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A quasi un mese dal fallimentare Consiglio Europeo del 23 Aprile, Germania e Francia hanno publicato una proposta comune per il Recovery Fund UE e – a differenza di quanto avvenuto fin troppe volte in passato – stavolta valeva davvero la pena di aspettare.
Merkel e Macron propongono un Recovery Fund parte del Multiannual Financial Framework Europeo (MFF), finanziato interamente da indebitamento della Commissione Europea sui mercati, per conto dell’UE. Permetterà di finanziare EUR 500 mld di spesa di bilancio UE – in forma di grant, più precisamente della stessa natura dei Fondi Strutturali. Essendo finanziata tramite emissioni comuni dell’UE, questa spesa non andrà ad aumentare il debito nazionale degli Stati Membri.
La proposta è esplicita nel dire che il Fondo andrà a favore di “settori e regioni più colpiti”. Questo è fondamentale, perché significa che i Paesi finiranno per ricevere a seconda del bisogno (per esempio, in proporzione a quanto hanno sofferto dello shock COVID), ma saranno responsabili del rimborso in base ai mezzi (come per qualsiasi strumento del MFF, infatti, il contributo è collegato alla quota di ciascun paese nel bilancio dell’UE, che è basata sul reddito nazionale lordo). La differenza tra ciò che un Paese otterrà e ciò che dovrà ripagare è di fatto un vero e proprio trasferimento, che ridistribuisce esplicitamente le risorse tra i paesi.
Per quanto riguarda il rimborso, la proposta parla di un orizzonte “oltre l’attuale MFF”, vale a dire con una scadenza di almeno 7 anni. Sebbene non sia ancora chiaro, la scadenza difficilmente sarà inferiore ai 10 anni – e in linea generale un orizzonte lungo rende più facile per i proponenti sostenere (come in questa proposta) che si tratti di un “anticipo del MFF”. In 10 anni possono succedere molte cose. Come per esempio un accordo per introdurre una base imponibile comune per l’imposta sulle società (CCCTB), che è appunto menzionato nella proposta come “priorità”. Se accadesse, ciò aumenterebbe le risorse proprie a disposizione dell’UE e ridurrebbe gli obblighi di rimborso dei Paesi in proporzione.
Per capire se questo strumento può davvero fare la differenza, guardiamo al funzionamento dalla prospettiva di un Paese come l’Italia. A quanto potrebbe aspirare il nostro Paese, nell’ambito della proposta Franco-Tedesca? Poiché non abbiamo ancora dettagli sul meccanismo di allocazione, ho fatto delle assunzioni che combinano l’effetto sia sanitario che economico dello shock COVID-19. Se l’allocazione fosse basata sulla prevalenza della mortalità da COVID-19, stando ai dati ECDC l’Italia conterebbe purtroppo per il 26% di tutte le morti registrate in UE (escluso il Regno Unito). Se invece l’allocazione si basasse sull’incidenza dello shock economico, allora stando alle previsioni economiche recentemente rilasciate dalla Commissione UE, l’Italia rappresenterebbe circa il 17% del calo del PIL nominale dell’UE-27 nel 2020. Facendo la media di queste due misure di sofferenza, otteniamo una quota di circa il 22%, che porterebbe a un’allocazione di EUR 108-110 miliardi.
La quota italiana nel bilancio dell’UE (se ci basiamo sui dati 2019 ed escludiamo il Regno Unito) sarebbe vicina al 13%, quindi l’Italia sarebbe responsabile per il rimborso di soli 65 miliardi di euro. Ciò implica un trasferimento netto verso l’Italia di 45 miliardi di euro che, per fare un paragone, equivalgono all’82% dello stimolo fiscale annunciato dal governo italiano nel maggio 2020. Uno strumento che consente di scaricare l’equivalente di una legge di bilancio nazionale sul bilancio dell’UE, senza alcun impatto sul debito, è chiaramente molto significativo. Il risultato sarebbe molto simile per la Spagna, la cui quota di rimborso sarebbe vicina al 9% contro una allocazione media del 18%. La Grecia e il Portogallo invece finirebbero per essere contributori netti al Fondo pur essendo beneficiari netti all’interno del (regolare) bilancio UE – un’incoerenza che si potrebbe eventualmente correggere eliminando alcuni degli sconti di bilancio che sono rimasti in vigore per alcuni Paesi del nord.
Alcuni hanno argomentato che la dimensione di questa proposta è deludente, perché 500 miliardi sono meno di quanto suggerito dalla Presidente della Commissione UE Von der Leyen (1000 miliardi) e richiesto dal Parlamento UE (2000 miliardi). I critici tuttavia sottovalutano il fatto che la composizione della proposta ne è il punto chiave. Sia la visione di Von der Leyen che quella del Parlamento prevedevano un mix di prestiti e grants (con potenzialmente un effetto a leva come quello visto nel Fondo Juncker) per arrivare alla cifra finale. Il punto controverso in tutte quelle proposte era proprio la quota di fondi da erogare sotto forma di sovvenzioni. La proposta franco-tedesca di ieri ci offre un accordo trasparente su questo tema politicamente spinoso. Ora sappiamo che in Germania esiste la volontà politica di sostenere fino a 500 miliardi di euro in trasferimenti redistributivi. Nulla impedisce alla Commissione UE di aggiungere una componente di prestiti aggiuntiva, nella proposta che dovrà presentare a breve. Sarà la parte più facile del lavoro, perché i prestiti non sono mai stati controversi nella visione dei Paesi del Nord.
Ora tutto dovrà essere negoziato e la dimensione politica di questa negoziazione non sarà facile. Ma questa dichiarazione franco-tedesca è un enorme passo avanti non solo per la gestione della crisi economica da COVID-19, ma anche per la più ampia discussione sulla solidarietà europea avviata a Meseberg due anni fa. A differenza di Meseberg, questa proposta è in linea di principio molto ambiziosa, perché supera con un unico colpo di spugna i due più grandi tabù nella storia dell’integrazione europea, ovvero l’emissione di debito comune e i trasferimenti fiscali espliciti. Ciò che è cruciale – e per cui dovremo probabilmente ringraziare la recente presa di posizione della Corte costituzionale tedesca – è che questa proposta vede un impegno politico da parte di Berlino che la Dichiarazione di Meseberg non ha mai avuto, e questa è la migliore chance che questa rivoluzione ha di avere successo.