Un passo avanti e un’opportunità mancata
Il 27 aprile la Commissione europea ha pubblicato la lunga attesa bozza finale per una nuova proposta di fiscal framework dell’Unione europea. La proposta fa seguito al documento pubblicato nel novembre dello scorso anno e dovrà ora essere sottoposta a ulteriori negoziati. Poiché le regole fiscali europee saranno riattivate nel gennaio 2024 (a seguito della sospensione eccezionale del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) per soddisfare le esigenze di spesa straordinarie determinate dall’emergenza Covid-19 e, più recentemente, dalla guerra in Ucraina) è difficile sopravvalutare l’importanza di questa discussione.
Contrariamente a quanto temevano diversi osservatori, la Commissione non propone modifiche marginali e irrilevanti, bensì un cambiamento importante nella struttura concettuale del quadro fiscale dell’Unione europea. Lo spirito della proposta è quello di semplificare la parte preventiva del Programma di Stabilità e Crescita e di aumentare la flessibilità strutturale del sistema, rafforzando al contempo il ruolo degli incentivi e l’efficacia della parte correttiva. Le soglie di riferimento del debito e del deficit del PSC, pari al 60% e al 3% del PIL, vengono mantenute (in parte in ossequio all’eterna ricerca di evitare ad ogni costo la riapertura del Trattato UE) ma il loro ruolo all’interno del quadro fiscale verrebbe notevolmente alterato dal nuovo sistema.
La variabile chiave della politica fiscale diviene la “spesa primaria netta” finanziata a livello nazionale, ossia la spesa al netto dei provvedimenti discrezionali sulle entrate, escludendo la spesa per interessi e la spesa per la disoccupazione ciclica. Si tratta di un cambiamento positivo, in quanto rimuove i parametri di riferimento per il saldo strutturale, che sono soggetti a evidenti difetti a causa della loro dipendenza da stime altamente incerte degli output gap. Il percorso della spesa netta nel medio termine sarà ancorato alla sostenibilità del debito, sebbene quest’ultima sarà valutata caso per caso. Di conseguenza, la regola univoca che prescrive che il debito in eccesso del 60% rispetto al parametro di Maastricht venga tagliato ogni anno di 1/20 rispetto alla differenza sarà sostituita da un percorso dinamico di riduzione del debito che incorpora una valutazione del rischio fiscale. Si tratta di un passo positivo verso un approccio meno dogmatico e più simile alla gestione del rischio nella valutazione della sostenibilità fiscale.
La controparte della maggiore flessibilità integrata è che i piani di bilancio degli Stati membri diverranno più rigorosi e le sanzioni del ramo correttivo saranno inasprite. I programmi nazionali di bilancio e strutturali a medio termine rivestono un ruolo centrale in questo nuovo quadro, in quanto comprenderanno il percorso di riduzione del debito concordato rispetto al quale saranno ora valutati i risultati di bilancio. La Commissione ha proposto di introdurre relazioni annuali sui progressi compiuti rispetto a tali piani, il che rafforzerebbe l’applicazione della normativa. Allo stesso tempo, le sanzioni vengono irrigidite: per gli Stati membri con un debito elevato, gli eventuali scostamenti dal percorso concordato comporterebbero di default l’apertura di una procedura per i disavanzi eccessivi, e uscire dalla PDE diverrebbe più impegnativo secondo il nuovo quadro proposto.
La clausola di flessibilità del PSC che in passato è stata ampiamente utilizzata dalla Commissione per introdurre un margine di manovra in un quadro altrimenti molto rigido, viene mantenuta, ma tale flessibilità aggiuntiva è adesso soggetta a requisiti più severi, coerentemente con il fatto che il nuovo quadro complessivo sarà più flessibile. Gli Stati membri possono ottenere un’estensione di 3 anni del loro aggiustamento a medio termine se si impegnano a realizzare riforme e investimenti a sostegno delle priorità comuni dell’UE, tra cui l’ambiente, il digitale, ma anche la sicurezza e la difesa.
Questo nuovo approccio alla riduzione del debito (con il significativo aumento del potere e del ruolo che conferisce alla Commissione) era destinato ad essere politicamente controverso. A marzo i ministri delle Finanze dell’UE hanno chiesto alla Commissione di produrre una “metodologia comune […] che sia replicabile, prevedibile e trasparente” su cui basare la traiettoria di riduzione del debito. Il governo tedesco si è spinto oltre, pubblicando un documento informale in cui ha presentato sei proposte “per assicurare una sufficiente riduzione del debito e prevenire il cosiddetto back-loading”. Il ministro delle Finanze tedesco Lindner ha pubblicato un articolo sul Financial Times alla vigilia della pubblicazione della proposta rivista della Commissione, in cui ha difeso strenuamente un approccio basato su regole incentrate sugli obiettivi del 3% e del 60% e ha chiesto che vengano concordati parametri numerici per la riduzione del debito.
La bozza finale della Commissione riprende due delle proposte contenute nel documento informale tedesco in un chiaro sforzo di compromesso. Pur non accogliendo la proposta tedesca di collegare la velocità di riduzione del debito al livello dello stesso e di fissare un nuovo aggiustamento numerico richiesto, la Commissione ha ora chiarito che il rapporto debito/PIL deve risultare inferiore al termine del piano rispetto agli inizi, mentre la proposta iniziale prevedeva un requisito più vago, ovvero che il debito fosse “plausibilmente in calo”. In secondo luogo, tra i parametri per la definizione della strategia di riduzione del debito per gli Stati membri con un debito pubblico superiore al 60% del PIL o un disavanzo superiore al 3% del PIL, la Commissione sostiene che la crescita della spesa nazionale netta dovrebbe mantenersi in media al di sotto della crescita del prodotto a medio termine nell’orizzonte del piano. Sebbene sia più moderata rispetto alla proposta originaria della Germania, questa rischia di essere pro-ciclica, in quanto chiede ai Paesi con un carico di debito più elevato di ridurre maggiormente la spesa (potenzialmente in grado di favorire la crescita).
È ancora prematuro affermare con certezza se questa sarà la configurazione definitiva del quadro di bilancio dell’UE in futuro, e resta aperta la discussione se gli Stati membri siano pronti ad accettare un ruolo più forte e più potente per la Commissione. Ma la proposta è un buon passo avanti perché supera la logica dei cambiamenti incrementali che ha dominato gli ultimi 10 anni e propone un quadro con una maggiore flessibilità strutturale e un approccio alla gestione del debito maggiormente basato sul rischio. Di contro, le sanzioni diventano più automatiche, il monitoraggio più rigoroso e la maggiore flessibilità può essere ottenuta solo a fronte di un impegno a investire nelle priorità comuni dell’Unione europea. Pur facendo alcune concessioni alla posizione tedesca (molto più rigida), l’ultima bozza evita di ritornare troppo all’approccio più normativo del passato. Allo stesso tempo, la Commissione europea avrebbe potuto impegnarsi maggiormente per inserire nel quadro di riferimento incentivi strutturali per gli investimenti strategici nei beni pubblici dell’UE (ad esempio, attraverso una golden rule verde o un meccanismo simile).
Infine, poiché permane incertezza sulla possibilità che l’iniziativa Next Generation EU, legata alla pandemia da Covid, possa trasformarsi trasformi nel prototipo di una funzione di spesa permanente a livello europeo, questo appare come un’opportunità mancata.
Silvia Merler, Head of ESG & Policy Research (Algebris Investments)
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