Osservando l’andamento dei tassi di interesse statunitensi, si potrebbe pensare che il mondo sia cambiato in soli tre mesi. Ad ottobre, il mercato stimava tassi sui Fed funds al 5% per la fine del 2024 e gli spread high yield statunitensi implicavano tassi di default al 6%. Attualmente, il mercato si attesta su tassi al 4% e gli spread si sono normalizzati. La visione del mercato si è evoluta passando da un possibile no landing con potenziale stress sul fronte del credito a un confortante soft landing (Grafico 1), uno scenario in cui le banche centrali tagliano nonostante una crescita sana. I mercati hanno quindi decretato che stiamo ora vivendo nella terra delle colombe.
In realtà, i dati sono cambiati poco. L’inflazione core degli Stati Uniti è appena sotto il 4%, come in ottobre, l’attività è leggermente rallentata, mentre gli indicatori prospettici indicano una nuova accelerazione. Il mercato del lavoro è contratto e ci sono solo modesti segnali di allentamento, nonostante una crescita leggermente inferiore. I nostri modelli macro stimano che l’inflazione core USA raggiunga circa il 2,5% entro la fine dell’anno, nonostante la crescita del PIL reale sia inferiore al 2%. Lo scenario macro statunitense è coerente con tre tagli nel 2024 e con un tasso finale nel 2025 compreso tra il 3,5% e il 4%. Abbiamo conservato questa visione che avevamo già a ottobre, quando era molto dovish, e manteniamo lo stesso punto di vista, nonostante la necessità a un posizionamento più cauto.
I rischi legati alla nostra visione sono sbilanciati verso un rialzo dei tassi (e un ribasso del reddito fisso). Gli spread creditizi e i rendimenti a lungo termine hanno fatto un po’ il lavoro per la Fed ultimamente e le condizioni finanziarie si sono notevolmente allentate nel 4Q23. Gli Stati Uniti registrano deficit fiscali persistenti dal 2020 e i tassi elevati li rendono costosi. L’esito delle elezioni statunitensi è incerto, ma la pressione sul bilancio è una certezza. I vigilanti del mercato del credito potrebbero essere presto messi in guardia.
Le opportunità sono ancora numerose nel credito, ma sono solo più difficili da trovare. Poiché il trade sui tagli del 2024 si è concluso prima ancora dell’inizio dell’anno, siamo cauti sulla duration e sul beta. Ad oggi, gli investitori dovrebbero concentrarsi sull’alfa. Il 10% dei mercati obbligazionari globali rende oltre il 7% in euro, mentre il 50% rende meno del cash. La selezione attiva del credito è quindi viva e vegeta. Vediamo valore in aree selezionate del credito corporate, del debito finanziario subordinato e dei mercati emergenti.
Fed | Tagli da recessione in contrasto con i dati
Il mercato prezza 5 tagli nel 2024 e un tasso terminale del 3,5% da raggiungere alla fine del 2025 (grafico 2). Pensiamo che i tagli potrebbero essere meno e più lenti. Per quanto riguarda la velocità dei tagli, i progressi dell’inflazione restano soddisfacenti, ma i dati non sono deboli. Gli USA crescono intorno al 2% che rende improbabile nel 2024 una crescita inferiore al trend attuale. Il rischio è piuttosto al rialzo, vista la continua crescita degli indicatori soft (grafico 5). Ci troviamo quindi in un contesto di disinflazione e crescita solida che storicamente ha portato a tagli molto meno drammatici rispetto ad un contesto di adeguamento economico (grafico 4). Inoltre, i rendimenti a lungo termine e gli spread creditizi hanno già iniziato a reagire, come auspicato dalla Fed (grafico 3). Riteniamo appropriati 3 tagli nel 2024.
R Star | I dati indicano rischi al rialzo
I tassi terminali potrebbero essere più alti del previsto. La disinflazione in corso non ha impattato il tasso di disoccupazione statunitense (grafico 6), contrariamente a quanto accaduto in passato. Questo indica che l’economia è in grado di tollerare livelli di tassi di interesse reali più elevati rispetto al passato. La sorprendente esiguità dello stress creditizio dopo i rialzi del 2022-23 va nella stessa direzione. Le stime della Fed sui tassi neutrali sona state costantemente riviste al rialzo dal 2010, salvo poi essere ridotte solo quando i modelli sono stati modificati per tenere conto degli shock dell’offerta del Covid (grafico 7). Dati solidi significano che i mercati potrebbero realizzare che le stime pre-Covid non erano poi così obsolete. La stima pre-Covid del 2,5% implicherebbe il 4,5% di Fed funds.
Europa | L’anello debole
I dati europei mostrano un quadro molto più debole. Nel 2022 è stata evitata una profonda recessione, ma le difficoltà legate alla crisi del gas hanno compromesso il settore manifatturiero, che non è riuscito a riprendersi nel 2023. La rigidità dei salari ha fatto sì che l’inflazione intaccasse le finanze delle famiglie, in un contesto di condizioni finanziarie piuttosto rigide. La Germania ha proseguito con il contenimento della spesa fiscale, raggiungendo un pareggio di bilancio primario nel 2023, in netto contrasto con i generosi deficit degli Stati Uniti. Di conseguenza, la macroeconomia statunitense ed europea si sono improvvisamente de-sincronizzate lo scorso anno (Grafico 8). L’Europa è ferma, con una crescita attuale dello 0%. La BCE dovrebbe dunque intervenire prima della Fed, e in modo più incisivo. La stima dei tassi neutrali della banca centrale è solo leggermente positiva. Il Consiglio direttivo sarà dunque paziente e cercherà di aspettare i tagli della Fed, ma non escludiamo la possibilità che sia costretto a procedere più rapidamente, a costo di indebolire la valuta.
Politica fiscale USA | Bond vigilantes in guardia
La politica fiscale aumenta le vulnerabilità del mercato. I deficit degli USA sono diventati costanti dopo il 2020 (Grafico 9), poiché le ingenti spese per le infrastrutture hanno sostituito il sostegno al reddito. Nel 2023, il deficit è stato del 7%, nonostante una crescita sopra al 2%. La spesa pro-ciclica non è di buon auspicio per le dinamiche del debito. Anche i rialzi della Fed non aiutano: i costi degli interessi rappresentano l’11% della spesa pubblica; nel 2020 era meno del 6%. È probabile che la pressione dei tassi sulle finanze pubbliche rimanga, poiché i tassi terminali saranno più alti nel 2025 rispetto al 2020, con le curve che potrebbero accentuarsi. Le elezioni sono un’altra fonte di rischio, soprattutto perché i piani di Trump prevedono un deficit di 6 miliardi di dollari, superiore a quello previsto dalla campagna di Biden. Le notizie di natura fiscale hanno iniziato a influenzare il mercato obbligazionario negli ultimi due anni (es: il bilancio di Truss nel Regno Unito o il piano di indebitamento degli Stati Uniti nell’estate 2023), dopo che non lo avevano fatto per dieci anni. Con l’avvicinarsi delle elezioni statunitensi, i vigilanti dei bond potrebbero presto tornare a fare capolino.
Asset di rischio | Valore limitato del beta
Il beta di mercato ha subito un’impennata da ottobre e ora ha poco valore. Gli spread di credito sono tornati ai livelli pre crisi del gas (grafico 10). I CDS ad alto rendimento sono saliti di 150-200 pb da ottobre e ora implicano tassi di default del 4% all’anno, un premio di rischio non eccessivo. I mercati dei capitali sono aperti. A gennaio le società globali hanno venduto 150 miliardi di dollari di debito investment-grade. Gli USA hanno emesso 36 miliardi di dollari di titoli ad alto rendimento a gennaio, il 40% in più di gennaio 2022. Le nuove operazioni in America Latina e Africa sono in espansione. Gli afflussi verso le azioni e le obbligazioni IG continuano. La volatilità sia obbligazionaria che azionaria è ai livelli pre conflitto in Ucraina (grafico 11), suggerendo che i mercati prezzano le code sia sui tassi che sulla crescita. Se si aggiungono l’euforia per gli asset di rischio e i cinque tagli impliciti nei tassi USA, i mercati appaiono prezzati per la perfezione. Di conseguenza, vediamo il beta del mercato vulnerabile a una correzione.
Credito | Il valore sta nell’alfa
I mercati del credito hanno registrato forti rialzi, ma alcune aree offrono ancora valore. Alcuni segmenti, infatti, devono ancora recuperare terreno (grafico 12). Mentre gli acquirenti di indici sono ora vulnerabili al rischio di mercato, chi seleziona attivamente le obbligazioni si trova di fronte a un’ampia gamma di titoli che rendono più del 9% (grafico 13). Gli investitori dovrebbero concentrarsi su questi segmenti, cercando al contempo protezione nel credito e nei tassi. Un esempio è il settore immobiliare, dove il mercato non distingue tra commerciale e residenziale né tantomeno tra qualità del credito. Ad oggi, vediamo valore nel debito junior di emittenti nordeuropei di alta qualità. Nei mercati dei Paesi emergenti, alcuni mercati locali offrono ancora rendimenti reali del 6% nonostante la loro abilità di ridurre i tassi. Gli emittenti sovrani ad alto rendimento continuano a pagare l’11-15%, nonostante alcuni di essi stiano compiendo importanti aggiustamenti. Il debito subordinato delle banche europee è ancora troppo ampio per l’high-yield, nonostante gli ampi buffer di capitale. I mercati del credito offrono ancora grandi occasioni, ma, a differenza della fine di ottobre, bisogna saperle individuare.
Volatilità | Qui per restare
I prossimi tre-cinque anni saranno molto diversi dai dieci precedenti per i mercati del reddito fisso. I prezzi sono cambiati molto in soli tre mesi, evidenziando un’elevata volatilità macro latente: una caratteristica naturale dei mercati dei tassi, nascosta durante il periodo di QE (grafico 14). L’inflazione del 2022 ha segnato la fine di quest’epoca e il ritorno alla volatilità. L’investimento passivo nel reddito fisso quindi non funzionerà bene in futuro. È un approccio flessibile e attivo agli investimenti obbligazionari a fare la differenza nel lungo periodo per i rendimenti.
Davide Serra
Founder & CEO
Sebastiano Pirro
CIO & Financial Credit Portfolio Manager
Gabriele Foà
Global Credit Portfolio Manager
Silvia Merler
Head of ESG & Policy Research
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