“Quando la musica si fermerà, in termini di liquidità, le cose saranno complicate. Ma finché la musica suona, devi alzarti e ballare. Stiamo ancora ballando”
Chuck Prince, ex CEO di Citigroup, luglio 2007
Tutto nella vita è transitorio. La durata, tuttavia, è ciò che conta. Il forte rialzo dell’inflazione di quest’anno, guidato da un estremo effetto base, diminuirà. Ma cosa accadrà dopo che la polvere si sarà depositata?
Alcuni fattori di inflazione infatti svaniranno nel tempo, ad esempio le interruzioni nella catena d’approvvigionamento. Altri potrebbero rivelarsi più persistenti di quanto pensiamo attualmente. Le crescenti tensioni geopolitiche porteranno i Paesi sviluppati a spostare internamente la produzione di beni strategici.
In definitiva, l’inflazione è una scelta politica. Nel prossimo decennio, i millennial diventeranno gli elettori medi nei Paesi sviluppati. Ciò significa che la politica fiscale e monetaria probabilmente si concentreranno sull’appagamento di una generazione che è stata esclusa da un decennio di politica monetaria basata sulle attività finanziarie, portando ad una crescente disuguaglianza. Milton Friedman diceva che niente è più permanente di un temporaneo programma di governo. Essendo diventata popolare, la strategia dell’helicopter money, potrebbe rivelarsi difficile da affievolire.
L’indifferenza regna sui mercati finanziari. La combinazione record di stimoli monetari e fiscali ha dato agli investitori una doppia spinta al rialzo a seguito del crollo portato dalla crisi del COVID-19, creando valutazioni paradisiache. Oggi, però, queste valutazioni sono giunte agli estremi. Le curve dei rendimenti restano ben al di sotto dell’inflazione, supponendo che le banche centrali continueranno a fornire stimoli record. Gli spread nel mercato del credito sono a livelli di minimi storici, supponendo che anche le imprese zombie con un indebitamento da record sopravviveranno dopo la pandemia. La volatilità è ai minimi storici, il che implica che il domani sarà positivo tanto quanto lo è oggi. Le bolle nei beni rifugio, in attività che non generano flussi di cassa, continuano ad ingigantirsi. Tra queste attività troviamo le opere d’arte, gli oggetti da collezione come alcune rare figurine dei calciatori, e le criptovalute, delle quali ad oggi se ne contano oltre diecimila. Fino a quando i tassi reali negativi continueranno ad erodere il valore dei risparmi, gli investitori sono costretti ad acquistare attività più rischiose.
Cosa accadrà quando staccheranno la musica e il party volgerà al termine? Le banche centrali delle economie guidate dalle materie prime hanno già suonato il campanello d’allarme. Canada, Norvegia, Messico, Russia, Brasile, Ungheria e Repubblica Ceca stanno per ridurre o hanno già ridotto gli stimoli. Negli Stati Uniti, dove lo stimolo fiscale è stato maggiore e la ripresa più avanzata rispetto alla maggior parte degli altri mercati sviluppati, alcuni componenti della Fed stanno iniziando a staccarsi dalla linea del partito accomodante.
Con le riaperture della maggior parte degli stati grazie all’aumento delle vaccinazioni, il ritmo e il costo della creazione di posti di lavoro saranno fondamentali per valutare se la Fed sta agendo in maniera troppo accomodante. Riteniamo che il mercato del lavoro sarà più rigido a seguito della pandemia, con una minore partecipazione della forza lavoro e la necessità di salari più alti.
All’inizio del 2020, abbiamo scritto che non c’era più nulla da acquistare, poiché le valutazioni lasciavano margini d’azione. Come tutti sappiamo, un evento esogeno ha causato il crollo dei mercati poco dopo. Ad oggi, la narrativa in linea col consenso è quella di un’estate calma e di una navigazione tranquilla, con la maggior parte degli investitori adagiata sullo stesso lato della barca. Di conseguenza, crediamo che i mercati siano fragili e che anche dei piccoli cambiamenti di politica monetaria potrebbero innescare un riprezzamento.
I banchieri centrali riusciranno a normalizzare le loro politiche o falliranno come hanno fatto nel 2018?
Inflazione: un picco transitorio seguito da persistenti rallentamenti
L’inflazione primaria (headline) è aumentata a livello globale e ora è al di sopra del 2% nella maggior parte delle economie sviluppate. Anche l’inflazione core è al di sopra delle medie storiche. Fattori transitori, come gli effetti di base e le interruzioni della catena di approvvigionamento stanno contribuendo a questa accelerazione. Gli effetti base dovrebbero passare entro fine anno, quando usciremo dal confronto col più debole periodo di inflazione dello scorso anno. Inoltre, i colli di bottiglia dovuti alla carenza di chip hanno causato un aumento dei prezzi nei beni finali, come successo con le automobili, e si stima che faranno aumentare l’IPC core (Indice dei Prezzi al Consumo) degli Stati Uniti nel 2021 di un intervallo compreso tra lo 0,1% e lo 0,4%. Mentre i tempi di consegna dei chip continuano ad aumentare, questa carenza dovrebbe poi cessare di esistere man mano che la capacità produttiva viene gradualmente aggiunta.
Tuttavia, la Fed ora prevede che l’inflazione rimarrà al di sopra dei minimi pre-pandemia per i prossimi tre anni. Alla riunione di giugno della Fed, sono state alzate le previsioni sull’inflazione core nel corso dei prossimi due anni al 2,1% e al 2,2%.
I fattori di inflazione transitoria alla fine passeranno, ma ci sono nuovi driver persistenti per una maggiore inflazione? Pensiamo di sì.
1. La crescita dei salari reali è in ritardo: i salari dovranno recuperare il terreno perso
Il QE ha alimentato l’inflazione nei prezzi degli asset, ma i salari reali sono stati erosi o sono aumentati scarsamente nelle economie sviluppate. I salari ora stanno aumentando e la loro crescita è al di sopra dei livelli pre-pandemia negli Stati Uniti e in Europa. Da un lato, questo aumento deriva dalla riluttanza dei lavoratori a reintegrarsi nonostante le offerte di lavoro record. Ad esempio, la forte crescita dei salari nel settore dell’ospitalità è in parte dovuta a una carenza di lavoratori. Dato che i sussidi relativi alla pandemia si esauriranno durante l’estate, potremmo vedere un ritorno dell’offerta di lavoro e una certa normalizzazione dei salari. D’altra parte, la pressione politica per dei salari più alti probabilmente continuerà. La retorica nella politica degli Stati Uniti sta voltando sempre di più in favore della lotta alla disuguaglianza, in parte attraverso politiche salariali più eque o di salario minimo. Il presidente Biden ha recentemente ribadito questo punto di vista dicendo: “Il semplice fatto è, tuttavia, che i profitti aziendali sono al livello più alto degli ultimi decenni. La paga dei lavoratori è al livello più basso degli ultimi 70 anni. Abbiamo uno spazio più che ampio per aumentare la retribuzione dei lavoratori senza aumentare i prezzi al consumo”.
2. I prezzi delle materie prime sono strutturalmente sostenuti dagli stimoli e dalla mancanza di offerta
I prezzi delle materie prime sono quasi raddoppiati nel 2020. Questo aumento riflette uno spostamento degli acquisti dalla Cina e verso gli Stati Uniti. La domanda statunitense di materie prime è guidata dall’inerzia di Biden per l’attuazione del piano infrastrutturale e per la spesa nella transizione green, che è stato uno dei focus principali della sua campagna. In risposta all’inflazione dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime, la Cina ha iniziato a vendere le sue riserve di metallo. Tuttavia, queste misure possono aiutare a ridurre i prezzi solo temporaneamente.
Ad esempio, le riserve di rame della Cina sono stimate intorno a 1,5-2 milioni di tonnellate, che sono significative rispetto ai potenziali deficit nel 2021/22 di circa 300-400k MT, ma insufficienti se il deficit continua ad ampliarsi. Pertanto, l’azione della Cina può calmierare i prezzi nel breve termine, ma nel lungo periodo, prezzi più bassi delle materie prime richiedono una maggiore offerta di metallo, una politica monetaria più restrittiva o un’inferiore spesa infrastrutturale.
3. L’onshoring delle catene di approvvigionamento aumenterà i prezzi di produzione
La carenza globale di chip ha aggravato le pressioni inflazionistiche. Mentre questa carenza passerà e i prezzi si normalizzeranno probabilmente nel prossimo anno, la carenza ha evidenziato i rischi dell’offshoring della catena di approvvigionamento globale. Prevediamo un maggiore onshoring delle catene di approvvigionamento intorno ai beni di produzione strategica, sia come da lezione appresa dal COVID-19, sia come modo per proteggere la proprietà intellettuale in un contesto di crescente rischio geopolitico. Questa tendenza alla deglobalizzazione aumenterà la ridondanza e la robustezza delle catene di approvvigionamento, ma probabilmente farà aumentare i costi di produzione e potenzialmente l’inflazione. L’OCSE aveva stimato che l’avvento della globalizzazione alla fine degli anni ’90 ha ridotto l’IPC di uno 0-0,25% all’anno, nei Paesi OCSE.
4. I governi vorranno una maggiore inflazione per ridurre l’indebitamento
Infine, i governi sono incentivati a perseguire politiche che stimolino l’inflazione per ridurre il loro livello d’indebitamento, ingigantito dalla pandemia. A causa dello stimolo fiscale record, stimiamo che le economie sviluppate abbiano aggiunto tra i 10 e i 20 punti percentuali al rapporto debito/PIL nel 2020, in base ai dati World Economic Outlook di ottobre del FMI. Ci sono diversi modi per ridurre questo debito: promuovere la crescita per superare i deficit, aumentare le tasse o persino l’opzione estrema di un default sovrano. Comunque, storicamente il metodo più efficace per ridurre il debito sovrano è stato quello dei tassi reali negativi persistenti. Questo è stato il caso degli Stati Uniti del secondo dopoguerra, quando un avanzo fiscale positivo è stato accompagnato da una maggiore inflazione dovuta alla rimozione dei controlli sui prezzi e alla continuazione delle politiche monetarie accomodanti vigenti in tempo di guerra. Al contrario, a seguito di periodi di elevato indebitamento in Canada e in certe aree europee,sono stati i saldi di bilancio positivi e una crescita reale più elevata ad attenuarne l’indebitamento, mentre invecei tassi nominali più elevati hanno annullato i benefici di una maggiore inflazione.
Banche centrali: interruzione della linea accomodante
La Fed e la BCE stanno spingendo contro una stretta di politica economica, nonostante un’economia forte e diversi segnali permanenti di inflazione. A livello globale, però, alcune banche centrali stanno già adottando atteggiamenti e comunicazione da falco: la Banca Popolare Cinese mantiene i tassi reali positivi, i Paesi emergenti con un’alta inflazione hanno fatto partire cicli di rialzi dei tassi, e altri mercati sviluppati – Canada, Norvegia, Nuova Zelanda – hanno già una politica più aggressiva della Fed. Riteniamo che sia una questione di tempo affinché la Fed possa seguire l’esempio. L’estate dovrebbe portare ulteriore forza nel mercato del lavoro, quindi Jackson Hole potrebbe rappresentare il momento per una svolta più aggressiva. Inoltre, la Fed e la BCE completeranno presto le loro revisioni strategiche, mentre altre banche centrali stanno lavorando per aggiungere nuovi strumenti al loro toolkit.
Ancora troppo accomodanti: Fed, BoE e BCE
Quest’anno, gli Stati Uniti vedranno una crescita del 7% e un’inflazione al 4%. La crescita globale si aggirerà intorno al 6%, e anche l’inflazione europea potrebbe raggiungere il 2%. Tuttavia, la Fed sta sottovalutando i dati macroeconomici riportati da marzo e punta a degli aumenti dei tassi nel 2023. I forti dati sull’inflazione continuano ad essere ritenuti temporanei, nonostante segnali di fattori non transitori. Finora anche la BoE ha alzato le spalle dinanzi le pressioni inflazionistiche dovute alla riapertura e ai prezzi degli input produttivi aumentati dal deprezzamento della sterlina e dai costi della Brexit. È probabile che la BCE rimanga accomodante, aggiungendo un obiettivo di inflazione simmetrica del 2% alla fine della loro revisione strategica.
I falchi – vivi e vegeti
A livello globale si è verificata una svolta da falco, fuori dagli Stati Uniti e dall’Europa, così che per una volta, i leader della stretta monetaria sono fuori dagli Stati Uniti. In Cina, la Banca Popolare Cinese ha mantenuto un approccio molto cauto durante la pandemia, evitando l’introduzione di QE e mantenendo tassi reali positivi lungo la curva. Le banche centrali in Brasile, Russia e Messico hanno contrastato l’inflazione di aprile e maggio con aumenti dei tassi. In Europa, Ungheria e Repubblica Ceca stanno aumentando i tassi prima alla BCE. Al di fuori dei mercati emergenti, politiche economiche più aggressive sono più rare, ma Canada, Norvegia e Nuova Zelanda si sono preposte a posizioni da falco in modo più proattivo rispetto alla Fed. Una raffica di falchi dentro la Fed è improbabile, dato che sia la Cina che le piccole economie aperte tendono a seguire gli Stati Uniti nei cicli monetari. Interpretiamo questa situazione atipica come un segno dell’urgenza determinata dai dati sull’inflazione. Le banche centrali più grandi potrebbero seguire quelle più piccole, per una volta.
Fed: la prossima in lista a diventare aggressiva
Con le principali banche centrali accomodanti, ma il numero di falchi in aumento, pensiamo che sia solo una questione di tempo prima che anche la Fed ceda. Il mercato del lavoro e l’inflazione statunitense stanno mostrando segni di surriscaldamento, e sia per vaccinazioni che per slancio macro sono davanti all’Europa. La politica restrittiva statunitense è anche meno complessa rispetto a quella della BCE. Il vertice sulla politica monetaria mondiale a Jackson Hole (26-28 agosto) potrebbe essere l’occasione per una svolta aggressiva. Per quei giorni, entrambe le componenti transitorie sia dell’inflazione che della debolezza del mercato del lavoro si saranno attenuate e la campagna vaccinale sarà sostanzialmente conclusa. Una visione più chiara sull’economia e sulle spinte inflazionistiche renderanno quindi più facile per Powell la svolta.
Toolkit monetario: sono in arrivo grandi cambiamenti
Il toolkit monetario ha visto solo piccoli cambiamenti nel 2020. Lo stimolo è stato senza precedenti ma è avvenuto principalmente attraverso una forte dipendenza dagli strumenti esistenti: tagli dei tassi e QE. In agosto, la Fed ha aumentato il peso della sua attenzione all’occupazione, oltre a consentire un obiettivo di inflazione media. Le modifiche hanno reso la reazione leggermente più accomodante, tuttavia, la Fed è rimasta vaga sulla durata del periodo nel quale avrebbe lasciato che l’economia si scaldasse, fino a poco tempo fa. La BCE concluderà la sua revisione strategica quest’estate. Nel passaggio a un obiettivo simmetrico, i costi dell’edilizia abitativa potrebbero essere inclusi. Alcuni Paesi hanno introdotto il controllo della curva dei rendimenti (in particolare l’Australia), ma la diffusione più a livello globale di questa scelta politica è fallita. Nel tempo, potrebbero essere necessari nuovi strumenti monetari: le banche centrali stanno già lavorando al proposito, come mostrato di seguito.
Central Bank Digital Currencies (CBDC): un percorso verso l’helicopter money?
I prossimi 12-24 mesi saranno incentrati sulle discussioni sulle politiche restrittive. Eppure, è stata la pandemia a portare ad una maggior apertura a delle opzioni monetarie aggiuntive. La prossima recessione vedrà una strumentazione monetaria più ricca a disposizione delle banche centrali. Un’idea chiave sarà quella delle Central Bank Digital Currencies (CBDC). Con le CBDC, il pubblico accede direttamente al denaro della banca centrale, senza passare dalle banche commerciali. A seconda della strutturazione, le banche centrali potrebbero avere informazioni complete e supervisione su ogni transazione e potrà quindi implementare diversi tassi d’interesse disposti su più livelli specifici per settore economico o per regione. La Banca Popolare Cinese ha implementato lo yuan digitale con esattamente questa idea in mente. Oltre l’85% delle banche centrali del mondo sta già lavorando alle CBDC, con la BCE che prevede di lanciare un euro digitale entro il 2025.
Conclusioni: l’ultimo ballo dei carry trade
Gli investitori stanno scommettendo pesantemente sui carry trade, supportati da un coerente messaggio accomodante dalle banche centrali.
Riteniamo che il posizionamento unilaterale e la fragilità del mercato, piuttosto che l’inflazione estrema, siano le ragioni per cui gli investitori dovrebbero procedere con cautela. Diversi eventi hanno già fatto alzare bandiere rosse sul rischio sistemico quest’anno – GME, RobinHood, Archegos. Con dati macro in accelerazione e liquidità abbondante, il contagio è stato minimo. Tuttavia, gli attuali favorevoli fattori macroeconomici e di liquidità rischiano di diventare un vento contrario nei prossimi mesi. Vediamo un valore limitato nel credito, dove la maggior parte degli indici sono a livelli record. Siamo selettivi nel nostro approccio all’investimento creditizio, mantenendo l’esposizione ai trasporti, all’energia, all’industria e alle imprese di consumo legate alla ripresa economica. Vediamo più valore nelle obbligazioni rispetto agli spread dei CDS, dove i dati mostrano un posizionamento di rischio elevato. Troviamo valore anche nelle obbligazioni convertibili, che si trovano al di fuori dell’influenza delle banche centrali e spesso offrono un’interessante convessità al rialzo/ribasso. Stiamo iniziando a vedere valore nel debito dei mercati emergenti in valuta forte e in valuta locale, nei Paesi in cui le bilance commerciali sono sostenute dai prezzi delle materie prime e in cui le banche centrali hanno già attuato una politica più restrittiva – come Brasile e Russia.
Alla fine, le banche centrali potrebbero non essere in grado di normalizzare completamente la politica, ma ci proveranno. Il futuro percorso delle scelte d’indirizzo economico dipenderanno da politica e da vincoli politici. Una ricerca di Google Ngram mostra come la disuguaglianza sia diventata una parola più popolare di guadagni o entrate, per la prima volta da secoli. Il pendolo politico si sta spostando verso maggiori investimenti, ridistribuzione e più tasse. Il vincolo politico che ne deriva è un maggiore stock di debito pubblico. A lungo termine, questo significa che i tassi reali rimarranno probabilmente al di sotto dell’inflazione.
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