2,6tn). Le convertibili offrono un migliore rapporto rischio-rendimento rispetto al semplice credito. In parole povere: in uno scenario negativo, obbligazioni convertibili e obbligazioni standard soffrono allo stesso modo, mentre in uno positivo, le convertibili offrono potenziale al rialzo molto più sostanziale e vicino a quello delle azioni. Storicamente queste obbligazioni sono state svantaggiate perché venivano emesse con una cedola più bassa delle obbligazioni standard, ma, ai livelli bassissimi toccati oggi dagli spread, questa differenza nella cedola non è più così rilevante ed è ben compensata dal potenziale al rialzo. Nel 2020, questi strumenti hanno fornito un’esposizione poco costosa ai settori in difficoltà, dando agli emittenti l’opportunità di raccogliere fondi a un costo basso e agli investitori un potenziale significativo.
Ottimizzare rischio-rendimento
In un portafoglio di credito, i derivati possono essere usati efficacemente per montare coperture, migliorare il rendimento del portafoglio e capitalizzare le opportunità di valore relativo. Si pensi per esempio all’acquisto di opzioni sui tassi per proteggersi da un allargamento dei tassi, alla vendita di covered call per migliorare i rendimenti e all’uso di CDS per catturare opportunità di valore relativo tra società/Paesi (o da trade sulla curva della stessa società/Paese). In definitiva, questi strumenti possono migliorare la capacità di catturare il potenziale al rialzo, proteggere dal ribasso e aiutare a generare ulteriore alfa. Per dimostrarlo, abbiamo modellato il rendimento del nostro portafoglio attuale rispetto a un ETF di credito HY statunitense a seconda dei movimenti di rialzo/ribasso del mercato. Come illustrato dal grafico, un portafoglio costruito con approccio barbell di credito, obbligazioni convertibili e coperture, offre un rendimento migliore.
Conclusione: non c’è più spazio per nascondersi
Come si definisce un bene rifugio? È una riserva di valore, un asset il cui prezzo è stabile e di cui ci si può fidare. Potremmo anche dire che è una classe di attivo che dovrebbe salire quando il prezzo di quelli rischiosi scende.
Ciò ormai non si applica più ai governativi. È vero che il recente movimento dei prezzi potrebbe essere ciclico, un intervallo all’interno di un mercato obbligazionario al rialzo che potrebbe persistere a causa di tendenze deflazionistiche strutturali. Ma ci sono ragioni per almeno dubitare di questa ipotesi e credere che il movimento di inflazione e tassi sia l’inizio di una svolta più sostenuta.
Traiamo alcune conclusioni strutturali dalla comunicazione politica e dall’andamento dei prezzi negli ultimi mesi:
– Le misure varate stanno puntando sempre di più verso politiche fiscali. Crediamo che l’amministrazione Biden approverà un grande piano infrastrutturale nel secondo trimestre, che coprirà un orizzonte pluridecennale. In combinazione con una distribuzione dei vaccini più veloce del previsto, pensiamo che questo spingerà il PIL statunitense al di sopra dei livelli pre-Covid già nel terzo trimestre dell’anno. Ciò detto, la disuguaglianza sociale e geografica rimarrà probabilmente elevata: di conseguenza, la politica fiscale potrebbe continuare ad essere proattiva in futuro. Misure come il reddito di cittadinanza o la classica monetizzazione del debito (ribattezzata “teoria monetaria moderna”) stanno diventando sempre più popolari.
– I governativi non sono più un “porto sicuro”. In assenza di un’inflazione significativa, un decennio di acquisti da parte delle banche centrali ha incentivato strategie basate su una bassa volatilità e correlazioni stabili. Questo equilibrio è sempre più instabile e gli investitori in asset abbondantemente disponibili appaiono sempre più vulnerabili. Anche se le banche centrali attuassero strategie di controllo della curva dei rendimenti, la ricchezza degli obbligazionisti sarebbe gradualmente erosa dall’inflazione.
– I mercati finanziari sono diventati più fragili, con più frequenti arresti improvvisi o flash crash, che a loro volta costringono le banche centrali a intervenire. Durante questi crash, il movimento dei prezzi ha mostrato che gli attivi privi di rischio non danno più protezione. In un evento di deleveraging (noto anche come “tantrum”), le svendite interessano sia gli asset rischiosi che quelli privi di rischio. Non è una novità, tuttavia.
– Una stabile correlazione negativa tra obbligazioni e attivi di rischio è un fenomeno relativamente recente, che è stato accompagnato da decenni di inflazione stabile. Prima della fine degli anni Novanta, le correlazioni tra obbligazioni e azioni erano per lo più positive. Il recente cambiamento di politica può significare un cambiamento anche nelle correlazioni.
– I principi alla base dell’asset allocation tradizionale potrebbero non funzionare più in questo contesto. In assenza di attivi privi di rischio correlati negativamente per mitigare il rischio di portafoglio, le obbligazioni non sono più in grado di bilanciarlo adeguatamente.
– Di conseguenza, gli investitori devono ripensare a quali attivi privi di rischio acquistare, o ripensare all’asset allocation in toto, concentrandosi su strategie che gestiscono il rischio internamente, piuttosto che affidarsi a correlazioni stabili tra attivi con e senza rischio. In un mondo in cui i governi producono una quantità crescente di debito e le banche centrali non intervengono più, gli obbligazionisti nel classico senso della parola si stanno trasformando in rane bollite. La costruzione di un portafoglio a reddito fisso in questo contesto è intrinsecamente difficile: la maggior parte delle classi di attivi offre poco potenziale al rialzo e tanto potenziale al ribasso.
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