Algebris Financial Equity Fund
Fondo azionario globale con focus sulle istituzioni finanziarie sistemiche.
Fondo azionario globale con focus sulle istituzioni finanziarie sistemiche.
L’obiettivo del Fondo è conseguire un apprezzamento del capitale nel medio-lungo termine, assumendo posizioni lunghe in titoli azionari e strumenti derivati su azioni di società appartenenti o collegate al settore dei servizi finanziari globali.
Il Fondo è gestito attivamente e mira ad ottenere un rendimento totale che superi il rendimento totale del benchmark, l’indice MSCI ACWI Financials.
L’esposizione valutaria del fondo è sistematicamente coperta rispetto alla valuta base del fondo (Euro).
Algebris Financial Equity Fund può essere classificato e trattato come un prodotto finanziario non complesso secondo la normativa MiFID II.
Il fondo è disponibile al collocamento presso gli intermediari indicati nel documento sottostante
L'indicatore sintetico di rischio è un'indicazione orientativa del livello di rischio di questo prodotto rispetto ad altri prodotti. Esso esprime la probabilità che il prodotto subisca perdite monetarie a causa di movimenti sul mercato o a causa della nostra incapacità di pagarvi quanto dovuto. L'indicatore di rischio presuppone che il prodotto venga mantenuto per 5 anni. Il rischio effettivo può variare in modo significativo se si disinveste prima del tempo e si può ottenere un rimborso inferiore. Potreste non essere in grado di incassare prima. Potreste non essere in grado di vendere facilmente il vostro prodotto, oppure potreste essere costretti a venderlo a un prezzo che incide significativamente sull'importo del rimborso. Abbiamo classificato questo prodotto al livello 5 su 7, che corrisponde alla classe di rischio medio-alta.
Il Fondo può investire in azioni che possono essere influenzate dal rischio di mercato (il rischio che un investimento perda valore a causa della modifica nelle condizioni economiche).
Poiché il Fondo investe in titoli di debito (es. obbligazioni), è soggetto al rischio di credito (il rischio che l’emittente di un’obbligazione non sia in grado di ripagare il capitale) e al rischio di tasso di interesse (il rischio di variazioni dei tassi di interesse).
La strategia impiegata può causare un elevato livello di volatilità del NAV. Il Fondo può impiegare leva finanziaria, potenzialmente incrementando il rischio di perdite. Il Fondo può investire in titoli convertibili contingenti. Tali strumenti presentano rischi particolari, dovuti alle caratteristiche di conversione in azionario e stralcio, che sono stabilite per ciascuna società emittente in base agli specifici requisiti regolamentari, e che potrebbero provocare oscillazioni nel valore di mercato. Per ulteriori fattori di rischio associati agli strumenti convertibili contingenti si prega di fare riferimento al Prospetto del Fondo. Non esiste (né ci aspettiamo che esisterà in futuro) un mercato secondario per gli investimenti nel Fondo. Il Fondo potrebbe non essere diversificato. I costi e le commissioni del Fondo potrebbero diminuire gli utili generati dal Fondo.
Il Fondo potrebbe investire nei mercati emergenti. Un investimento in tali mercati comporta rischi aggiuntivi quali instabilità politica, norme meno rigide in materia di revisione e informativa finanziaria e minore supervisione e regolamentazione da parte dello Stato.
Rischi di sostenibilità possono avere ricadute negative sui rendimenti del Fondo. Il rischio di sostenibilità è un evento ambientale, sociale o di governance (ESG) che, qualora si dovesse verificare, potrebbe avere un impatto negativo concreto reale o potenziale sul valore dell’investimento nel Fondo. Gli investimenti nel Fondo sono inoltre esposti al rischio di perdite provocate da danni alla reputazione che un emittente potrebbe subire rispetto ad un evento ESG.
Il Fondo può investire in FDI. Tali strumenti presentano rischi aggiuntivi, quali rischio legale o rischio di liquidità (l’impossibilità di vendere il contratto su un mercato a causa della mancanza di acquirenti). I suddetti rischi potrebbero influire negativamente sul valore complessivo del Fondo.
Gli investimenti del Fondo potrebbero essere denominati in una valuta diversa dall’Euro. Ne consegue che il valore degli investimenti del Fondo sarà influenzato positivamente o negativamente dall’aumento o dalla diminuzione del valore di tale valuta.
Questo prodotto non comprende alcuna protezione dalla performance futura del mercato; pertanto potreste perdere il vostro intero investimento o parte di esso.
Per una panoramica completa di tutti i rischi associati al Fondo, consultare la sezione “Fattori di rischio” nel Supplemento del Fondo e nel Prospetto di Algebris UCITS Funds plc
Algebris Financial Equity Fund (il “Fondo”) è un comparto di Algebris UCITS Funds plc (la “Società”), impresa d’investimento a capitale variabile e responsabilità limitata costituita in Irlanda con numero di registrazione 509801 e strutturata quale fondo a ombrello con responsabilità segragata tra i vari comparti ai sensi della European Communities (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities) Regulations 2011. Algebris Investments (Ireland) Limited è la Società di Gestione UCITS del Fondo. Algebris Investments (Ireland) Limited è autorizzata e regolamentata dalla Central Bank of Ireland. Algebris (UK) Limited è il Gestore degli Investimenti, Distributore e Promotore del Fondo. Algebris (UK) Limited è autorizzata e regolamentata in Regno Unito dalla Financial Conduct Authority. L’amministratore del Fondo è BNP Paribas Fund Administration Services (Ireland) Limited e il depositario del Fondo è BNP Paribas Dublin Branch.
Il valore della azioni del Fondo (le “Azioni”) non è garantito ed il valore di tali Azioni può diminuire così come aumentare e, pertanto, il rendimento dell’investimento in Azioni sarà variabile. Variazioni nei tassi di cambio potrebbero avere un impatto negativo sul valore del prezzo o sul rendimento delle Azioni. La differenza di prezzo, in qualsiasi momento, tra il prezzo di vendita ed il prezzo di riaquisto delle Azioni indica che l’investimento dovrebbe essere visto come di medio o lungo termine. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Nè i rendimenti passati, né i valori attuali possono essere considerati indicatori accurati della crescita di valore o del tasso di rendimento futuri. La strategia adottata dal Fondo potrebbe risultare in un’esposizione del NAV ad un elevato livello di volatilità e, pertanto, lo stesso potrebbe subire un’improvvisa ingente perdita di valore, nel qual caso gli investitori potrebbero perdere l’intero importo dell’investimento iniziale. Il rendimento può variare a seconda delle condizioni di mercato e del regime fiscale vigente. I dati sulla performance non tengono in considerazione le commissioni e i costi sostenuti per l’emissione ed il rimborso delle quote.
La Società ha prodotto il Prospetto, il Documento contenente le Informazioni Chiave per gli Investitori (“KIID”) ed il Documento contenente le Informazioni Chiave (“KID”) relativi al Fondo nella versione in lingua inglese, ciascuna disponibile su richiesta presso Algebris Investments e sul sito www.algebris.com. Quando richiesto ai sensi della normative nazionale, il KIID/KID sarà disponibile anche nella lingua locale ufficiale dello Stato Membro dello SEE in questione. Le informazioni relative ai diritti degli investitori, incluse quelle su come accedere ai meccanismi di risarcimento collettivo disponibili a livello UE e nazionale, possono essere trovate in lingua inglese al seguente indirizzo https://www.algebris.com/cbdr-investor- rights/. In ogni momento potrebbe essere presa la decisione di terminare gli accordi per la commercializzazione del Fondo in qualsiasi Stato Membro dello SEE ove è attualmente offerto. In tali circostanze gli Azionisti presenti nello Stato Membro dello SEE in questione verranno informati di tale decisione ed avranno la possibilità di liquidare la propria quota azionaria del Fondo senza incorrere in alcun costo o ritenuta per almeno 30 giorni lavorativi dalla data di tale notifica.
Il Fondo è considerato come gestito attivamente con riferimento al MSCI ACWI Financials Local Index (il “Benchmark”), in virtù del fatto che cerca di ottenere rendimenti superiori a quelli di tale Benchmark. Il Benchmark è altresì utilizzato per finalità di comparazione della performance. Tuttavia, il Benchmark non è utilizzato per definire la composizione del portafoglio del Fondo, e, pertanto, il Fondo potrebbe essere interamente investito in strumenti che non costituiscono il Benchmark. Né MSCI né qualsiasi altra parte coinvolta o collegata alla compilazione, all’elaborazione o alla creazione dei dati MSCI fornisce alcuna garanzia o dichiarazione espressa o implicita in relazione a tali dati (o ai risultati che si otterranno dall’uso degli stessi) e tutte le suddette parti declinano espressamente tutte le garanzie di originalità, accuratezza, completezza, negoziabilità o idoneità a uno scopo particolare in relazione a tali dati. Senza limitare quanto sopra, in nessun caso MSCI, le sue affiliate o qualsiasi terza parte coinvolta o collegata alla compilazione, all’elaborazione o alla creazione dei dati sarà responsabile di danni diretti, indiretti, speciali, punitivi, consequenziali o di qualsiasi altro tipo (compresi i mancati profitti) anche se informata della possibilità di tali danni. Non è consentita alcuna ulteriore distribuzione o diffusione dei dati MSCI senza l’esplicito consenso scritto di MSCI.
Il presente documento è adatto esclusivamente agli investitori professionali. Il Fondo potrebbe investire in strumenti contingenti convertibili. Tali strumenti sono soggetti a rischi particolari, ad esempio, a causa delle caratteristiche legate alla conversione in azioni o alla svalutazione dell’importo di capitale che sono stabilite su misura per l’emittente e considerando i requisiti regolamentari applicabili, il valore di mercato di tali strumenti potrebbe essere soggetto a fluttuazioni. Nel Prospetto sono indicati ulteriori fattori di rischio connessi agli strumenti contingenti convertibili.
Questa è una comunicazione di marketing. Si prega di consultare il Prospetto ed il KIID/KID prima di prendere qualsiasi decisione di investimento.
Lo Stato di origine del Fondo è l’Irlanda. In Svizzera, il Rappresentante è ACOLIN Fund Services AG, Leutschenbachstrasse 50, CH- 8050 Zurigo, mentre il soggetto incaricato dei pagamenti è Vontobel Ltd, Gotthardstrasse 43, CH-8022 Zurigo. Tutti i documenti di base del Fondo, così come il rendiconto annuale e, se applicabile, semestrale possono essere ottenuti dal Rappresentante senza incorrere in alcun costo.
A ciascun potenziale investitore che esprima interesse ad investire saranno forniti il Prospetto, il KIID/KID e il Contratto di Sottoscrizione (congiuntamente i “Documenti del Fondo”) necessari per l’investimento e l’opportunità di prendere visione di tutta la documentazione relativa all’investimento. I potenziali investitori devono revisionare i Documenti del Fondo, inclusi i fattori di rischio, prima di prendere qualsiasi decisione di investimento e dovrebbero fare affidamento sulle informazioni contenute nei Documenti del Fondo per prendere le loro decisioni di investimento.
Si prega di consultare il sito www.algebris.com/it/disclaimer per ulteriori informazioni importanti relative a questo documento.
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Commento del gestore
La stagione della pubblicazione dei risultati per l’esercizio 2024 è ben avviata per le banche europee e finora è stata rassicurante. In primo luogo, gli utili del quarto trimestre hanno generalmente superato le aspettative, attestandosi oltre il 5% al di sopra del valore di riferimento. Anche la qualità dei risultati è stata buona, con la stragrande maggioranza dei nomi che hanno riportato margini netti da interesse superiori alle aspettative, a dimostrazione del fatto che le banche stanno finora gestendo bene la riduzione dei tassi di interesse, anche meglio di quanto ci si aspettasse. Nel frattempo, la qualità degli attivi non ha subito variazioni significative, con i tassi di accantonamenti/NPL ancora molto positivi.
In secondo luogo, anche le previsioni del management per il 2025 sono state confermate o migliorate e, anche in questo caso, si sono attestate tipicamente al di sopra delle aspettative comuni. Ciò ha sostenuto le rivalutazioni positive delle aspettative sugli utili, con le previsioni dei ricavi del settore che sono aumentate di un ulteriore 1% nell’arco di un anno (rispetto al mercato globale, che ha registrato un modesto calo).
Infine, accanto ai fondamentali favorevoli, si stanno manifestando i primi segnali di una revisione delle valutazioni: il settore è partito bene nel 2025, con un rialzo circa del 15% su base annua. Tuttavia, il P/E per il 2026, pari a circa 7,5x, offre ancora un rialzo del 30-40% rispetto alla media di lungo periodo. Con il protrarsi del ciclo di riduzione dei tassi verso il 2%, ci aspettiamo che i risultati degli utili delle singole banche divergano sempre più nel tempo, ma a livello generale continuiamo a vedere valore nelle banche europee. Nei prossimi due anni il settore dovrebbe registrare una crescita del valore per azione pari a circa 15 punti percentuali, con un contributo analogo da parte dei dividendi, il che porta a una creazione di valore intrinseco superiore al 25% al netto della già citata opportunità di rivalutazione.
Il 2024 è stato un altro anno positivo per il fondo, che ha generato ~450 bps di alfa e rendimenti assoluti molto elevati. Si tratta del quarto anno consecutivo di generazione di alfa superiore ai 400 bps, in un contesto volatile e con un panorama di mercato fortemente eterogeneo da fronteggiare (la ripresa post Covid nel 2021, il calo dei mercati azionari e obbligazionari nel 2022, i fallimenti bancari nel 2023 e la volatilità a livello politico nel 2024). Il nostro obiettivo rimane quello di navigare qualsiasi contesto di mercato, con un’elevata attenzione al rendimento assoluto e mantenendo una certa flessibilità in questo settore altamente volatile. Continuiamo a vedere opportunità con un rapporto rischio/rendimento molto interessante nel segmento delle banche europee e in quello delle assicurazioni vita statunitensi, nonché nelle banche statunitensi.
Focalizzandoci sulla performance 2024, tutti i sottosettori hanno contribuito positivamente, ma menzioniamo in particolare le banche (responsabili dei due terzi della performance) e le assicurazioni (responsabili di quasi il 20% dei ritorni). Dal punto di vista geografico, l’Europa e gli Stati Uniti sono stati i principali protagonisti, in linea con la nostra esposizione nel corso dell’anno. Solo tre posizioni sono costate al fondo più di 15 bps nel 2024, mentre 27 posizioni hanno contribuito con almeno 50 bps. I singoli titoli che hanno contribuito maggiormente sono stati Barclays, Standard Chartered, Equitable, Unicredit, Santander, Direct Line, Beazley e Carlyle, che rappresentano un mix diversificato delle nostre principali esposizioni in ambito bancario, assicurativo e finanziario.
In prospettiva, il portafoglio si posizionerà tatticamente sulle banche europee. Siamo molto positivi su questo settore, in quanto le valutazioni rimangono molto convincenti e i profitti nei prossimi 2-3 anni saranno elevati. Dopo alcuni anni eccellenti, i titoli bancari europei in termini assoluti sono tornati ai livelli del 2017 e le valutazioni sono ferme ai livelli minimi precedenti (circa 6,5 volte gli utili futuri). Riteniamo che la redditività delle banche in Europa si rivelerà molto più solida del previsto, il che dovrebbe favorire una forte rivalutazione del settore. La forte crescita dei dividendi e del valore per azione – entrambi largamente assenti nell’ultimo decennio – dovrebbe sostenere la continua crescita delle azioni anche in quello che sarà inevitabilmente un contesto macro e geopolitico volatile nei prossimi 12-24 mesi.
Un altro cambiamento rilevante nel posizionamento del portafoglio nel corso dell’ultimo anno è l’aumento dell’esposizione al settore assicurativo, che era pari a circa il 15% alla fine del 2023 e che ora si colloca sopra al 25%. Ciò è dovuto principalmente alle nostre partecipazioni nelle assicurazioni ramo vita statunitensi, un settore su cui siamo estremamente ottimisti grazie ai bilanci solidi, ai forti rendimenti dei flussi di cassa e ai modelli di business che beneficeranno di tassi più elevati e di curve di rendimento più ripide. Abbiamo anche aumentato l’esposizione alle assicurazioni ramo danni del Regno Unito, la cui redditività è stata incrementata dai mercati più aggressivi degli ultimi anni, alla luce dei ritorni del capitale attesi. Siamo ben posizionati per fusioni e acquisizioni che probabilmente continueranno ad interessare entrambi i sottosettori nei prossimi 12-18 mesi.
Negli ultimi due anni, ci siamo posizionati tatticamente sulle banche statunitensi, che hanno registrato una grande volatilità a causa del ciclo di rialzi della Fed, dei fallimenti delle banche, dei cambiamenti normativi e, più di recente, dell’incertezza elettorale. Se a novembre le grandi e piccole banche statunitensi hanno guadagnato rispettivamente il 13% e il 15% sulla scia delle elezioni americane, a dicembre gran parte di questi guadagni si sono erosi e molti titoli bancari sono ora al di sotto dei livelli pre-elettorali. Nelle ultime settimane abbiamo approfittato di questa situazione per virare su titoli le cui prospettive sono diventate più favorevoli in seguito alle svendite e ai conseguenti declassamenti. La curva notevolmente più ripida (il differenziale chiave tra i tassi a 3 mesi e quelli a 5 anni si è ampliato di oltre 100 punti base nell’ultimo trimestre dell’anno, tornando positivo per la prima volta dal 2022) indica una rivalutazione dei rendimenti dei titoli a reddito fisso, che fungerà da potente spinta per la crescita dei margini d’interesse delle banche nel medio termine.
Si tratta di una inversione di tendenza rispetto agli ultimi 18-24 mesi. Inoltre, l’allentamento del contesto normativo dovrebbe portare a un notevole aumento dei rendimenti del capitale rispetto agli anni precedenti. All’inizio di gennaio, infatti, il vicepresidente della Fed per la vigilanza Michael Barr, uno dei principali sostenitori di requisiti patrimoniali più stringenti, si è dimesso dalla sua carica di supervisore, rendendo le prospettive per le banche ancora più positive. Abbiamo infine investito in diverse banche impegnate in operazioni di acquisizioni o di restructuring, e ci aspettiamo ulteriori opportunità di impiegare il capitale in situazioni simili, che tendono ad offrire sconti molto interessanti per i nuovi investitori.
A novembre le banche statunitensi hanno registrato una forte ripresa sulla scia della vittoria alle presidenziali di Donald Trump e della conquista del Congresso da parte dei repubblicani. Le banche hanno chiuso il mese in rialzo del 13% (banche grandi) e del 14% (banche piccole), mentre l’indice S&P 500 è salito del 6% circa. In particolare, dopo l’impennata del giorno successivo alle elezioni, le grandi banche sono salite di un ulteriore 2%, in linea con il mercato complessivo, mentre le piccole banche sono rimaste stabili. L’amministrazione Trump potrebbe offrire numerosi vantaggi alle banche statunitensi, tra cui un contesto normativo più favorevole, un aumento delle attività di fusione e acquisizione, livelli più elevati di rendimento del capitale, una crescita più sostenuta dei prestiti in un contesto di espansione economica e una curva dei rendimenti più ripida. Tuttavia, l’entità e la velocità del rialzo, e la conseguente espansione dei P/E a livelli superiori alle medie storiche di lungo periodo, hanno chiaramente già incorporato almeno alcuni di questi potenziali catalizzatori. Inoltre, è importante confrontare queste variabili con le stime attuali per valutare l’ulteriore potenziale rialzo. Per quanto riguarda la crescita dei prestiti, ad esempio, il mercato stima già una crescita di circa il 4% in ciascuno dei prossimi due anni, il che rappresenterebbe una notevole accelerazione rispetto alla crescita zero che le banche hanno registrato negli ultimi 18 mesi. Dopo la prima vittoria di Trump nel novembre 2016, la crescita annuale dei prestiti delle grandi banche è rallentata rispetto agli anni precedenti (6% nel 2014, 8% nel 2015 e oltre il 6% nel 2016) fino a scendere a meno del 4% nel 2017; anche se in quel momento erano in gioco altre dinamiche, come l’uscita dei tassi dai livelli minimi, non è scontato che le politiche di Trump stimolino una forte crescita. Per quanto riguarda l’impatto di un nuovo regime normativo, è abbastanza plausibile che le disposizioni di Basilea III Endgame finalizzate dalla nuova amministrazione siano effettivamente neutrali in termini di capitale per il settore nel suo complesso (anche se è probabile che le G-SIB subiscano un aumento della regolamentazione). Questo scenario sarebbe positivo per le banche, che guadagnerebbero flessibilità nel concedere prestiti e nel restituire il capitale in eccesso attraverso i riacquisti; tuttavia, il mercato richiede già che molte grandi banche aumentino i tassi di distribuzione fino a quasi il 100% e ritirino il 5-10% o più delle azioni entro la fine del 2026 (senza contare che le valutazioni sono a livelli poco attraenti per i riacquisti secondo alcuni, come Jamie Dimon di JPMorgan). A parità di altre condizioni, una curva più ripida sarebbe certamente vantaggiosa per la maggior parte delle banche, soprattutto dopo la sofferenza degli utili causata dalla lunga inversione degli ultimi due anni. Anche in questo caso, però, le stime riflettono già almeno in parte questo beneficio, soprattutto quelle più orientate favorevolmente a una curva più ripida. Ad esempio, per numerose banche si prevede un incremento del 15-20% del tasso di crescita del margine di interesse trimestrale entro il 4 trimestre del 2026 rispetto ai livelli attuali (con un aumento anche maggiore per le piccole banche). Infine, il costo del rischio dovrebbe rimanere moderato, con il 2025 in linea con i livelli del 2024, prima di scendere ulteriormente nel 2026.
Lato nostro non crediamo che i catalizzatori attesi sotto Trump non si verificheranno, e che potrebbero non esserci ulteriori stime al rialzo per i titoli. Infatti, continuiamo a detenere in portafoglio banche che riteniamo ben posizionate, sia per motivi idiosincratici, sia in relazione al probabile scenario che si configurerà sotto questa amministrazione. Inoltre, è probabile che le operazioni di fusione e acquisizione si intensifichino, e in effetti si è già registrato un aumento del ritmo delle operazioni di minore entità. Prevediamo che detenere nomi forti e ben posizionati sarà una strategia solida in questo ciclo, e ci concentriamo anche sulle banche di piccole dimensioni con un’importante garanzia di depositi. Tuttavia, riteniamo che dopo questo rialzo sia necessaria una certa cautela e abbiamo spostato parte del portafoglio verso segmenti che offrono più valore, come le assicurazioni vita negli Stati Uniti.
Nonostante si sia parlato molto di fusioni e acquisizioni negli Stati Uniti in seguito alle elezioni, non abbiamo ancora assistito a transazioni significative, mentre in Europa l’attività di compravendita è effettivamente entrata nel vivo. Dopo le iniziative di BBVA e UniCredit, rispettivamente in Spagna e in Germania, il mese di novembre è stato caratterizzato da un’intensificazione delle operazioni di fusione e acquisizione nel settore finanziario europeo, con UniCredit che ha presentato un’offerta per Banco BPM e Aviva che ha presentato non meno di tre offerte in una settimana per mettere pressione al consiglio di amministrazione di Direct Line. I nostri fondi sono investiti in entrambe le società target. A nostro avviso, anche UniCredit dovrà alzare la propria offerta, ma prevediamo che l’operazione andrà a buon fine nei prossimi mesi. Direct Line è un caso degno di nota perché, a differenza delle operazioni bancarie, Aviva sta pagando un premio molto significativo (oltre il 70%), eppure il titolo dell’acquirente continua a registrare una buona performance (è a livelli pressoché invariati dall’annuncio). Il mercato è chiaramente favorevole all’operazione di Aviva, considerandola una transazione strategica e finanziaria sensata che dovrebbe garantire una significativa crescita degli utili. Saremmo piuttosto sorpresi se non dovessero verificarsi altre operazioni simili nel settore assicurativo, in particolare in quello delle piccole e medie imprese, dove abbiamo concentrato le nostre esposizioni.
Nelle ultime settimane abbiamo approfittato di questa fase per virare su titoli le cui prospettive sono diventate più favorevoli in seguito alle vendite e ai conseguenti declassamenti. La curva dei rendimenti, notevolmente più ripida (il differenziale chiave tra i tassi a 3 mesi e quelli a 5 anni si è ampliato di oltre 100 punti base nell’ultimo trimestre dell’anno, tornando positivo per la prima volta dal 2022), favorisce la rivalutazione dei rendimenti dei titoli a reddito fisso, che fungerà da potente spinta per la crescita dei margini d’interesse delle banche nel medio termine.
Nel mese di ottobre, le banche statunitensi hanno performato (gli istituti più grandi +7% e quelli di minori dimensioni +4%) meglio dell’indice S&P 500, che invece ha chiuso in territorio leggermente negativo, grazie ai buoni risultati sul terzo trimestre e a previsioni del management riviste in positivo. L’azionario finanziario ha beneficiato anche del crescente ottimismo per la potenziale vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre. Tale vittoria (oltre ad una prestazione nettamente superiore del partito repubblicano nelle elezioni del Congresso) si è effettivamente concretizzata e le banche hanno quindi registrato un forte rialzo. Il relativo indice BKX è salito dell’11% e le banche più piccole ancor di più nei quattro giorni successivi alle elezioni, con diversi fattori che hanno determinato lo slancio positivo. In cima alla lista dei fattori positivi, annoveriamo un ambiente normativo più favorevole, dato che Trump avrà la possibilità di rimuovere i vertici di numerose agenzie di regolamentazione in tempi relativamente brevi. Si prevede che i nuovi leader normativi saranno più aperti alle operazioni di fusione e acquisizione, anche a livello di banche regionali, il che sarebbe in netto contrasto con la tendenza degli ultimi anni di limitare tali operazioni. Inoltre, è probabile che la proposta di Basilea III Endgame venga notevolmente ridimensionata rispetto alla sua forma originale, se non addirittura cancellata del tutto. Nonostante i numerosi dubbi che aleggiano su tale normativa, la minor crescita degli asset ponderati per il rischio potrebbe portare a un aumento del rendimento del capitale nei prossimi anni.
Oltre all’alleggerimento normativo, lo slancio positivo delle banche americane è ascrivibile anche alle aspettative di crescita economica favorita dalle politiche di Trump, che porterebbe ad un aumento della domanda di prestiti e al mantenimento di costi dei crediti contenuti. Infine, una curva dei tassi più ripida dovrebbe sostenere il reddito da interessi, in quanto gli asset con tassi più bassi si trasformerebbero in prestiti e titoli a più alto rendimento. Per quanto questi elementi positivi possano concretizzarsi, è difficile quantificare l’aumento degli utili che ne deriverà. Durante il primo mandato di Trump, la volontà del governo di ridurre le tasse era evidente e l’aliquota dell’imposta sulle società è scesa significativamente dal 35% al 21%, portando a un aumento degli utili per molte banche di oltre il 20%. Anche se l’aliquota venisse ulteriormente abbassata dal 21% al 15% (taglio auspicato da Trump, ma che sarà molto difficile da far passare al Congresso), ciò rappresenterebbe un aumento del 5-8% degli utili stimati, appena un terzo dell’impatto del precedente taglio dell’imposta sulle società. Inoltre, un parziale ridimensionamento di Basilea III era già stato messo in conto. Prima del forte rialzo post-elezioni, le banche erano già salite notevolmente in seguito al dibattito presidenziale di giugno, senza un corrispondente aumento delle stime. Di conseguenza, il multiplo P/E dell’indice BKX basato sulle stime per il 2026 è aumentato in media del 40% da metà giugno. Nel corso dell’anno abbiamo notato il potenziale di questi catalizzatori positivi e abbiamo costruito posizioni su emittenti che ne avrebbero beneficiato (potenziali obiettivi di fusione e acquisizione, beneficiari del riprezzamento dei rendimenti degli asset, ecc.). A seguito del rapido rally, stiamo invece riducendo l’esposizione del portafoglio, ora che gli elementi positivi sono già riflessi nelle valutazioni. Pur riconoscendo che lo slancio potrebbe continuare e mantenendo alcune posizioni, ne stiamo tagliando alcune per concentrarci su altri titoli, tra cui le assicurazioni vita statunitensi e le banche europee.
Le assicurazioni del ramo vita sono del tutto analoghe alle banche europee, in quanto 1) beneficiano in larga misura dell’aumento dei tassi, 2) i loro titoli sono stati ignorati per un decennio dopo la crisi finanziaria del 2008, il che ha portato a valutazioni estremamente interessanti, e 3) i loro bilanci sono molto solidi e il ritorno del capitale è significativo, con rendimenti generalmente nell’ordine del 10-15%. Con l’arrivo di Trump, l’inflazione aumenterà sicuramente grazie a una combinazione di stimoli fiscali, giro di vite sull’immigrazione e sempre più dazi. In effetti, l’inflazione implicita nel mercato ha già registrato un notevole rialzo in risposta ai risultati elettorali. Ciò è particolarmente positivo per gli assicuratori del ramo vita, in quanto tassi nominali più elevati lungo tutta la curva favoriscono gli spread, la tenuta degli utili, le vendite e la solidità dei bilanci. Non sorprende che i titoli del ramo vita statunitensi abbiano subito un notevole rialzo in risposta alle elezioni. Tuttavia, rimangono ancora sottovalutati, con multipli PE compresi nell’intervallo 4-8x e rendimenti dei flussi di cassa a doppia cifra, nonostante la forte crescita degli EPS sostenuta dai riacquisti. Continuiamo a incrementare opportunisticamente la nostra esposizione a questo segmento, aspettandoci una significativa rivalutazione nei prossimi 12-18 mesi.
Meno nitide sono le implicazioni economiche per l’Europa. La reazione iniziale dei mercati alla vittoria di Trump è stata di cautela, con le aspettative sui tassi futuri che sono scese di nuovo (anche se le banche d’investimento sono salite in previsione della deregolamentazione associata). Le opinioni di Trump sull’industria automobilistica europea e sui dazi in generale fanno sorgere dei timori per paesi come la Germania, dove l’economia è già sotto pressione. D’altro canto, se Trump manterrà la promessa di porre fine alla guerra in Ucraina, un accordo di pace (oltre ai benefici umanitari) fornirebbe una spinta all’economia grazie alla riduzione dei prezzi dell’energia e agli investimenti associati alla ricostruzione del Paese. Un’ipotesi più ottimistica è che la vittoria di Trump possa spronare i politici dell’Unione Europea a unirsi per realizzare un’integrazione e una riforma economica che ne supporti le prospettive future di crescita. A livello di portafoglio, abbiamo diminuito l’esposizione alle banche più sensibili ai tassi nel corso del 2024, a favore di quelle più diversificate (come Barclays, dove alcune linee di business beneficiano da un contesto di tassi in calo (investment banking, carte) e dove le valutazioni rimangono basse (0,7x P/TNAV)). Ci preme sottolineare che alcuni degli istituti più sensibili ai tassi possono comunque offrire rendimenti e distribuzioni a doppia cifra quando i tassi scendono a 2%. Anche ipotizzando questi livelli di tassi, i multipli di molte banche europee sono ancora solo a 5-6x gli utili 2026. In sintesi, il rapporto rischio/rendimento in questo settore rimane interessante grazie all’eccesso di capitale, alle significative distribuzioni, ai bilanci solidi e alle valutazioni che sono ancora inferiori del 30-40% rispetto ai valori storici sia su base assoluta che relativa.
Manca meno di un mese al giorno delle elezioni negli Stati Uniti, i cui risultati influenzeranno probabilmente in modo significativo l’andamento dei titoli finanziari. Dopo la scarsa performance del Presidente Biden nel dibattito di fine giugno e il tentativo di assassinio dell’ex Presidente Trump due settimane dopo, i titoli finanziari statunitensi hanno registrato risultati molto positivi a luglio, in seguito all’aumento delle probabilità di vittoria di Trump; infatti, le banche regionali sono salite di oltre il 20% e le grandi banche di oltre il 10% rispetto a uno S&P 500 stazionario.
Negli ultimi due mesi, tuttavia, le banche hanno registrato risultati inferiori alle aspettative, probabilmente a causa, almeno in parte, dell’impennata del vicepresidente Harris nei sondaggi, che ora vede i due candidati praticamente in parità. Una presidenza repubblicana (e a maggior ragione una completa vittoria repubblicana) sarebbe positiva per i finanziari in quanto nominerebbe una leadership normativa favorevole al settore, che dovrebbe portare a un aumento delle operazioni di fusione e acquisizione e a una riduzione degli oneri normativi. Nella pratica, i vertici di otto importanti agenzie di regolamentazione potrebbero essere sostituiti da subito. Inoltre, i repubblicani potrebbero lavorare per rimodellare la Federal Reserve nel 2026, quando scadranno i mandati del presidente Powell e del vicepresidente Barr.
Le fusioni e acquisizioni nel settore bancario hanno subito un forte rallentamento sotto l’amministrazione Biden, in quanto il processo di approvazione delle operazioni è diventato più lungo e incerto. Con un approccio normativo più snello e una politica antitrust meno restrittiva, è probabile che le operazioni di M&A tornino ad essere consistenti. Inoltre, ci aspettiamo un’attenuazione del vaglio normativo su requisiti patrimoniali, compliance, commissioni e così via, il che influenzerebbe positivamente i rendimenti di capitale e l’efficienza del settore.
Infine, rileviamo che banche e altri istituti finanziari sono stati scambiati a multipli relativi più alti sotto l’amministrazione Trump che sotto quella di Biden (con una discrepanza particolarmente evidente per le banche regionali), lasciando presagire una potenziale significativa fase di rialzo post elettorale. Sebbene una vittoria repubblicana non sia lo scenario più probabile, è comunque plausibile e potrebbe portare a una fase di rialzo per il settore.
Avevamo già parlato di M&A a inizio anno (si veda il nostro commento di aprile 2024) e le ultime settimane hanno fornito ulteriori prove del fatto che si tratta di un tema di crescente importanza nello spazio finanziario globale che non dovrebbe essere ignorato.
In Europa, BNP ha annunciato ad inizio di agosto l’intenzione di acquisire le attività di gestione patrimoniale di Axa per €5.1mld. In un raro esempio di regolamentazione post-crisi che produce risultati più favorevoli per le banche, BNP è in grado di utilizzare il suo modello di bancassicurazione a proprio vantaggio: con l’acquisizione delle attività di Axa da parte del ramo assicurativo di BNP, quest’ultima riceve un trattamento normativo meno oneroso in base al cosiddetto “compromesso danese”. Ciò significa che il fabbisogno di capitale legato all’acquisizione è in realtà inferiore a €2mld e consente a BNP di prevedere un ROIC di circa il 18% sull’operazione (un obiettivo che appare di per sé conservativo, viste le probabili sinergie che risulteranno dalla fusione con le attività di gestione patrimoniale di BNP). Nei giorni scorsi è stato anche annunciato che la banca italiana UniCredit ha acquisito una quota di circa il 9% della banca tedesca Commerzbank (CBK). Non la definiremmo un’operazione di M&A “transfrontaliera” in quanto tale, data la notevole presenza di UniCredit in Germania (ma è proprio questa presenza a sostenere la logica strategica della mossa). Sebbene rimanga da vedere se UniCredit procederà con un’offerta pubblica di acquisto completa, è indubbio che il successo del turnaround del management della banca finora ha fornito una maggiore flessibilità strategica – UniCredit ha un significativo capitale in eccesso con un coefficiente CET1 del 16,2% e una valutazione favorevole a 1,1x P/TNAV (rispetto a CBK che scambiava a 0,5x prima dell’annuncio dell’operazione).
Con l’affievolirsi dell’entusiasmo iniziale per il ritorno a un contesto di tassi d’interesse più normalizzati, ci aspettiamo di rilevare utili sempre più differenziati tra le singole banche. Ciò dovrebbe offrire ulteriori opportunità alle banche più solide con team di gestione strutturati di intraprendere importanti azioni strategiche. Il nostro compito sarà quello di individuare i potenziali vincitori in questo scenario. L’opportunità non è limitata alle banche europee. Sospettiamo che le grandi operazioni di fusione e acquisizione nel settore assicurativo subiranno un’accelerazione, in quanto i grandi acquirenti in Asia scioglieranno le partecipazioni incrociate e libereranno capitale da destinare all’esterno. Con i titoli Lloyds nel Regno Unito che vengono scambiati con forti sconti e modeste capitalizzazioni di mercato, prevediamo che questo sarà uno dei primi traguardi per il consolidamento. Inoltre, negli Stati Uniti, osserviamo una frenata nelle operazioni di fusioni e acquisizioni bancarie, in quanto gli istituti più piccoli hanno sempre più difficoltà a essere competitivi nel nuovo regime normativo. Anche se le elezioni di novembre avranno sicuramente un impatto su questa situazione, è molto probabile che nel 2025-26 si assista a un’attività di fusione e acquisizione di istituti bancari molto più elevata rispetto agli ultimi 5 anni, indipendentemente da chi vincerà la corsa alla Casa Bianca. Negli ultimi mesi abbiamo già assistito ad alcune operazioni, che hanno anche impattato una delle nostre partecipazioni. Il modello è già pronto: acquisto di tutte le azioni del venditore, con significative sinergie di costo e un incremento dell’EPS superiore al 20%. L’opportunità di creare valore è elevata sia per gli acquirenti che per i venditori, quindi ci aspettiamo che questo sia un elemento importante per l’evoluzione del nostro portafoglio nei prossimi 12-24 mesi.
Il settore finanziario globale ha registrato un altro solido mese di sovraperformance a luglio (c.3%, alla luce dei buoni risultati del 2° trimestre), fino a quando la decisione della Banca del Giappone (BoJ) di aumentare i tassi, seguita rapidamente da dati più deboli sull’occupazione negli Stati Uniti, ha scatenato nuovi interrogativi sulla direzione futura dei tassi di interesse e sulle prospettive economiche globali. Il settore finanziario ha subito una contrazione di oltre il 7% nei primi 3 giorni di negoziazione di agosto (anche se ha sottoperformato l’indice più ampio solo dell’1%). Riteniamo che tale situazione rappresenti un’opportunità.
All’interno dei finanziari, continuiamo a preferire le banche europee. Sebbene gli interrogativi sul ritmo dei tagli dei tassi e sullo stato dell’economia siano validi, fatichiamo a vedere giustificazioni fondamentali per queste svendite generalizzate. Secondo il nostro scenario di stress test, applicando i margini pre-COVID (ossia prima di qualsiasi rialzo dei tassi) e considerando gli accantonamenti durante il periodo COVID (ossia in uno scenario di recessione), gli utili rettificati porterebbero il settore finanziario a negoziare a circa 9,5x gli utili del 2026 (rispetto all’attuale <6,5x). In altre parole, anche in scenari di forte stress, i titoli continuano a scambiare al di sotto del multiplo medio di lungo periodo di 10x. Ci conforta anche la forte resilienza che molte banche europee hanno in un contesto di tassi in calo. Banche come Barclays, nel Regno Unito, hanno ampie posizioni di copertura strutturale, che consentono di ammortizzare i margini netti da interesse nel tempo e che di fatto “pagheranno” quando i tassi di interesse scenderanno. La dimensione delle coperture di Barclays è equivalente a un terzo della riserva di depositi e il loro rinnovo dovrebbe contribuire a un reddito incrementale cumulativo pari a quasi il 20% dell’utile al lordo delle imposte nel 2025-26. Nel frattempo, la diversificazione di Barclays rappresenta un ulteriore punto di forza, con la banca d’investimento (>40% dei ricavi) e la banca commerciale in USA (circa il 13% dei ricavi) che dovrebbero beneficiare di tassi più bassi, date le connotazioni positive associate rispettivamente ai livelli di attività e alla qualità degli attivi/ domanda. Ci aspettiamo che i tassi si assesteranno nell’intervallo 2-3% e che le banche europee siano ben posizionate per questo scenario.
Le banche giapponesi hanno subito la contrazione più forte in questa fase di svendite (>15% rispetto ai livelli precedenti al rialzo dei tassi della BoJ), ma a nostro avviso questa opportunità d’investimento è meno attraente. Nonostante il declassamento, le banche giapponesi scambiano ancora a circa 9x P/E, il che implica che bisogna prevedere o rialzi dei tassi più elevati o dinamiche di pricing dei depositi più favorevoli di quelle ipotizzate dal consenso per arrivare a valutazioni più convincenti. Non è ancora chiaro quale delle due prospettive si concretizzerà, soprattutto se si verificheranno tagli dei tassi più rapidi da parte di altre banche centrali. Con le banche giapponesi che offrono un rendimento di circa il 5% rispetto al 12% circa (compresi i buyback) in Europa, continuiamo a vedere un miglior rischio/rendimento negli istituti europei.
Il mese di giugno è stato caratterizzato da colpi di scena nel panorama politico, a partire dalla convocazione da parte di Macron di elezioni parlamentari anticipate in Francia, fino alla pessima performance del Presidente Biden nel primo dibattito pre elezioni, che ha ridotto significativamente le probabilità di una sua rielezione quest’anno. Questi eventi hanno ricordato al mercato che il 2024 sarà “l’anno delle elezioni”, con circa il 50% della popolazione mondiale che si recherà alle urne. È difficile separare le banche dal rispettivo contesto politico, date le potenziali implicazioni per la crescita, i costi della raccolta e la qualità degli attivi. Tuttavia, quando il mercato trascura i fondamentali, si possono creare interessanti opportunità di investimento. Le sfide che l’economia francese deve affrontare (doppio deficit, crescita lenta) non sono nuove, mentre la struttura dei bilanci nazionali fa sì che le banche francesi non beneficino dell’aumento dei tassi nella stessa misura degli altri paesi europei. Tuttavia, se le aspettative di base per un parlamento in stallo/una modesta maggioranza di estrema destra e il proseguimento della presidenza di Macron si concretizzeranno, non è chiaro se assisteremo nel breve termine a ricadute materiali sull’economia europea in generale (o sulla funzione di reazione della BCE). Ciò rende la recente debolezza di alcune banche europee (non francesi) particolarmente interessante. La selezione dei singoli titoli è sempre più importante, ma riteniamo che le opportunità d’investimento per il settore bancario europeo restino molto interessanti, visti i continui miglioramenti degli utili, i rendimenti annuali sotto forma di dividendi e buyback oltre il 10% e le valutazioni scontate in modo significativo rispetto alla media di lungo periodo.
Nel frattempo, negli Stati Uniti le aspettative sul tasso d’interesse dei Fed Funds per il 2025 sono scese al 3,9% dai livelli di fine maggio (quando erano oltre il 4,4%), poiché i recenti dati sull’inflazione sono stati più favorevoli e i dati sulla crescita hanno iniziato a mostrare alcuni segnali di rallentamento. A nostro avviso, questo potenziale fenomeno di soft landing – ammesso che non si tratti dei primi segnali di un rallentamento molto più consistente – potrebbe finalmente rappresentare un contesto più costruttivo per le banche statunitensi. Considerando che i fattori che finora hanno gravato sulle banche statunitensi (pressioni sulla raccolta, questioni normative, vincoli patrimoniali) stanno iniziando a stabilizzarsi e quasi a impattare positivamente, sorprende notare come le azioni (in particolare quelle più piccole) continuino a scambiare a valutazioni assolute e relative molto basse. Considerato il punto di partenza e il sentiment molto negativo, un’esposizione lunga alle banche statunitensi più piccole comincia a sembrare un’ipotesi più interessante. Ciò che potrebbe rendere questo settore davvero attraente è uno scenario di “red wave” repubblicana a novembre (che ora sembra molto più probabile rispetto a pochi mesi fa) in quanto incentiverebbe un’ondata di fusioni e acquisizioni tra le banche statunitensi proprio nel momento in cui gli investitori stanno abbandonando il settore. Il rischio politico avrebbe quindi un lato positivo: le piccole banche statunitensi potrebbero risultare uno dei “Trump trade” migliori e non scontati del mercato.
A maggio il fondo ha reso +5,6%, mentre l’indice di riferimento è salito del +3,4%. Le banche europee si sono distinte ancora una volta tra i principali contributori, sebbene anche i titoli assicurativi statunitensi abbiano fornito importanti apporti positivi durante il mese.
La costernazione che abbiamo rilevato tra molti investitori alla fine dell’anno scorso circa gli impatti che l’imminente ciclo di tagli dei tassi della BCE potrebbe avere sulle azioni bancarie europee si è in gran parte dissipata, con buone ragioni a nostro avviso. In primo luogo, c’è stato un chiaro cambiamento di passo nel livello dei tassi che è andato molto a favore delle banche: le aspettative sui tassi di riferimento a fine 2024 sono passate dal 2,2% di gennaio al ~3,3% di oggi, e i tassi forward a 2 anni sono passati dall’1,8% al ~2,5%. Ciò ha supportato le proiezioni dei margini netti da interessi (NII) delle banche e stiamo già iniziando a vedere segnali di revisioni in positivo, poiché la maggior parte degli istituti aveva ipotizzato la curva forward di gennaio quando ha esposto le proprie stime sui NII ad inizio dell’anno.
In secondo luogo, le banche hanno gestito in modo proattivo la loro sensibilità ai tassi di interesse, assicurandosi che i benefici di tassi elevati si protraggano nel tempo. L’attuale sensibilità a tassi più bassi per la media delle banche europee è minore del 2% (calo dell’utile al lordo delle tasse) per ogni riduzione di 25pb dei tassi, che è circa 1/3 della sensibilità ai tassi più alti registrata nell’ultimo trimestre 2022. Quindi, mentre guardiamo avanti al tanto annunciato ciclo di tagli dei tassi della BCE – che potrebbe rivelarsi marginale se la recente ripresa dell’attività economica europea dovesse persistere – le banche si sono ben posizionate per gestire il mutevole contesto dei tassi di interesse.
Il rischio politico resta rilevante in Europa, come dimostrato dalle elezioni anticipate indette nel Regno Unito e, più di recente, in Francia. Tuttavia, notiamo che la retorica dell’anno scorso sulle imposte bancarie e sulla remunerazione delle riserve non sono argomento di discussione nella maggior parte dei Paesi, quindi gli impatti diretti sugli utili bancari potrebbero essere limitati, anche se osserveremo l’impatto dell’incertezza politica sui rendimenti obbligazionari e sull’attività economica. In ogni caso, una crescita più lenta dei prestiti si traduce semplicemente in un rendimento del capitale più elevato per la maggior parte delle banche europee in questo momento. Anche se il costo del capitale proprio potrebbe aumentare temporaneamente mentre gli investitori si abituano al nuovo scenario politico, continuiamo a credere che ci sia ampio margine di manovra per rivalutare il settore, via via che le banche dimostrano la robustezza degli utili durante il ciclo dei tassi. Con le valutazioni assolute ancora contenute in un range di 6-7 volte gli utili futuri (rispetto a 10 volte degli ultimi due decenni) e le valutazioni relative bloccate al di sotto del livello minimo pre-Covid (attualmente il 56% della valutazione di mercato, rispetto al 60% del minimo pre-Covid e range abituale 60-100%), vi è spazio per un’ulteriore significativa rivalutazione nei prossimi 12-18 mesi. Nel frattempo, mentre i tassi della BCE scendono, continuiamo a beneficiare di rendimenti da dividendi del 7-9%, a cui vanno aggiunti i riacquisti.
Ad aprile, grazie alle banche europee, il fondo ha performato meglio dell’indice di riferimento, che è sceso di oltre il 2% nel mese. Anche per il trimestre appena concluso, le banche europee hanno pubblicato ottimi risultati, con profitti aggregati che hanno superato le previsioni di circa l’8%, con risultati migliori su ricavi, costi e accantonamenti. È importante sottolineare che le stime future continuano a salire, in netto contrasto con le opinioni di molti investitori all’inizio di quest’anno. Le azioni rimangono innegabilmente convenienti e gli utili continuano a salire: a nostro avviso, l’azionario bancario europeo è ancora molto interessante anche dopo un ottimo 2023 e un buon inizio 2024.
La notizia più entusiasmante relativa alle banche europee, tuttavia, non riguarda gli utili, ma piuttosto il sorprendente ritorno delle fusioni e acquisizioni bancarie aperte. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a 1) due operazioni minori annunciate nel Regno Unito (Coventry/Coop e Nationwide/Virgin Money) e 2) BBVA che ha presentato un’offerta ostile agli azionisti di Sabadell in Spagna la scorsa settimana (un po’ all’improvviso, ma non del tutto inaspettata, viste le precedenti trattative tra i due istituti nel 2020, poi interrotte). Inoltre, Sabadell fornisce già da tempo un importante contributo positivo al fondo.
La natura della regolamentazione nell’Eurozona distoglie ancora alcune delle potenziali attrattive di fusioni e acquisizioni transfrontaliere su larga scala, ma a nostro avviso l’impiego di capitale in operazioni sul mercato può portare molti benefici. Le sinergie ottenibili nelle precedenti operazioni di M&A nell’Europa meridionale ammontavano generalmente al 40% circa della base imponibile acquisita, il che può garantire un interessante aumento degli utili. Anche se tali risparmi comportano un costo iniziale, la ripresa delle valutazioni lascia ad alcune banche una “valuta” più forte con cui perseguire accordi, rispetto ad altre banche dal valore inferiore. Se effettuate al giusto prezzo, tali operazioni possono aumentare la capacità distributiva delle banche nel medio termine. Riteniamo che il consolidamento rimarrà un tema nei prossimi mesi, in particolare via via che i tassi scenderanno e inizieranno ad emergere le differenze di performance da banca a banca.
Allo stesso modo negli Stati Uniti, gli annunci di fusioni tra le banche più piccole hanno registrato un’accelerazione nelle ultime settimane e potrebbero essere un segnale di ciò che ci aspetta, soprattutto perché la necessità di economie di scala ed efficienza diventano più evidenti. Questa attività potrebbe anche essere significativamente rafforzata se il contesto normativo diventasse più favorevole sotto un’amministrazione repubblicana. Dopo una lunga pausa dalle operazioni di M&A bancarie sia negli Stati Uniti che in Europa, ci sono le premesse per una ripresa nei prossimi 12-24 mesi. Ricerchiamo società in Europa o in America che beneficeranno da questo nuovo regime di mercato, sia come soggetti che oggetti di acquisizioni.
Con la pubblicazione dei risultati delle assicurazioni europee e il tema del rimpatrio dei capitali si è conclusa una lunga stagione delle trimestrali. Le quattro grandi assicurazioni a media capitalizzazione come AXA e Allianz hanno aumentato la percentuale minima di utili distribuiti a 60% (dal 50% in precedenza) mentre tre su quattro hanno annunciato nuovi riacquisti. Tuttavia, la loro performance operativa non ha convinto poiché tutte e quattro le assicurazioni multiramo hanno riscontrato risultati più deboli, pesantemente influenzati dalla maggiore incidenza di eventi catastrofici come le inondazioni in Europa nella prima metà del 2023.
Al contrario, la scelta di investire nella corporazione di assicuratori Lloyd’s di Londra è stata vincente; infatti questo gruppo meno noto ha riportato i migliori risultati operativi della stagione, come un livello di combined ratio (indice di qualità tecnica della gestione danni) nettamente inferiore alla mediana delle società a grande capitalizzazione (80% vs 95%). Utili così elevati hanno consentito al gruppo di sorprendere positivamente lato rendimenti di capitale. Tra le assicurazioni della corporazione, Hiscox ha inaspettatamente lanciato un programma di riacquisto di azioni per 150 milioni di dollari, Beazley ha sorpreso positivamente con la decisione di effettuare un riacquisto di 325 milioni di dollari, anziché un dividendo straordinario, dopo l’aggiornamento di febbraio prima della pubblicazione dei risultati 2023 e, infine, Lancashire ha annunciato un altro dividendo straordinario di $0,50 per azione, ripetendo quanto già avvenuto per il Q3 2023. Analogamente a molte banche in Europa, intravediamo potenziale per rendimenti totali a doppia cifra per le assicurazioni del gruppo. Poiché le società stanno spostando il focus dalla crescita al rendimenti per gli azionisti, come osservato nel periodo 2014-2018, prevediamo che il rapporto Price/Book Value (attualmente circa 1,3x) tenderà ad avvicinarsi alla media decennale di 1,9x.
Negli Stati Uniti, le valutazioni bancarie sono rimaste pressoché invariate in vista della riunione della Federal Reserve, temendo prese di posizione più aggressive dopo i recenti dati sull’inflazione. Tuttavia, i commenti del presidente della Fed Powell dopo l’incontro sono stati interpretati come sufficientemente accomodanti da mantenere sul tavolo i tagli dei tassi nei prossimi mesi. Questo atteggiamento ha favorito l’apprezzamento dei titoli finanziari guidati dalle banche regionali, che dovrebbero beneficiare di tassi a breve termine più bassi che alleggeriranno i costi di finanziamento. Inoltre, gli istituti che hanno performato peggio a marzo erano stati invece tra i migliori a gennaio-febbraio. Ciò implica uno spostamento degli investitori verso titoli che avevano sofferto di più e una maggiore propensione al rischio. Sebbene al momento il fondo abbia un’esposizione piuttosto modesta al settore bancario statunitense, continuiamo a cercare banche con margini netti da interessi e traiettorie di utili fortemente positivi per il 2024 e 2025, valutazioni interessanti, riserve di capitale solide e rischio credito gestibile. Inoltre, le fusioni potrebbero registrare una forte ripresa se il contesto normativo dovesse allentarsi. Le banche statunitensi potrebbero diventare molto più interessanti nei prossimi 6-12 mesi.
Le banche europee hanno iniziato l’anno alla grande poiché i timori di declassamenti degli utili legati ai tassi si sono rivelati infondati. Tuttavia, riteniamo che ci sia ancora spazio di crescita, ora che finalmente le revisioni in positivo degli utili sembra stiano mettendo fine alla fase di forte sconto a cui il settore ha scambiato negli ultimi mesi. Nonostante il +25% nel 2023 e il +15% nel primo trimestre 2024, le banche europee si trovano comunque vicino ai minimi storici in termini di rapporto Price/Earning assoluto e valutazioni relative rispetto al mercato. Siamo sempre stati convinti che il miglioramento degli utili sarebbe stato trainato dai fondamentali e sarebbe poi stato seguito da una graduale rivalutazione, man mano che il mercato avrebbe apprezzato la resilienza degli utili. Questo processo sembra ora messosi in moto (siamo attualmente a 6,5x, da paragonarsi alla media storica di 9-10x e al recente minimo di 5,5x). Considerando anche il massiccio rendimento del capitale, vediamo ancora spazio per raggiungere rendimenti totali estremamente interessanti.
La rendicontazione dei risultati dell’anno fiscale 2023 è continuata fino a febbraio, con le banche inglesi che sono state protagoniste e hanno registrato ottime performance lato azionario (Barclays e Standard Chartered sono tra le 5 banche europee con le migliori performance nel mese). Nel corso dello scorso anno le banche del Regno Unito hanno perso il favore del mercato, in quanto hanno registrato uno slancio nei redditi netti da interesse (NII) più debole rispetto ad alcune controparti in Sud Europa, più sensibili ai tassi. Inoltre, il contesto normativo ha rappresentato una sfida nel Regno Unito (vedi recenti annunci relativi ai finanziamenti per l’acquisto di auto e alla protezione dei consumatori). Tuttavia, riteniamo che questo sia più che evidente nei livelli ancora elevati del costo implicito delle azioni (>16% contro circa il 13% per il settore bancario europeo nel suo insieme).
A nostro avviso, le valutazioni si sono ridotte eccessivamente e riteniamo che, dai livelli attuali, i prezzi delle azioni possano continuare a salire grazie ai seguenti catalizzatori:
Per riassumere, ci sono diversi elementi negativi che pesano su questi titoli bancari, ma anche alcuni aspetti interessanti, in particolare relativamente alla ripresa dei NII e alla crescita del valore contabile. Dopo la netta sottoperformance dell’ultimo anno, riteniamo che la situazione possa cambiare e che rendimenti totali molto elevati dovrebbero supportare le valutazioni.
A gennaio, i mercati hanno mantenuto il loro andamento positivo, con l’indice MSCI All Country in rialzo dello 0.6% (in USD) e l’indice MSCI ACWI Financials in crescita dell’1.1%. In questo contesto, il fondo Algebris Financial Equity ha reso l’1.55% nel mese.
In Europa, il calo delle aspettative sui tassi alla fine dello scorso anno ha fatto sì che la stagione degli utili del quarto trimestre diventasse l’ultimo test di resilienza per gli utili bancari, e ancora una volta i risultati sono stati rassicuranti. Le indicazioni fornite dai team di gestione sono state generalmente in linea o superiori, determinando revisioni del consenso sugli utili 2024 moderatamente positive (in media, per le banche che hanno riportato finora), con il settore che continua a scambiare a multipli interessanti di circa 6.5x P/E.
Due sono stati i fattori di supporto chiave. Innanzitutto, molte banche hanno ridotto la sensibilità ai tagli dei tassi attraverso strategie di copertura e/o una crescente esposizione alle attività a tasso fisso. Pertanto, la sensitività ad una variazione di 100pb dei tassi che 18 mesi fa era prossima al 20% dell’utile ante-imposte è ora scesa al 5% circa, il che significa che le proiezioni dei redditi netti da interesse si stanno dimostrando più resilienti di quanto previsto dal mercato, anche se le aspettative sui tassi si sono ridotte. In secondo luogo, non vi è alcuna prova di un deterioramento materiale della qualità degli attivi, con accantonamenti che nel quarto trimestre sono stati generalmente inferiori alle attese, supportando le aspettative per il 2024. Una riduzione delle attese sui tassi contribuisce a sostenere il quadro della qualità degli attivi a medio termine, con il mercato che resta intento a valutare gli altri potenziali benefici (come una ripresa dei volumi dei prestiti e dell’attività basata su commissioni).
Certamente, la selezione dei titoli diventerà sempre più importante man mano che entriamo nel ciclo di allentamento: continuiamo a concentrarci su emittenti per i quali le aspettative sugli utili sono a nostro avviso sottostimate e, cosa ancor più importante, in cui un potenziale di distribuzione interessante ci possa ripagare in attesa di una rivalutazione futura (con molte banche che offrono rendimenti a doppia cifra medio-alta, compresi i riacquisti).
Negli Stati Uniti, dopo un forte rialzo alla fine del 2023, la performance delle banche statunitensi è stata contrastante a gennaio, con i principali istituti in territorio positivo e le regionali che hanno avvertito una certa pressione. I risultati sugli utili hanno generalmente indicato alcune tensioni a breve termine e incertezze sui finanziamenti, sulla traiettoria dei ricavi, sulla leva operativa e sui vincoli di capitale, compensati dall’ottimismo dei team di gestione per quanto riguarda la seconda metà del 2024. Le tendenze della qualità del credito sono state contrastanti, e resta la domanda se si tratti semplicemente di una “normalizzazione” o se le condizioni siano destinate a peggiorare in modo più significativo.
Alla fine del mese, la New York Community Bancorp ha sorpreso il mercato riportando una perdita nel trimestre a causa di un ampio accantonamento per la sua esposizione al settore immobiliare commerciale, un taglio dei dividendi e una sostanziale revisione al ribasso delle prospettive sugli utili, che hanno portato il titolo a cedere oltre il 50%. Nel 2023, la NYCB è stata percepita come vincitrice nella crisi bancaria, acquisendo i resti della fallita Signature Bank tramite la FDIC. Tuttavia, ciò ha comportato il blocco di oltre $100mld in attivi e l’ingresso in una nuova categoria regolamentare. Di conseguenza, la banca ha ora riserve di liquidità, capitale e accantonamenti per perdite su crediti inferiori e ha annunciato l’intenzione di voler migliorare il proprio posizionamento molto rapidamente, a discapito della redditività a breve termine. È importante sottolineare che non abbiamo esposizione a NYCB e che il nostro posizionamento sugli istituti regionali statunitensi è ai minimi degli ultimi anni, dato il contesto macroeconomico e le prospettive incerte. Restiamo posizionati per poter giocare all’attacco qualora emergano opportunità, tenendo presente che quando le acque si calmeranno è probabile che fusioni e acquisizioni subiranno un’accelerazione significativa, anche se si tratta più probabilmente di un tema per il 2025.
Dicembre ha chiuso un anno estremamente volatile per i finanziari, che ha visto forti rialzi per molti istituti europei e giapponesi, fallimenti di grandi banche statunitensi, l’acquisizione di Credit Suisse e un drastico aumento (e poi calo) dei tassi di interesse negli Stati Uniti e in Europa. Tirando le somme sull’anno, l’indice MSCI AC Financials è salito del 16.4% in USD e del 12.7% in EUR. Persino le banche regionali statunitensi, che hanno toccato un calo di quasi 35%, sono rimaste pressoché invariate. In questo contesto, il Fondo ha generato forti rendimenti, con un incremento del 23.5% in USD e del 20.9% in EUR. Questo risultato fa seguito agli ottimi risultati ottenuti nei due anni precedenti, con una performance a 3 anni del +74.0% in EUR, rispetto al +46.2% del benchmark.
Il 2024 si prospetta un anno altrettanto volatile (anche se ci auguriamo di non dover rivivere le sorprese di febbraio/marzo già avute nel 2020, 2022 e 2023), con gli eventi geopolitici che saranno al centro della scena con elezioni chiave in tutto il mondo e con le banche centrali che tentano di mantenere la rotta per un atterraggio morbido dell’economia. Sebbene sia difficile prevedere cosa ci riservi l’anno appena iniziato, possiamo affermare con certezza che le banche europee stanno entrando nel 2024 in una forma migliore rispetto a qualsiasi altro momento degli ultimi 10 anni. È stato un decennio lungo e complicato per il settore, in cui le banche hanno generato rendimenti intorno al 5% sotto lo stress dei tassi negativi della BCE e sono state costrette a riversare questi miseri profitti nella ricostruzione dei propri bilanci. Oggi, invece, la redditività è aumentata fino a raggiungere un ROTE (rendimento del patrimonio netto tangibile) a due cifre, il capitale è in forte eccesso e viene distribuito a piene mani agli azionisti, e il tasso di disoccupazione dell’Eurozona è sceso dal 12% del 2014 al 6.5% di oggi. A che livello scambiava allora l’indice? Oltre 160. Oggi? 120. Se il settore trattasse oggi con lo stesso multiplo di 12x di dieci anni fa, l’indice sarebbe oggi a 220; se negoziasse invece al multiplo medio dell’ultimo (cupo) decennio di 9x, sarebbe a 165. In poche parole, al multiplo 6x di oggi il mercato si rifiuta di credere alla sostenibilità dell’attuale flusso di profitti e applica uno sconto massiccio sugli utili prospettici – che, tra l’altro, hanno almeno in parte già scontato gli impatti della normalizzazione del credito e della riduzione dei tassi d’interesse (si noti, ad esempio, che il consenso prevede già un calo del 10-20% del reddito netto da interessi fino al 2025 rispetto ai livelli del 3Q23 per le banche europee più sensibili ai tassi). Se questo sconto inizierà a ridursi, come crediamo, il rialzo del settore sarà consistente. Nel frattempo, i rendimenti da dividendo dell’8% e i buyback del 4-5% dovrebbero fornire un forte sostegno nonostante la volatilità. Naturalmente, come sempre nel settore finanziario europeo, la selezione dei titoli sarà fondamentale. Anche in un anno complessivamente buono per i bancari come il 2023, cinque titoli sono scesi e tra i migliori e i peggiori si è avuto un divario del 110%.
Le assicurazioni vita negli Stati Uniti hanno una storia simile a quella delle banche europee. Il gruppo ha sofferto a causa dei bassi tassi d’interesse nel periodo post-crisi finanziaria e le valutazioni sono scese dall’80% del multiplo di mercato prima della crisi al 40% attuale. Questo nonostante il fatto che i tassi d’interesse statunitensi a lungo termine, una variabile chiave per molti assicuratori vita statunitensi, siano tornati ai livelli del 2006 e i rendimenti monetari superino ora in modo significativo i rendimenti di portafoglio (il che significa che il reddito da spread continuerà ad aumentare anche se i tassi si mantengono ai livelli attuali). Anche le prospettive di crescita per gli assicuratori del ramo vita sono oggi decisamente più rosee rispetto all’epoca del QE, in quanto l’aumento dei tassi rende molti prodotti vita e risparmio più interessanti rispetto ai corrispondenti strumenti bancari: i team di gestione di società come Equitable e MetLife, infatti, hanno osservato che il contesto fondamentale per gli assicuratori del ramo vita è il migliore degli ultimi 15 anni (chiaramente non lo si direbbe guardando le valutazioni). Analogamente alle banche UE che hanno sistemato i loro bilanci durante gli anni di magra, gli assicuratori vita statunitensi hanno trasformato le loro attività e i loro bilanci per liberare capitale e massimizzare il flusso di cassa disponibile (FCF). Il risultato di ciò è che oggi le compagnie assicurative operano con rendimenti da FCF tra il 10% e il 15% e con multipli di PE ben inferiori a quelli delle banche, pur non essendo soggetti a nessuna delle incertezze normative, dei vincoli patrimoniali o delle pressioni sui finanziamenti che le banche devono affrontare ancora oggi negli Stati Uniti. Le assicurazioni stanno sfruttando al meglio questo flusso di cassa disponibile, restituendo enormi ammontari di capitale agli azionisti tramite riacquisti e dividendi, proprio come le banche europee. Con molti di questi titoli che trattano a sole 3-4 volte gli utili e data la liquidità e il capitale in eccesso presente nei bilanci, perché non riacquistare?
Al di fuori di questo settore, negli Stati Uniti restiamo tattici e concentrati su titoli che presentano driver idiosincratici, valutazioni convincenti e/o che sono posizionati per ottenere buoni risultati in una serie di scenari economici e di tassi d’interesse. Ad esempio, abbiamo in portafoglio Federated Hermes (FHI), il più grande gestore pure play di mercati monetari del Paese. Sebbene FHI abbia già beneficiato di forti afflussi di liquidità durante il ciclo di inasprimento della Fed, i dati dimostrano che questi rimangono significativi anche dopo la pausa della Fed. Inoltre, l’azienda dispone di un’importante business obbligazionario che può beneficiare di una rotazione degli investitori verso titoli a più lunga duration. Questi fattori sono sottovalutati dal mercato: a nostro avviso, il titolo è troppo economico e ci aspettiamo che il management diventi più aggressivo con un buyback. Inoltre, pur non rientrando nella nostra tesi, non è da escludere un’acquisizione di questa attività a premio. Per quanto riguarda le banche statunitensi, abbiamo ridotto la nostra esposizione complessiva, dato il loro forte rialzo verso la fine dell’anno e il miglioramento delle valutazioni. Pur essendoci molto ottimismo su una Fed accomodante e un atterraggio morbido dell’economia che potrebbero dare ulteriore slancio ai titoli bancari, restiamo selettivi in quanto i multipli hanno mostrato un forte rimbalzo, i costi di finanziamento rimangono sotto pressione e le stime di consenso sugli accantonamenti sembrano già scontare un contesto macro molto favorevole.
I titoli finanziari hanno mostrato una discreta sovraperformance a novembre, dovuta all’allentamento delle condizioni di mercato e all’assimilazione dei migliori utili in Europa, nonostante un contesto top-down ancora incerto. Sebbene i risultati del Q3 siano stati tutt’altro che uniformi, a livello europeo si è trattato di un ulteriore trimestre caratterizzato da un incremento delle aspettative di consenso sugli utili delle banche (utile per azione SX7P: +1% circa rispetto ai dati precedenti la pubblicazione). Un altro cambiamento sostanziale nel corso del mese è stata la brusca inversione di tendenza delle aspettative sui tassi di mercato, con i futures per il Q4-24 che attualmente puntano a tassi di circa 90pb in meno rispetto a quelli prezzati a fine settembre.
Sebbene il contesto top-down rimanga incerto (come anche la funzione di reazione delle banche centrali), siamo consapevoli che le attuali tendenze dei dati possano implicare la possibilità di tagli dei tassi più rapidi. Di conseguenza, la selezione bottom-up dei titoli diventerà ancor più importante e abbiamo posizionato il portafoglio su tre temi principali in Europa:
Innanzitutto, pur rimanendo relativamente neutrali a livello geografico in Europa, abbiamo registrato profitti sugli emittenti che hanno tratto maggior vantaggio dal contesto dei tassi. Inoltre, abbiamo intrapreso una rotazione verso titoli meno supportati dal mercato che hanno subito un declassamento negli ultimi mesi ma che, a nostro avviso, offrono fattori di ricavo/catalizzatori specifici più diversificati per il futuro (ad esempio, una maggiore attività basata sulle commissioni, che può recuperare slancio nel 2024).
In secondo luogo, manteniamo la nostra strategia e continuiamo a detenere quegli emittenti favoriti dal contesto dei tassi, che vantano solidi business di depositi al dettaglio in mercati concentrati (e possono quindi sostenere dinamiche preferenziali nel pricing delle passività) e/o che hanno adottato misure proattive per coprirsi da una futura riduzione dei tassi (lasciando quindi spazio a revisioni positive rispetto alle aspettative di consenso). Molte di queste banche offrono anche il vantaggio di avere bilanci protetti dal punto di vista della qualità degli attivi (con la recente dichiarazione di insolvenza di Signa che ci ricorda che in un contesto di tassi più alti il numero di default è destinato a crescere).
Infine, continuiamo a prediligere le banche che offrono un forte sostegno in termini di dividendi e buyback. Il settore bancario europeo offre attualmente un “rendimento” annuo complessivo (dividendi più riacquisti) del 12% circa, con molte delle nostre maggiori partecipazioni ben al di sopra di questo valore. Questo rimane un motivo fondamentale per la nostra visione positiva. Con un P/E di circa 6x, crediamo che il mercato stia scontando eccessivamente i potenziali cali degli utili derivanti da tassi più bassi e crescita più debole e, pur riconoscendo che l’eliminazione di questo sconto richiederà probabilmente del tempo, siamo felici di essere remunerati nell’attesa grazie al sostanziale supporto del rendimento.
A ottobre, il Fondo ha reso -4.28%, superando le banche statunitensi ed europee (entrambe in calo di oltre 5%) ma sottoperformando leggermente l’indice finanziario globale più ampio. Da inizio anno, l’alfa continua ad essere fortemente positivo.
I titoli bancari hanno arretrato in ottobre, poiché le preoccupazioni sul mercato obbligazionario hanno prevalso su quella che è stata una stagione degli utili generalmente positiva. In alcuni casi, tuttavia, i fondamentali si sono dimostrati così forti da supportare forti rimbalzi nonostante le turbolenze macroeconomiche. Le banche del sud Europa, in particolare, continuano a registrare risultati sorprendenti che stanno determinando un sostanziale miglioramento degli utili a tre anni dall’inizio del ciclo. I timori legati a questi titoli – picco dei margini, aumento del costo del rischio, pressioni regolamentari, tassazione bancaria – sono ormai ben compresi e ampiamente scontati (e anche più) nei prezzi azionari. I risultati sugli utili del terzo trimestre confermano infatti che le banche giuste nei mercati giusti continuano a imporsi nonostante le preoccupazioni ribassiste.
Banco Sabadell in Spagna ne è un esempio: gli utili netti hanno superato le attese del 21% e il margine di interesse è cresciuto di un altro 6% nel trimestre (superando il consenso di un buon 4%). Questi dati, uniti al controllo dei costi, hanno portato ad un incremento del 10% degli utili pre-accantonamenti. La qualità del credito resta intatta e il capitale in eccesso cresce, fornendo spazio ad un consistente ritorno di capitale nel 2024. Alla luce di questi risultati, gli utili attesi sono stati rivisti al rialzo del 12%. Inoltre, la banca sta registrando ritorni sul capitale tangibile (ROTE) dell’11.6%, con previsioni per la redditività 2024 ancora più elevate. Tutto ciò, a nostro avviso, potrebbe giustificare un ritorno del prezzo vicino al valore contabile tangibile, con il titolo che tratta già a metà di quel livello. Il consenso sta scontando un graduale calo degli utili nei prossimi anni. Se, come ci aspettiamo, la capacità di generazione sarà invece più resiliente, potremmo assistere non solo a continui miglioramenti degli utili, ma anche ad una sostanziale rivalutazione. Inoltre, quasi 1/3 dell’attuale capitalizzazione di mercato potrebbe essere restituita agli azionisti entro il 2025. A nostro avviso, il titolo offre quindi diverse opportunità di rialzo, e il solido bilancio e la ridotta valutazione di partenza dovrebbero proteggere da eventuali ribassi.
In questo caso, il profilo rischio-rendimento appare asimmetrico, e lo stesso vale per molte altre partecipazioni chiave del portafoglio. Identificare emittenti il cui potere di generare utili continui a crescere e la cui redditività futura sia protetta da una potenziale inversione dei tassi è essenziale per generare alfa in questa fase del ciclo, e riteniamo di essere ben posizionati su titoli che riusciranno a sfruttare sempre più i benefici dei tassi più alti con l’avanzare del ciclo di rialzi della BCE. Guardando agli emittenti chiave del nostro portafoglio, gli utili dovrebbero mostrarsi resilienti, con rendimenti del capitale attesi intorno al 30-60% dell’attuale capitalizzazione di mercato entro il 2025 e con P/E pari a solo 4-5x. A nostro avviso, tale anomalia rappresenta un’opportunità molto interessante per gli investitori su un orizzonte di 18-24 mesi.
A settembre, i finanziari hanno registrato una flessione, con l’indice MSCI AC Financials in calo di circa 2%, nonostante il settore abbia nettamente sovraperformato il più ampio indice globale, in ribasso di oltre 4% nel mese. La dispersione all’interno del settore è stata significativa, con le banche dell’Eurozona in rialzo di 25pb, gli istituti regionali statunitensi in calo di oltre 5% e gli assicuratori statunitensi ed europei invariati.
Nel corso del mese, il rialzo dei tassi è stato al centro dell’attenzione, con la parte lunga della curva statunitense in crescita di quasi 50pb e i rendimenti dei Bund poco distanti; i BTP hanno seguito l’esempio, salendo di quasi 70pb nel corso del mese. Il movimento ha riportato l’attenzione degli investitori sulle perdite non realizzate nei bilanci bancari. Questo aspetto è particolarmente importante negli Stati Uniti, dove molte banche regionali risultano scarsamente capitalizzate se si tiene conto delle perdite mark-to-market sui loro titoli in portafoglio. Ricordiamo che la nostra esposizione alle banche statunitensi, sebbene sia stata ridotta a circa 10% del portafoglio, si concentra su banche classificate come le migliori in termini di capitale (rettificato e non rettificato per le perdite mark-to-market), che presentano portafogli di crediti immobiliari commerciali gestibili e per le quali le pressioni sui margini sono in calo. Pur avendo al momento un’esposizione limitata, stiamo iniziando a cogliere interessanti opportunità in piccole banche statunitensi che trattano a prezzi storicamente bassi e che saranno con tutta probabilità coinvolte nell’ondata di fusioni e acquisizioni bancarie che ci aspettiamo per il 2024 e 2025, quando entreranno in vigore le nuove normative. Pur aspettandoci due trimestri instabili, vediamo diversi fiori all’occhiello in vendita e continuiamo a monitorare da vicino punti di ingresso interessanti con profilo rischio-rendimento asimmetrico.
Il punto chiave per le banche europee è dato dal fatto che l’aumento dei tassi dovrebbe avere un impatto relativamente contenuto sul capitale, a differenza degli Stati Uniti, dove le regole sono cambiate in corso d’opera lasciando le banche regionali di medie dimensioni senza copertura per il tipo di movimenti di tasso a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni. In media, le banche europee perdono appena il 4% del capitale CET1 a fronte di uno shock dei tassi di interesse di 200pb, e sono tenute a mantenere questa sensibilità pari o al di sotto del 15%. Lo stesso non vale negli Stati Uniti, come abbiamo potuto osservare nel caso di Silicon Valley Bank e First Republic. Inoltre, il rischio derivante dall’allargamento degli spread sovrani è notevolmente più basso rispetto al passato: in Italia, ad esempio, per ogni 100pb di crescita dello spread sul BTP, il capitale bancario si erode di soli 20pb rispetto ai quasi 100pb di un decennio fa. In breve, le normative imposte in Europa dopo la crisi finanziaria e la crisi dell’Eurozona sono state efficaci e i bilanci bancari europei godono ora di ottima salute. Gli azionisti bancari sono stati e continueranno ad essere i beneficiari, con significativi ritorni di capitale in eccesso (in alcuni casi oltre 1/3 dell’attuale capitalizzazione di mercato nei prossimi due anni), proprio mentre le banche statunitensi sono sottoposte a forti pressioni a causa di una nuova serie di normative che avranno probabilmente un forte effetto frenante sui ritorni di capitale nei prossimi 12 mesi.
Le banche europee sono chiare vincitrici in questo contesto di tassi più alti più a lungo grazie ai maggiori margini sui depositi, ma dovrebbero continuare a mettere da parte questi benefici man mano che i portafogli di coperture vengono reinvestiti a tassi molto più alti, proteggendo la redditività per quando la BCE comincerà a tagliare nuovamente i tassi. Queste banche sono ben posizionate per un simile contesto di tassi, ma lo sono anche per un potenziale rallentamento macroeconomico grazie alla limitata crescita recente dei bilanci, a riserve del periodo Covid ancora consistenti e a gran parte dei portafogli PMI coperti da garanzie governative. Si tratta di caratteristiche di bilancio uniche di questo ciclo, che non assomigliano affatto a quelle dei precedenti cicli negativi. Continuiamo a vedere un ampio valore nel settore, che tratta a 6 volte gli utili, lo stesso livello a cui veniva scambiato nel pieno della crisi dell’Eurozona. In attesa di una rivalutazione nei prossimi anni, le banche possono creare un valore significativo (e privo di rischio) per gli azionisti acquistando i propri titoli ai prezzi vantaggiosi attualmente offerti dal mercato, con sconti significativi rispetto al valore contabile tangibile.
Dopo un luglio molto positivo per i finanziari globali, agosto ha portato una notevole volatilità sui mercati azionari e obbligazionari. I tassi d’interesse hanno oscillato tra deficit di bilancio, declassamenti di rating e timori che l’inflazione non fosse ancora contenuta, il che potrebbe giustificare un ulteriore inasprimento da parte delle banche centrali e il perdurare dei tassi più alti. In effetti, i tassi dei Treasury statunitensi a 10 anni e dei Gilt britannici hanno subito un’impennata di quasi 50pb al culmine di questi timori. Le preoccupazioni si sono un po’ attenuate nell’ultima parte del mese, date le speranze di un atterraggio economico morbido e i toni equilibrati utilizzati dal Presidente della Fed Powell e della BCE Lagarde durante il ritiro delle banche centrali a Jackson Hole. I finanziari globali hanno chiuso il mese in calo di quasi 3%, con le banche europee che hanno sovraperformato su base relativa cedendo 2%. Le banche statunitensi, tuttavia, sono state particolarmente colpite dalla volatilità, con il BKX in calo di quasi 9% su base mensile, azzerando quasi del tutto gli ottimi guadagni di luglio. Oltre alle preoccupazioni per il persistere dei tassi più alti, i timori per i nuovi requisiti patrimoniali e normativi negli Stati Uniti continuano a pesare sul sentiment degli investitori.
I risultati delle banche europee nel secondo trimestre sono stati solidi. Non sorprende che le tendenze dei principali parametri siano rimaste positive, con un margine di interesse netto in crescita del 30% in media su base annua, accantonamenti per perdite su prestiti inferiori o invariati sul trimestre e un ulteriore aumento di 20pb dei livelli di capitale core grazie ai migliori utili. Come discusso il mese scorso, un contesto macroeconomico caratterizzato da una crescita minima del PIL reale (con un certo grado di crescita nominale positiva) e da un livello di tassi d’interesse relativamente alto è un contesto piuttosto favorevole per investire nelle banche europee, in particolare in quelle con un consistente business sui depositi e un solido rendimento del capitale.
È chiaro che il mercato teme una svolta negativa per banche europee, sia che si tratti di un deterioramento della qualità degli attivi, di un aumento dei costi dei depositi o delle tasse a carico degli istituti. Ma cerchiamo di contestualizzare il tutto. Se proviamo a mettere sotto pressione gli utili ipotizzando: 1) accantonamenti ai livelli del 2020 (eccezionalmente severi già di per sé), 2) margini d’interesse netti ai livelli del 4Q22 (vale a dire, un sostanziale colpo di 20pb ai livelli ipotizzati per il 2024), e 3) un’aliquota d’imposta gonfiata di un ulteriore 5%, vediamo ancora il settore trattare a 9 volte gli utili 2024 – questo per un settore che negli ultimi 20 anni ha registrato una media di ~11x! Pur essendo improbabile che anche solo una di queste ipotesi si realizzi, il mercato sembra scontarle tutte con un ulteriore taglio. In poche parole, il profilo rischio/rendimento delle banche europee appare significativamente asimmetrico, con livelli assoluti e relativi al pari dei minimi toccati nel periodo Covid, nonostante il continuo miglioramento degli utili, bilanci solidi come non mai e free cash flow restituito agli azionisti ad un tasso storicamente alto.
In luglio è proseguita la ripresa dei titoli finanziari dopo gli eventi di marzo, con l’indice MSCI Global Financials in crescita del 5,4% a luglio. In particolare, la performance delle banche statunitensi ha beneficiato dalla pubblicazione di risultati del secondo trimestre non peggiori delle aspettative: l’indice rappresentativo (BKX) è salito dell’11,6%, pur rimanendo ben al di sotto dei livelli pre-vicenda Silicon Valley Bank. I buoni risultati lato utili hanno supportato la performance anche delle banche europee, in crescita del 5,5% a luglio. Al contrario, la performance delle assicurazioni è stata meno brillante (meno di +3% e +2% rispettivamente negli Stati Uniti e in Europa).
Dato che la gran parte delle banche europee ha già presentato i dati, possiamo affermare che il settore continua a registrare ottimi risultati. I ricavi netti pre-accantonamenti hanno superato le aspettative di consenso del 7%, mentre gli accantonamenti sono stati superiori del 17% rispetto alle previsioni. In effetti, per le previsioni negative sull’economia europea che hanno caratterizzato il 2022 e gli scorsi mesi, i livelli di accantonamento previsti per il 2023 sono già stati ridotti di un buon 23% da inizio anno. Insieme ai miglioramenti dei ricavi, le revisioni positive degli utili bancari europei sono continuate anche nel secondo trimestre, per ben 140 settimane consecutive, in netto contrasto con le banche statunitensi e con molti altri settori.
L’opinione secondo cui “non si può essere lunghi sulle banche in una recessione”, tanto diffusa a fine 2022, si è rivelata scorretta. Altrettanto scorretta si è rivelata l’aspettativa che quanto accaduto con i margini bancari statunitensi durante il ciclo di inasprimento tassi della Fed fosse destinato a ripetersi anche in Europa. Ovviamente non ci auguriamo una recessione in Europa, ma si sta delineando un contesto favorevole all’investimento in banche europee, con bassa crescita del PIL reale e la BCE che sembra avere raggiunto il picco dei tassi d’interesse. Il flusso di cassa e il capitale in eccesso possono beneficiare gli azionisti invece che finanziare la crescita del bilancio, il costo del credito rimane gestibile e il reddito netto rimane elevato, poiché i maggiori costi dei depositi sono mitigati dal roll-in delle coperture strutturali. A queste premesse normalmente segue elevata redditività (pur in prossimità del “picco” dei margini di interesse in molti mercati) e rendimenti estremamente interessanti per gli azionisti, che tuttavia non sono correttamente riflessi nelle valutazioni delle banche europee in portafoglio, che oggi trattano a meno di 6 volte gli utili; di fatto, il mercato sta affermando che il livello sostenibile di redditività sarebbe la metà di quello attuale. Dal canto nostro, rimaniamo positivi sul settore e speriamo che rendimenti da dividendo del 7-8% e potenziale al rialzo del 50-100% dalle valutazioni storiche convincano anche gli investitori più scettici.
Infine, nel mese di luglio segnaliamo l’annunciata acquisizione di Sculptor Capital da parte di Rithm Capital con un premio di circa 40% rispetto alla valutazione di maggio (che non rifletteva alcun potenziale premio di acquisizione). Pur ritenendo che la società avrebbe potuto ottenere un multiplo più elevato, siamo lieti che questa acquisizione abbia interessato un’altra posizione nel nostro portafoglio. In un settore che ultimamente ha registrato molte meno fusioni e acquisizioni di altri, negli ultimi due anni abbiamo assistito all’acquisizione di diverse società meno conosciute a premi significativi (ad esempio Creval, MoneyGram, Cowen e ora Sculptor). Continueremo a cercare idee idiosincratiche con sostanziale valore intrinseco, che possa essere ulteriormente accresciuto in uno scenario di acquisizione.
A giugno, i finanziari globali sono rimbalzati, chiudendo il mese in rialzo del 3.4% (in euro). Le banche giapponesi ed europee hanno fatto da apripista, con un aumento rispettivamente del 9% e 7% a giugno, mentre le banche statunitensi hanno recuperato parte delle perdite post-SVB con un guadagno di quasi 6%. Tuttavia, la dispersione delle performance tra le regioni è stata sorprendente: le banche giapponesi hanno registrato un +16% da inizio anno, mentre quelle statunitensi sono scese del 19% nello stesso periodo. Quest’anno, tuttavia, la generazione di alfa non ha riguardato solo l’allocazione regionale. La selezione dei titoli è stata altrettanto importante: in Europa, i primi cinque titoli bancari hanno sovrapreformato gli ultimi cinque del 56%, in Giappone del 51% e negli Stati Uniti del 50%. La volatilità del settore e la dispersione al suo interno continuano a creare notevoli opportunità di guadagno.
Una di queste opportunità è rappresentata dalle assicurazioni, in particolare dalle assicurazioni vita e dai riassicuratori statunitensi e britannici. Questi settori non sono stati oggetto di attenzione da parte del Fondo per diversi anni e, di fatto, la nostra esposizione a questi segmenti era solo del 3% a fine 2022. Da allora, l’esposizione è quintuplicata arrivando a ~15%. Il tumulto delle banche statunitensi ha portato ad una forte – e a nostro avviso ingiustificata – sottoperformance del settore assicurativo vita negli ultimi mesi, in quanto molte di queste società non sono soggette alle pressioni sui finanziamenti, all’aumento dei costi regolamentari e ai vincoli patrimoniali di cui stanno soffrendo le banche americane in questo momento. Anzi, a differenza delle banche, l’aumento dei tassi d’interesse rimane un fattore decisamente positivo per compagnie come MetLife e Unum. Inoltre, tutti gli assicuratori ramo vita presenti nel nostro portafoglio continuano ad impiegare in modo consistente il capitale in riacquisti, con rendimenti di payout a doppia cifra che in alcuni casi superano persino quelli delle banche europee con valutazioni altrettanto basse.
Nel settore della riassicurazione, gli operatori storici stanno beneficiando dei venti di coda di un mercato dei prezzi difficile (forte), posizionandosi bene sia dal punto di vista della crescita dei ricavi che del valore contabile. Il potere di determinazione dei prezzi dei riassicuratori sembra essere più forte che mai, grazie ad un deficit di capitale superiore a $100 miliardi nel settore. Questo vale in particolare per le riassicurazioni dei rischi catastrofali ramo property, e il maggior potere di determinazione dei prezzi si tradurrà in premi più alti e termini e condizioni meno interessanti per gli assicurati. I miglioramenti dei fondamentali del settore sono a nostro avviso sottovalutati, con emittenti che trattano a multipli di P/E tra i più bassi dell’ultimo decennio (intorno al 5) sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito.
Dopo una prima metà dell’anno estremamente volatile, le banche europee rimangono a nostro avviso il settore con il profilo rischio-rendimento più interessante, e la tesi rialzista sul rendimento del capitale, sul miglioramento degli utili e su valutazioni / posizionamento resta pressoché intatta. Tuttavia, come discusso il mese scorso, crediamo che la selezione titoli sarà sempre più importante man mano che ci avviciniamo alla fine del ciclo di rialzi delle banche centrali. Nel frattempo, continuiamo a veder emergere opportunità idiosincratiche interessanti in altri segmenti e disponiamo di un’ampia liquidità da poter impiegare a tale scopo.
Dopo gli eventi di marzo, i finanziari globali hanno continuato a cercare un punto d’appoggio, registrando un calo di quasi 4% nel mese di maggio. Il settore delle banche regionali statunitensi è rimasto al centro dell’attenzione, con le azioni in ribasso di oltre 15% nei primi quattro giorni del mese, per poi recuperare il 20% nelle quattro settimane successive, quando le preoccupazioni sulla liquidità si sono dissipate e i forti sconti sulle valutazioni hanno iniziato ad attrarre acquirenti fondamentali. Tuttavia, mentre le azioni delle banche regionali e a grande capitalizzazione statunitensi si trovano ancora in significativo ribasso da inizio anno (-23% e -33% rispettivamente a fine maggio), i titoli delle banche europee sono in rialzo di quasi 8%.
Questa sovraperformance, registrata in un periodo in cui tre grandi banche statunitensi sono fallite e una grande banca svizzera è stata assorbita, è indicativa di quanto siano progredite le banche europee dopo un lungo decennio di tassi di interesse negativi e di ricapitalizzazione dei bilanci. Tuttavia, nonostante l’impressionante resilienza, le banche europee hanno scontato passando da circa 7.5x a 6.5x dall’inizio dell’anno. Ciò lascia i titoli scambiati a multipli di valutazione osservati solo in periodi di crisi (e di massicci tagli agli utili) come nel caso della crisi del debito dell’Eurozona, della Brexit e del Covid. Questa volta, tuttavia, gli utili sono aumentati e il loro ciclo di crescita è proseguito con una performance molto forte nel primo trimestre appena concluso. Il 92% delle banche europee ha superato i dati di consenso, con un superamento medio del +17%, e i risultati sono stati ampiamente distribuiti tra margine di interesse, commissioni, costi, capitale e accantonamenti. La redditività del settore è tornata al 12% del ROTCE, quasi 50% in più rispetto al 2018, quando l’indice delle banche europee superava del 40% i livelli attuali.
Questi multipli estremamente bassi suggeriscono che il mercato stia avvertendo il picco degli utili. Sebbene questo possa essere il caso per alcune banche, le nostre partecipazioni più importanti sono costituite da titoli che dovrebbero continuare a beneficiare del ciclo di inasprimento monetario con un ritardo (ad esempio, a causa della struttura del mercato e/o delle coperture strutturali presenti nei bilanci delle banche). Di certo, i tre fattori positivi di cui abbiamo discusso per mesi con riferimento alle banche europee – miglioramento degli utili, rendimento del capitale e valutazioni storicamente basse – continuano a rappresentare un ampio e significativo sostegno per il settore. Tuttavia, con l’approssimarsi della fine del ciclo di rialzi della BCE, ci aspettiamo che la dispersione delle performance possa aumentare e che la selezione titoli possa quindi assumere un’importanza sempre maggiore.
Negli Stati Uniti, le Autorità di regolamentazione hanno segnalato la necessità di imporre coefficienti patrimoniali più elevati per diversi trimestri, in attesa della finalizzazione delle ultime disposizioni di Basilea III. Inoltre, sulla scia dei recenti fallimenti, è stata valutata la possibilità di imporre norme più stringenti alle banche con attività comprese nella fascia $100-250 miliardi. L’orizzonte temporale per l’entrata in vigore dei cambiamenti sarà probabilmente più lungo di quanto previsto, in quanto ogni nuova proposta sarà soggetta a periodi di consultazione e a procedure di stesura che potrebbero richiedere 1-2 anni; successivamente, una volta approvate, le disposizioni saranno probabilmente introdotte gradualmente nell’arco di diversi anni. In termini di modifiche, si prevede che le banche regionali non potranno più dedurre le perdite non realizzate sui titoli disponibili per la vendita da alcuni coefficienti patrimoniali. Inoltre, è probabile che gli istituti più grandi e complessi saranno soggetti a ingenti oneri patrimoniali legati ai rischi operativi.
In questo contesto complesso, vi saranno vincitori e vinti. Il nostro approccio per affrontare tali cambiamenti consiste nel detenere banche ben posizionate, con strutture patrimoniali forti, buona capacità di generazione di capitale organico, una solida base di depositi e un team manageriale di prim’ordine. Nonostante la crisi di marzo, queste banche continuano ad essere presenti negli Stati Uniti e molte trattano ad una frazione delle loro valutazioni storiche. Nel complesso, le banche statunitensi restano una quota relativamente modesta del portafoglio, ma in qualità di investitori value, guardiamo a questo spazio con interesse poiché è possibile acquistare attivi di qualità in un contesto in cui le valutazioni risultano eccessive, i fondamentali stanno potenzialmente iniziando a stabilizzarsi e il sentiment è profondamente negativo. Inoltre, è probabile che le fusioni e le acquisizioni si riveleranno un fattore chiave nei prossimi 12-24 mesi, con le banche che sono costrette ad espandersi, creando ampie opportunità per la generazione di alfa – sicuramente si tratta di un’area da tenere d’occhio.
Dopo il breve ma intenso shock di marzo, nel quale due banche statunitensi sono fallite e UBS ha provveduto al salvataggio di Credit Suisse, speravamo in almeno un mese di relativa calma prima della pubblicazione dei risultati del primo trimestre. Il mese di aprile, soprattutto in Europa, ha effettivamente rappresentato l’inizio di questa calma. Alla luce dei nuovi programmi di riacquisto approvati dalle autorità di regolamentazione, dei miglioramenti degli utili pressoché generalizzati che si sono registrati all’inizio della stagione dei risultati e della modesta ripresa dei prezzi dei titoli bancari, gli eventi di marzo sembrano essere oramai alle spalle. Le implicazioni per diverse banche regionali statunitensi erano ben note già sei settimane fa, ma stanno richiedendo un po’ di tempo per concretizzarsi. First Republic è stata sciolta dalla FDIC e venduta a JP Morgan, mentre un paio di banche più piccole rimangono sotto pressione. Nel complesso, però, i depositi si stanno stabilizzando e la dipendenza delle banche dai finanziamenti all’ingrosso è diminuita drasticamente in seguito alla risoluzione di First Republic. Per molte banche statunitensi, la recente crisi ha riguardato più il prezzo delle azioni che i fondamentali. A nostro avviso, ciò ha creato opportunità di investimento in banche di qualità che scambiano a sconti storicamente elevati, pur tenendo conto delle pressioni sugli utili. Ciò detto, continuiamo a mantenere un’esposizione relativamente contenuta al settore bancario statunitense, visto il profilo rischio/rendimento estremamente interessante in Europa.
La solida performance del fondo ad aprile (circa il +2% nel mese) è stata principalmente trainata dalle posizioni in Europa, mentre le altre regioni sono rimaste sostanzialmente invariate nel corso del mese. I maggiori contributi alla performance sono arrivati da alcuni dei principali titoli in portafoglio, tra cui UniCredit, Barclays, BNP e ING. A titolo di esempio, UniCredit ha pubblicato i risultati del primo trimestre in cui ha generato un RoTE del 18% circa per il trimestre, un miglioramento degli utili del 20% e l’impegno a distribuire agli investitori il 17% della propria capitalizzazione di mercato quest’anno (e quasi certamente anche nei prossimi anni). Eppure, il titolo, anche dopo un rally del 40% circa ad inizio anno, viene ancora scambiato con un rapporto Prezzo/Utile di appena 5 volte e un rapporto Prezzo/Valore contabile tangibile di 0,5. Il potenziale di rialzo rimane molto significativo e l’elevato ritorno di capitale dovrebbe fornire una buona protezione al ribasso. E se il sentiment rimanesse negativo e gli investitori non si fidassero ancora? Per la prima volta dalla crisi finanziaria mondiale, UniCredit e diverse banche europee stanno iniziando ad acquistare le proprie azioni in maniera significativa.
Quindi, nonostante le turbolenze create da alcune banche che si erano clamorosamente sbagliate circa i tassi d’interesse, l’aumento di questi ultimi continua a favorire gli istituti europei. Le banche statunitensi appaiono certamente interessanti dal punto di vista della valutazione (circa il 35% del multiplo di mercato, contro il 75-80% storico) a seguito della recente crisi, e a tal proposito abbiamo iniziato a prendere in considerazione alcuni nomi che appaiono ben posizionati nell’attuale contesto in termini di capitale, depositi, credito e capacità di proteggere il loro margine di interesse netto. Tuttavia, nonostante i forti ribassi negli Stati Uniti, la maggior parte del nostro capitale rimane investito in Europa, dove i risultati del primo trimestre del 2023 hanno dimostrato che i tre principali driver della nostra strategia d’investimento (miglioramento degli utili, rendimento del capitale e valutazioni) rimangono validi nonostante gli eventi di marzo.
Marzo 2023 è stato un mese da ricordare per il settore finanziario a livello globale. Il fallimento di due grandi banche negli Stati Uniti ha suscitato preoccupazioni diffuse sulla stabilità dei finanziamenti nel sistema bancario statunitense. Gli investitori hanno “sparato prima e fatto domande dopo”, innescando un calo del 25% del BKX (Nasdaq Bank Index). Nel frattempo, in Europa, i problemi pluriennali di Credit Suisse hanno raggiunto l’apice durante un fine settimana epocale, con UBS che ha acquisito l’istituto in una delle più grandi operazioni di fusione e acquisizione bancaria della storia. I titoli bancari europei hanno chiuso il mese sotto del 13%.
Rientrata la crisi, facciamo un passo indietro e valutiamo cosa sia cambiato e cosa no. È sorprendente che nelle due settimane dopo i fallimenti di SVB e Signature Bank i depositi bancari negli Stati Uniti siano scesi solo del 2%, considerata l’attenzione spasmodica dei media. Resta poco incoraggiante in un settore dove la migrazione dei depositi e il beta più alto più alto mettono pressione sui finanziamenti, ma non fa presagire la contrazione creditizia che in molti si aspettano. Dimostra anche che SVB e Signature fossero due casi isolati, con depositi altamente concentrati e in larga parte non assicurati (la crescita recente di Signature era stata trainata principalente dalle criptovalute), diversamente dalla stragrande maggioranza delle banche americane. Le banche più piccole hanno chiaramente sofferto di più rispetto alle grandi, con deflussi poco sopra il 3% nelle banche all’infuori delle prime 25 nel paese, ma comunque non è un risultato disastroso. Spaventa il settore immobiliare commerciale, dove le banche minori tendono a concentrarsi di più, e quindi è ragionevole aspettarsi che alcuni tra questi istituti possano avere difficoltà in futuro.
Ci sono delle analogie fra questa crisi e quanto accaduto dopo l’invasione della Russia lo scorso febbraio: uno shock esogeno innesca un crollo drastico e generalizzato dei titoli bancari, le correlazioni sono molto elevate, nonostante siano evidenti vincitori e vinti. Le banche di piccole dimensioni con depositi più stabili e posizioni patrimoniali più solide trattano oggi a uno sconto di oltre il 40% rispetto alle loro medie storiche, pur tenendo conto delle ripercussioni sugli utili di pressioni sui margini, sul credito e di natura regolamentare. Ci sono stati danni collaterali piuttosto consistenti anche al di fuori del settore bancario: le assicurazioni nel ramo vita hanno subito svendite pesanti nonostante abbiano finanziamenti stabili, un portafoglio di mutui conservativo e siano soggette a un regime normativo poco severo. Ad oggi i titoli assicurativi di qualità scambiano a 5-6 volte gli utili (con sconti del 30-40% rispetto alle medie storiche) e appaiono sempre più interessanti.
Vediamo ottime opportunità tra le rovine del cataclisma post SVB. Siamo entrati nella turbolenza di mercato con una posizione di liquidità importante, che tuttavia non abbiamo impiegato solo negli Stati Uniti. Al contrario, al momento è più semplice investire in Europa. Credit Suisse è un episodio epocale, ma probabilmente le scosse di assestamento indirette saranno meno sconvolgenti di quelle negli Stati Uniti. Tre grandi banche europee hanno ottenuto l’approvazione per dei piani di riacquisto di azioni importanti subito dopo l’acquisizione di Credit Suisse, il che implica che le autorità siano soddisfatte dello stato patrimoniale e di liquidità del settore. È molto probabile che gli utili statunitensi vengano declassati (si tratta più che altro di capire di quanto), mentre gli utili bancari europei continueranno ad avere un trend positivo; in particolare, i flussi di depositi e i beta restano ben bilanciati. Molti turisti del settore sono fuggiti al primo segnale di pericolo, come l’anno scorso allo scoppio della guerra. Il posizionamento dei future sull’indice SX7E è crollato ai minimi di 5 anni nel mese di marzo. I titoli bancari europei sono ai minimi sia su base assoluta che relativa (6 volte gli utili a termine e circa il 50% del multiplo di mercato), con rendimenti totali a due cifre per molti di essi. In sintesi, le banche europee hanno il vento in poppa per quanto riguarda fondamentali, valutazioni e sentiment. Abbiamo sfruttato i forti ribassi per aumentare le nostre partecipazioni chiave in Europa.
Dopo un ottimo inizio d’anno, a febbraio le azioni finanziarie globali hanno fatto un passo indietro, scendendo del 2.3% in termini USD. La dispersione della performance è stata relativamente ampia, con le banche europee in rialzo del 3.7% in termini USD, mentre le banche statunitensi a grande capitalizzazione sono scese del 2.7% e le assicurazioni europee hanno ceduto quasi il 2%. Tuttavia, i finanziari globali hanno continuato a sovraperformare i mercati più ampi sia nei mesi di forte rialzo che in quelli di forte ribasso, con febbraio che rappresenta il settimo mese consecutivo in cui l’MSCI World Financials supera l’indice MSCI World.
Come possono confermare gli investitori di lunga data nel settore, questa costante e ampia sovraperformance registrata dai finanziari rispetto al mercato non è un fenomeno tipico, ancor più se si guarda alle banche europee, che negli ultimi 15 anni hanno registrato continue e significative sottoperformance sia su base assoluta che relativa. La reazione istintiva sarebbe quindi quella di aspettarsi che qualunque tipo di rialzo a cui abbiamo assistito finora sia destinato a dissolversi. Sebbene nulla scorra in modo lineare, crediamo però che il settore abbia raggiunto un vero e proprio punto di svolta, che potrebbe portare ad anni di forti rendimenti totali.
È importante sottolineare che gran parte del rialzo registrato ad oggi dalle banche europee è stato guidato dagli aumenti degli utili e non dall’espansione dei multipli. Di fatto, le valutazioni del settore restano vicine ai minimi storici e molte delle nostre partecipazioni bancarie trattano ancora a multipli estremamente bassi sia sugli utili che sul patrimonio tangibile. Crediamo che nei prossimi anni assisteremo ad una rivalutazione del settore, quando la resistenza dei bilanci bancari alla crisi Covid, alla guerra, a una crisi energetica e a uno shock del mercato obbligazionario si combinerà con significativi ritorni di capitale, facendo diminuire il costo del capitale azionario dagli attuali alti livelli (COE del 15-19%). Questo è esattamente ciò a cui abbiamo assistito nella prima metà dello scorso decennio con gli assicuratori europei, rivalutati a seguito della Crisi Finanziaria Globale e della Crisi dell’Eurozona da 6x a 11x, quando gli investitori hanno riconosciuto la resilienza dei loro modelli di business (che si trattasse di black box o meno) e sono stati sempre più attratti dai consistenti ritorni di capitale. Per le banche europee ci aspettiamo un percorso simile, e che questa rappresenti la prossima tappa del settore non appena il forte ciclo di aumento degli utili inizierà a ridursi.
Per il momento, tuttavia, il ciclo è ancora in atto e la stagione degli utili del quarto trimestre è risultata indubbiamente solida per le nostre partecipazioni bancarie europee. Segnali di allarme provengono dal settore bancario statunitense, nel quale i costi di finanziamento sono stati spinti al rialzo dal ciclo di aumenti della Fed, mentre il tasso terminale continua a salire. Pur riconoscendo pienamente i rischi di un “picco del margine d’interesse” che hanno colpito alcune banche statunitensi (che, nonostante ciò, hanno guadagnato 9% da inizio anno), crediamo che esistano importanti differenze tra i mercati statunitensi ed europei che dovrebbero contribuire ad isolare almeno in parte questi ultimi dall’aumento dei costi di finanziamento. Ad esempio, diversamente dell’Europa, gli Stati Uniti dispongono di un’industria di fondi di mercato monetario molto matura, che rende facile la sostituzione dei depositi, costringendo le banche a sostenere costi elevati per trattenere depositi che possono defluire in un batter d’occhio. Inoltre, la crescita dei prestiti è stata forte negli Stati Uniti, forzando le banche a competere per ottenere finanziamenti, una situazione molto diversa da quella europea, dove la crescita dei prestiti rimane lenta. In terzo luogo, il livello assoluto dei tassi rimane sostanzialmente più basso in Europa rispetto agli Stati Uniti, il che è importante in quanto il livello critico del costo dei depositi negli Stati Uniti è stato storicamente nella fascia del 3.5-4% (al di sotto di questa soglia, l’inerzia dei clienti era tangibile e i beta dei depositi erano molto bassi). Infine, molte banche europee dispongono di un portafoglio di coperture strutturali in grado di sostenere il reddito da interesse netto negli anni a venire, man mano che i tassi swap a più alto rendimento si riversano sugli utili. Finora, tutto ciò si è tradotto in beta sui depositi estremamente bassi (intorno al 5%) in molte parti d’Europa. Ci aspettiamo che questa situazione persista e che l’aumento dei tassi sostenga l’incremento dei margini d’interesse, ancor più se si considera il fatto che la maggior parte dei team di gestione delle banche europee ipotizza tassi molto più bassi di quelli effettivi (ad esempio, una banca come Soc Gen ipotizza che la BCE riduca i tassi a zero entro il 2025).
In sostanza, pur prendendo atto della forte performance recente e tenendo conto di quanto si sta verificando nelle banche statunitensi, crediamo che la tesi d’investimento a medio termine per le azioni bancarie europee rimanga valida. Guardando all’anno scorso, i titoli bancari scambiano ancora al 40% in meno rispetto al 2015, quando prevaleva una politica di tassi d’interesse negativi e la redditività era la metà di quella attuale. La prospettiva è quindi di una forte rivalutazione e, nell’attesa, le banche ci restituiscono capitale come azionisti per gli anni a venire. Come sempre, la selezione dei titoli resta fondamentale per navigare in questo panorama in continua evoluzione.
Il fondo ha ricevuto un ampio contributo positivo dalle posizioni nel “bank tech” statunitense, segmento dell’industria tecnologica finanziaria composto da aziende che forniscono software e servizi tecnologici al settore bancario. Queste società godono di una forte spinta alla crescita dei ricavi, poiché le banche locali e le cooperative di credito si trovano oggi a dover investire massicciamente in soluzioni digitali per stare al passo con l’evoluzione della domanda e delle preferenze dei clienti e competere con banche del calibro di Bank of America, JPMorgan Chase, ecc. I venti a favore sono particolarmente forti per gli operatori più piccoli e agili, come le nostre partecipazioni in Q2 (QTWO), nCino (NCNO) e Alkami Technology (ALKT), che hanno la possibilità di sottrarre porzioni di mercato sempre più ampie agli operatori storici del settore, più grandi e lenti.
Nel corso del 2021 e 2022, questi titoli hanno registrato una forte flessione a causa dell’inasprimento della Fed, delle preoccupazioni macroeconomiche e della contrazione dei multipli di mercato. Cali del 60-80% hanno creato interessanti punti di ingresso per soluzioni di crescita a lungo termine, che presentano inoltre un significativo potenziale di acquisizione in virtù dei preziosi contratti a lungo termine e dei flussi di ricavi ricorrenti. Per tale ragione, le società di private equity hanno raccolto miliardi da impiegare nel settore dei software per i servizi finanziari nei prossimi anni.
Questi titoli sono stati fortemente correlati alla politica monetaria statunitense, ma con l’emergere di chiarezza intorno alla fine del ciclo di rialzi della Fed e con il crescere della fiducia degli investitori in un atterraggio morbido dell’economia, lo strapiombo ha cominciato a ridursi, consentendo ai titoli di riprendersi con decisione dai livelli depressi a cui erano arrivati.
Nonostante un 2022 difficile, caratterizzato da guerra, inflazione, rallentamento economico e mercati obbligazionari e azionari negativi, il settore finanziario globale (indice MSCI AC Financials) ha ottenuto una performance positiva, chiudendo l’anno con un calo di poco superiore al 9%, a fronte di una contrazione di circa il doppio del più ampio mercato globale (indice MSCI AC). All’interno del settore, le banche statunitensi hanno registrato un pesante calo del 21%, mentre gli istituti europei hanno guadagnato il 2%. Il nostro Fondo è andato oltre, con una crescita dell’8% circa sull’anno. Gran parte della performance è arrivata dalle nostre partecipazioni nel settore bancario europeo, ma contributi positivi sono arrivati anche dagli Stati Uniti e dall’Asia. I rialzi dei tassi d’interesse di fine 2022 hanno trasformato il business dei depositi in un’attività altamente redditizia, con la maggior parte dei benefici ancora da ottenere.
Il timore di recessione è diventato universale nella seconda metà del 2022 e le banche europee hanno anticipato gli accantonamenti durante l’intero anno, nonostante le ingenti riserve inutilizzate della pandemia. Con i prezzi del gas scesi ai livelli prebellici, ci aspettiamo che le revisioni del PIL possano stabilizzarsi e invertirsi in Europa nel primo semestre 2023. Le prospettive economiche sono previste in miglioramento entro la metà dell’anno e, con le valutazioni vicine ai minimi del decennio, le ampie distribuzioni e i rafforzamenti degli utili nonostante l’aumento degli accantonamenti è probabile che il settore bancario continui a registrare ottime performance anche nel 2023 e 2024.
Dicembre ha rappresentato un esempio di quanto appena descritto. I mercati sono stati dominati dai timori di recessione e il Fondo ha subito una lieve flessione. Abbiamo approfittato di tale situazione per acquistare alcuni titoli in forte ribasso negli Stati Uniti. Le banche europee sono riuscite a contrastare la tendenza generale, poiché i venditori esausti e preoccupati sono stati soddisfatti dai continui rafforzamenti degli utili. Ci aspettiamo che il miglioramento degli utili possa proseguire fino alla fine del 2023, ma la debolezza economica potrebbe mantenere i mercati in tensione per diversi mesi. Nel complesso, crediamo che il settore bancario europeo possa tornare ai livelli del 2018 nei prossimi trimestri, offrendo agli investitori un’opportunità interessante. Prima di concludere che stiamo diventando eccessivamente rialzisti, occorre però ricordare che nel 2018 le banche europee non disponevano di capitale in eccesso, non vi era alcuna spinta dei tassi di interesse, la redditività era notevolmente più debole e i miglioramenti degli utili erano rari e poco frequenti. Un bel contrasto rispetto ad oggi!
I mercati azionari hanno continuato a salire a novembre 2022, alimentati principalmente da una lettura dell’indice dei prezzi al consumo (IPC) non particolarmente elevata negli Stati Uniti e dall’aumento dell’ottimismo degli investitori circa la fine (o quantomeno un significativo rallentamento) delle pressioni inflazionistiche e del tightening delle banche centrali. L’indice MSCI ACWI è salito del 7,6%, mentre i rendimenti obbligazionari sono rimasti complessivamente stabili o in calo. La volatilità generale del mercato è diminuita e l’indice VIX si è avvicinato ai minimi da inizio anno.
I finanziari hanno sovraperformato leggermente il mercato più ampio, con l’indice ACWI Financials a chiudere il mese in rialzo dell’8,5%, in quanto le valutazioni delle società finanziarie e dei mercati dei capitali hanno beneficiato della crescente propensione al rischio, potenziale un rallentamento dell’economia e di una riduzione dell’estrema volatilità di settembre e ottobre.
Il nostro Financial Equity Fund ha reso 6,0% da inizio novembre e 10,4% da inizio anno (l’indice ACWI Financials ha chiuso il 2022 a 7,0%). Sulla scia delle tendenze di ottobre, le banche europee hanno registrato una solida performance e il fondo ha ottenuto significativi contributi positivi dalle posizioni in nomi quali Santander, BNP, ING e Standard Chartered, sempre grazie ad una rapida crescita del margine di interesse e al miglioramento degli utili derivante da tassi a breve termine più elevati. Le banche europee rimangono una parte importante del portafoglio, in quanto non solo scambiano a valutazioni attraenti su base relativa e assoluta, ma risultano anche ben posizionate per resistere a un aumento del costo del rischio in caso di recessione economica, restituendo al contempo molto capitale agli azionisti (oltre il 40% della capitalizzazione di mercato) nei prossimi due anni. Anche la compagnia di assicurazioni cinese Ping An, nella quale abbiamo investito quando trattava a <4x EPS (Earnings per Share) e il rendimento da dividendi era quasi il 9%, ha contribuito significativamente alla performance: l’azione è salita del 50% grazie al crescente ottimismo sul fatto che la Cina porrà fine alla politica Zero Covid e l’attività economica potrà riprendere normalmente.
Anche le banche statunitensi sono salite nel corso del mese, seppur a un ritmo più lento rispetto a quelle europee. Abbiamo ulteriormente ridotto la nostra esposizione ai finanziari statunitensi dopo che il forte rally, iniziato quando gli utili del terzo trimestre hanno superato le aspettative (su reddito netto da interessi, livelli di capitale e qualità degli attivi), è proseguito fino a novembre. Di conseguenza, pur essendo ancora interessanti, le valutazioni non risultano più così clamorosamente convenienti come fino a poco tempo fa. Negli Stati Uniti ci concentriamo sulle medie e piccole banche regionali, in particolare su quelle che hanno leve offensive e difensive da azionare in questo contesto. Una di queste è Citizens Financial Group: da quando il nuovo management è subentrato nel 2013, Citizens ha migliorato drasticamente la propria base di depositi, ampliato la gamma di prodotti di credito e instaurato una disciplina su costi ed efficienza che la avvantaggia nei confronti dei concorrenti nel fronteggiare il contesto operativo in evoluzione. La banca ha costantemente superato le aspettative in termini di reddito e di rendimento del capitale proprio, ma è quotata a un prezzo fortemente scontato rispetto alle altre banche regionali statunitensi sia in termini di Price/Earning che di P/TBV (Price to Book Value). Riteniamo che questa situazione dovrebbe migliorare in quanto l’emittente è ben posizionato per difendere i propri NIM e NII (Net Interest Margin e Net Interest Income) e gestire i costi nonostante le pressioni inflazionistiche.
Al di fuori delle banche, il principale contributore del portafoglio statunitense è stato Carlyle Group, società di gestione di asset alternativi che ha registrato un forte rialzo grazie al miglioramento dei mercati azionari e del debito. Riteniamo che Carlyle rimanga significativamente sottovalutata considerando gli interessi netti maturati, la potenzialità di generare commissioni e il valore del brand. Inoltre, la società è ben posizionata per impiegare le riserve di liquidità in molteplici classi di attivi e riteniamo che l’annuncio di un nuovo CEO dovrebbe servire a rimuovere l’incertezza sul titolo.
Dopo le turbolenze legate all’ulteriore crescita dell’indice dei prezzi al consumo (IPC), alla crisi delle pensioni Liability-Driven (LDI) nel Regno Unito e ai continui rialzi dei tassi a settembre, in ottobre i mercati azionari globali hanno mostrato una ripresa, con l’indice MSCI ACWI in rialzo del 6.1%. I finanziari hanno sovraperformato il mercato, con l’indice ACWI Financials in crescita del 7.8% nel mese. Il settore è stato trainato dalle banche, che hanno prodotto solidi risultati in termini di utili sia in Europa che negli Stati Uniti, beneficiando del continuo (sottovalutato) supporto fornito dai tassi d’interesse in crescita. Nonostante i timori per una recessione globale, il settore finanziario ha sovraperformato il mercato più ampio di 650pb da inizio anno, grazie a tassi più alti e alla tenuta delle condizioni del credito.
Ad ottobre, il Financial Equity Fund è cresciuto del 10.3%, supportato dalle posizioni core nelle banche europee e statunitensi. In Europa, i principali contributi alla performance sono arrivati da Deutsche Bank, Santander e UniCredit. I risultati del terzo trimestre sono stati complessivamente positivi per le banche europee: la crescita del reddito netto da interessi ha superato i dati di consenso del 5%, confermando l’impatto positivo dei tassi d’interesse in crescita e ponendo le basi per un rafforzamento degli utili, mentre il capitale e la qualità degli attivi si sono dimostrati solidi. Inoltre, analisti e società stanno scontando una crescita dei costi più sostenuta per il prossimo anno a causa della pressione inflazionistica e dei maggiori accantonamenti precauzionali. Ciononostante, i benefici dei tassi d’interesse hanno compensato il deterioramento del contesto macroeconomico, portando ad un complessivo miglioramento – non esattamente ciò che la maggior parte degli investitori si attendeva, ma piuttosto in linea con le nostre aspettative positive. Nonostante i miglioramenti sugli utili, il comparto viene scambiato a un multiplo sorprendentemente contenuto, sia su base assoluta (5.5x) che relativa (55%). Inoltre, a differenza dei casi passati in cui le valutazioni hanno raggiunto livelli così bassi, anziché tagliare la BCE sta aumentando i tassi di interesse e le banche stanno pagando ingenti rendimenti sul capitale, con partecipazioni chiave come ING, NatWest e UniCredit che entro il 2024 dovrebbero riversare oltre il 40% dell’attuale capitalizzazione di mercato.
Negli Stati Uniti, i principali contributi sono arrivati dalle posizioni nelle banche del money center[ST1] [FD2] , sulle quali avevamo aumentato significativamente l’esposizione in vista della stagione degli utili del terzo trimestre. Eravamo infatti convinti che sarebbero state in grado di dissipare le preoccupazioni relative al capitale, al credito e alla sensibilità ai tassi, e in effetti hanno mostrato progressi su tutti i fronti, portando ad una performance estremamente positiva per le azioni, con ad esempio JP Morgan in rialzo del 22% nelle due settimane successive alla pubblicazione dei risultati. Abbiamo inoltre ottenuto buone performance sulle partecipazioni in banche regionali come Citizens e Webster, che hanno registrato risultati superiori al previsto, beneficiando delle solide prospettive sul reddito netto da interessi e sul costo dei depositi, di posizioni patrimoniali in miglioramento e dell’attenuazione del sentiment pessimistico. Il fatto ancor più incoraggiante è che molte delle nostre maggiori partecipazioni bancarie negli Stati Uniti si stanno garantendo i benefici derivanti dai tassi più elevati, proteggendo gli utili futuri da eventuali tagli dei tassi da parte della Fed, pur mantenendo la sensibilità al rialzo. Ne è un esempio Citizens, la nostra principale esposizione sulle banche regionali. Il margine d’interesse netto ha raggiunto un picco del 3.27% nel quarto trimestre 2018 durante l’ultimo ciclo di rialzo dei tassi, per poi crollare di quasi 60pb quando la Fed ha riportato i tassi a zero. Questo trimestre, grazie ad un’intelligente gestione del bilancio, la banca ha annunciato che il margine di interesse netto dovrebbe crescere oltre il 3.5% il prossimo anno, con una soglia minima del 3.25% anche nel caso in cui la Fed dovesse tagliare i tassi di 200pb – in sostanza, il massimo del ciclo precedente è diventato il minimo di questo ciclo. Si tratta di un dato estremamente positivo, in quanto fissa una soglia sostanzialmente più alta alla capacità di generare utili in qualsiasi contesto di tassi. Nonostante ciò, il valore del titolo sembra implicare un flusso di utili molto più ciclico, con un misero multiplo di 7x.
[ST1]O principali?
[FD2]Va benissimo come hai messo tu, da come hanno scritto sembrerebbe che tutte le posizioni in questa tipologia di banche abbiano contribuito in maniera molto positiva alla performance.
A settembre, la marcia al rialzo dei rendimenti obbligazionari è proseguita sia negli Stati Uniti che in Europa, con le banche centrali che hanno intensificato la retorica restrittiva aumentando i tassi di interesse in modo più aggressivo del previsto per contrastare l’inflazione. Azionario e obbligazionario sono scesi contemporaneamente, con il rendimento del decennale statunitense in rialzo di 70pb e l’S&P 500 in calo del 9%. Il taglio delle tasse proposto nel Regno Unito ha alimentato ulteriormente il sell-off del mercato obbligazionario, con il rendimento del Gilt a 10 anni che è salito di quasi 130pb, con il risultato che la Banca d’Inghilterra ha dovuto acquistare i titoli per contenere il mercato. Nonostante il mercato globalmente negativo, l’Europa ha sovraperformato e le banche del Vecchio Continente sono rimaste invariate nel mese, continuando a beneficiare di tassi di interesse più elevati e del posizionamento estremo degli investitori.
Nonostante le preoccupazioni per le prospettive economiche siano molte, il mercato obbligazionario attualmente sconta tassi di interesse a termine di circa 5% negli Stati Uniti e 3% in Europa, il che sembra ragionevole. Il principale timore per l’economia europea riguardava l’interruzione delle forniture di gas da parte della Russia. Sebbene ciò sia avvenuto, le ripercussioni economiche potrebbero essere inferiori a quanto ipotizzato qualche mese fa. La Germania, ad esempio, ha già sperimentato un crollo del 15% nel consumo di gas da inizio anno, che ha comportato una contrazione solo del 2% nella produzione industriale. Le imprese, come sempre, si stanno adeguando.
Questo nuovo ordine monetario ricorda il contesto antecedente al 2008. L’inflazione ha determinato la fine delle politiche monetarie accomodanti da parte delle banche centrali, con Stati Uniti ed Europa che hanno fissato i tassi in territorio decisamente positivo. La fine delle politiche di tassi zero implica che le banche statunitensi, britanniche ed europee diventeranno sempre più redditizie man mano che i margini di interesse netti si espandono. Nomi come NatWest potrebbero registrare un aumento degli utili fino al 50%. Le ingenti riserve accantonate a fronte della pandemia rimangono inutilizzate nei bilanci e un margine di interesse più alto dovrebbe più che compensare le perdite su crediti derivanti da un rallentamento economico per le partecipazioni nel nostro portafoglio. È quindi plausibile che, pur in presenza di un peggioramento del costo del credito, le banche possano risultare più redditizie nel 2023 rispetto a qualsiasi altro anno del decennio precedente.
È probabile che i mercati si concentreranno sul rischio di recessione e sui problemi energetici fino alla fine dell’anno, ma le banche, sia negli Stati Uniti che in Europa, sembrano ormai aver scontato un imminente rallentamento. Nelle prossime settimane ci aspettiamo di assistere ad una risoluzione del focus di mercato su Credit Suisse (attraverso la vendita di attività o un aumento di capitale), ma anche nei confronti di un altro problema di lunga data del settore, MPS. Mentre queste banche affrontano i loro problemi patrimoniali, i ritorni sul capitale crescono a ritmo sostenuto per il resto del settore, con rendimenti da dividendo del 5%-9% e banche come SocGen e UniCredit che stanno effettuando significativi riacquisti. Con il recente ribasso dei titoli bancari e il continuo aumento delle stime sugli utili (che a nostro avviso rimangono ancora troppo basse), il multiplo del settore si attesta a 5 volte gli utili 2024, un livello inferiore persino al minimo raggiunto nel periodo Covid, quando ci trovavamo di fronte a tassi di disoccupazione del 14%-16%, un arresto quasi totale dell’attività economica e un divieto sui dividendi da parte della BCE. Oggi la disoccupazione si trova ai minimi degli ultimi decenni e le banche centrali si trovano a dover recuperare – ciò rappresenta un contesto molto positivo per gli utili bancari.
Agosto è stato un altro mese storico sul fronte dei rendimenti obbligazionari, con un netto rialzo dei tassi in tutti i mercati sviluppati. L’aspetto importante – e positivo – per le banche è che gran parte della svendita si sta verificando sulla parte a breve della curva, con le aspettative sui tassi ufficiali in deciso aumento. Dalla fine di luglio, la curva forward a 1 anno della Fed ha integrato altri tre rialzi, mentre ne sono stati previsti altri cinque per la BCE e altri sette nel Regno Unito. Questa è musica per le orecchie delle banche statunitensi, europee e britanniche: denaro gratuito sotto forma di aumento degli spread sui depositi, che per anni ha scarseggiato e ora sta ritornando. Ad esempio, nelle previsioni sul margine d’interesse netto, la maggior parte delle banche del Regno Unito stima che i tassi della Banca d’Inghilterra si aggirino intorno al 2.25[FD1] %; al momento, tuttavia, il mercato a termine valuta un prezzo più vicino al 4.5%! E, quando si dispone di £250 miliardi di depositi in eccesso, come nel caso delle banche britanniche, ciò significa una grande quantità di denaro gratuito (quasi £6 miliardi) che non è attualmente inclusa nei dati di consenso. Una banca come NatWest nel Regno Unito ha già aumentato in modo sostanziale le sue previsioni di ROTE per quest’anno, raggiungendo il 14%-16% indipendentemente dal recente rialzo dei tassi. Un ROTE del 15%-19% [FD2] (o più) sta diventando certamente plausibile, sebbene risulti completamente in contrasto con una valutazione al di sotto di 0.9 volte il valore contabile tangibile. Lo straordinario ritorno di capitale (vicino al 50% della capitalizzazione di mercato nei prossimi tre anni) rappresenta semplicemente la ciliegina sulla torta per questo titolo, come per molte partecipazioni simili presenti nel nostro portafoglio.
Ma[ST3] [FD4] cosa dire a proposito della recessione, che tutti hanno già ampiamente previsto e per la quale tutti si sono posizionati? Gli ultimi dati sull’occupazione negli Stati Uniti non sembrano certamente indicare una recessione, così come livelli di disoccupazione ai minimi degli ultimi 50 anni nel Regno Unito e ai minimi storici nell’Eurozona. È chiaro però che vi sono una guerra e una crisi energetica in corso e che non se ne possono semplicemente ignorare gli effetti negativi. Tuttavia, per le banche del nostro portafoglio, ci aspettiamo che la crescita dei ricavi dovuta all’aumento dei tassi (anche prima del recente incremento delle aspettative di rialzo) sarà almeno pari – e nella maggior parte dei casi di molto superiore – all’impatto del probabile aumento del costo del credito. Per una banca come Deutsche Bank ad esempio, nel pieno della crisi del gas e non particolarmente esposta ai tassi, i modelli interni stimano un aumento dei costi del credito di €[FD5] 1 miliardo in caso di completa chiusura dei gasdotti russi. Prima di criticare i modelli interni di Deutsche Bank, va però considerato che il livello di accantonamenti Covid nel 2020 è stato pari a €1.8 miliardi (e solo €0.5 miliardi nel 2021). Pertanto, anche raddoppiando la proiezione interna si arriva ad un livello leggermente superiore a quello del 2020, che appare uno scenario di stress ragionevolmente severo, in particolare se si considera che Deutsche ipotizza zero aiuti fiscali da parte della Germania – ipotesi questa già superata dal programma di stimolo fiscale da €65 miliardi appena annunciato. Dunque, a €2 miliardi di perdite su crediti in uno scenario di stress, fanno fronte circa €7 miliardi di utili pre-accantonamento potenziali, a cui si aggiungono €2-3 miliardi di aumento del margine d’interesse netto nei prossimi anni. Ad ogni modo, il prezzo delle azioni non riflette un grande ottimismo: il titolo viene scambiato a 3.5 volte gli utili 2024 prendendo come base la curva a termine, 4.5 volte se si esclude il beneficio dei tassi e 5 volte eliminando il beneficio dei tassi e raddoppiando il costo del rischio. Il titolo diventa inoltre ancor più conveniente se si tiene conto della partecipazione all’80% nell’asset manager DWS, ma crediamo che il concetto sia già abbastanza chiaro.
Il mercato resta concentrato esclusivamente sui potenziali aspetti negativi di guerra, recessione e crisi energetica. Siamo pienamente consapevoli dei rischi, ma crediamo che bilanci notevolmente rafforzati, rendimenti sul capitale consistenti, continuo supporto del mercato obbligazionario e valutazioni fortemente scontate rendano oggi il settore bancario un’opportunità contrarian di valore estremamente interessante.
Come discusso nel commento di giugno, il livello delle valutazioni azionarie delle banche statunitensi ed europee mostra l’incorporazione di un sostanziale rischio di recessione, e pochissima fiducia nel potenziale rialzo derivante dall’aumento del reddito netto da interessi. I titoli bancari di entrambe le aree sono infatti scambiati al di sotto dei livelli storici, anche ipotizzando livelli recessivi di perdite su crediti. Sebbene il percorso definitivo del contesto macro non sia ancora del tutto chiaro, siamo certi che il mercato abbia sottovalutato il grado di rialzo del reddito netto da interessi che si sarebbe verificato in un primo momento. I risultati del secondo trimestre riportati finora confermano esattamente ciò: il reddito netto da interessi è stato superato su tutta la linea, senza particolari indicazioni di stress nei portafogli di credito delle banche. Inoltre, questo fenomeno è stato osservato in tutte le aree geografiche – negli Stati Uniti, nel Regno Unito ed anche in Europa, dove la BCE ha avviato il suo ciclo di rialzo dei tassi solo dopo la fine del trimestre. In Europa, le banche hanno battuto le stime sul reddito netto da interessi del 5%, con costi in linea e un lieve miglioramento sul credito – non esattamente la situazione che gli investitori ribassisti si aspettavano vendendo il complesso dei bancari europei a 5 volte gli utili a termine (peraltro migliorati per 86 settimane di fila all’ultimo conteggio). Alla luce di ciò, le azioni bancarie rappresentano a nostro avviso una proposta decisamente interessante: le stime sugli utili continuano a crescere, i bilanci appaiono decisamente ben posizionati e le valutazioni restano ai minimi storici.
Nel secondo trimestre, mentre il mercato si focalizzava sul rischio di credito e sull’inevitabilità della recessione, abbiamo colto l’opportunità per aumentare significativamente la nostra esposizione agli Stati Uniti. In particolare, ci siamo concentrati su titoli di istituti con ampie disponibilità di depositi, alti livelli di capitale in eccesso, buon track record di sottoscrizione, riserve solide e valutazioni notevolmente ridotte. Con il proseguire del ciclo di rialzi della Fed, la selezione titoli diventerà a nostro avviso sempre più importante, come è già emerso con i risultati del secondo trimestre 2022, dove le banche con basi di deposito e posizioni patrimoniali più deboli hanno sottoperformato. Nel complesso, siamo soddisfatti della selezione titoli fatta sin qui, con il Fondo che detiene sei delle dieci banche statunitensi più performanti nel mese di luglio e nessuna delle peggiori dieci. A nostro avviso, questa dispersione della performance all’interno del settore bancario non potrà che accelerare nei prossimi trimestri, con vincitori e vinti che diverranno sempre più evidenti.
Al di fuori del bancario, abbiamo incrementato la nostra esposizione a una manciata di operatori del settore fintech e dei mercati dei capitali, svenduti con forza e sui quali vediamo profili rischio-rendimento interessanti per nomi di qualità. Per gran parte dello scorso anno abbiamo evitato questi settori in quanto le valutazioni non erano interessanti, ma a seguito del profondo sell-off abbiamo iniziato ad individuare alcuni titoli di qualità che sono stati trainati in basso dalle svendite. Una di queste opportunità è rappresentata da Carlyle Group, titolo che abbiamo detenuto per anni in passato ma che abbiamo venduto durante il boom dei titoli Alts nel periodo pre-Covid. Con un calo del 50% rispetto ai suoi massimi, la valutazione ha raggiunto un livello tale per cui al potenziale di rendimento futuro risulta essere attribuito un valore negativo, il che è assurdo considerando che un terzo della capitalizzazione di mercato deriva dal rendimento netto maturato e che la società genererà con tutta probabilità circa $1mld di commissioni di performance all’anno per i prossimi anni. Inoltre, Carlyle sta facendo un ottimo lavoro nel generare valore per gli azionisti attraverso la crescita organica e inorganica e l’espansione dei margini, vantando una crescita del 65% degli utili legati alle commissioni solo nell’ultimo anno e una crescita annua di oltre 15% in prospettiva. A nostro avviso, il titolo vale certamente più di 8 volte gli utili: il mercato non offre spesso tali opportunità in business di qualità, ma noi siamo determinati a sfruttarle, e Carlyle rappresenta ora una delle principali partecipazioni del Fondo.
2022’s challenging capital markets environment continued, with the MSCI AC World Index dropping -8.4% and the AC Financials Index falling -10.0%. The Il difficile contesto dei mercati dei capitali del 2022 è proseguito, con l’indice MSCI AC World in calo dell’8.4% e l’indice AC Financials a -10.0%. La svendita è stata innescata in gran parte da un bollente rapporto sull’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti che ha messo in discussione la tesi del picco dell’inflazione, portando a sua volta ad un drastico inasprimento delle aspettative sui tassi ufficiali. Quando gli investitori hanno iniziato a temere che la stretta si trasformasse in rallentamento, le banche hanno iniziato a compensare i timori di recessione, portando gli indici BKX statunitense e SX7E europeo in calo rispettivamente del 13.0% e del 12.7%. Il fondo Algebris Financial Equity è andato leggermente meglio, con un calo del 10.8% nel mese, restando significativamente in vantaggio rispetto al benchmark e ai peer su base annua a giugno. Nei primi sei mesi del 2022, la strategia azionario finanziario è scesa del 6.2% circa, oltre 950pb in più rispetto al -15.9% dell’Indice ACWI Financials.
In seguito alle riunioni della Fed e della BCE del mese scorso, è chiaro che le banche centrali stanno cercando di ricostruire la loro credibilità dopo aver speso la maggior parte del 2021 ad affermare che l’inflazione fosse transitoria. In generale, il timore degli investitori è che i banchieri centrali diano priorità all’inflazione rispetto alla crescita. Naturalmente, si tratta di una preoccupazione normale in qualsiasi ciclo di restringimento monetario. Certo, l’economia sta rallentando, ma si parte da una crescita superiore al trend e da livelli di disoccupazione vicini ai minimi storici. Inoltre, la maggior parte delle famiglie e delle imprese ha aumentato i risparmi rispetto al periodo pre-Covid.
Gli spread del credito si sono già allargati a livelli recessivi. Certo potrebbero anche superarli, ma è chiaro che si stanno presentando opportunità in quanto i prezzi riflettono uno scenario economico futuro decisamente più stressato. Guardando all’azionario bancario globale, notiamo un fenomeno simile. Ipotizzando che le stime di mercato per gli accantonamenti raddoppino tornando ai livelli Covid l’anno prossimo, gli utili delle banche europee scenderebbero in media del 24%, o solo del 10% se venissero utilizzate le riserve Covid in eccesso (non sfruttate). I multipli P/E passerebbero da 6.9x a quasi 10x nel 2023 in base allo scenario più severo, restando comunque convenienti rispetto allo storico. Stesso discorso vale per gli Stati Uniti. Ciò significa per gli investitori che gli utili sottostanti giustificano un rialzo del 50-100% per varie banche europee e del 30-50% per tutte le banche statunitensi. In assenza di recessione, entro 12 mesi dovrebbero verificarsi sostanziali progressi a livello di indice, mentre in caso di recessione, questi potrebbero essere ritardati di altri 6 mesi. In ogni caso, l’opzione migliore per gli investitori non è certamente quella di tenere i soldi sotto il materasso.
L’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse stanno bruciando il denaro degli investitori. Le banche sono il settore più orientato positivamente all’aumento dei tassi. Mentre il mercato è ossessionato dai livelli di accantonamento che probabilmente aumenteranno nei prossimi due anni, la seconda metà del 2022 mostrerà che le stime sul reddito netto da interessi sono troppo basse sia in Europa che negli Stati Uniti, fornendo un ampio cuscinetto per la costituzione di riserve quando l’economia inevitabilmente rallenterà dai livelli superiori al trend. È evidente che i cicli sono più rapidi rispetto agli ultimi anni, ma questo potrebbe significare un minor costo del rischio durante una recessione, in quanto la leva finanziaria di imprese e famiglie non raggiunge livelli di guardia (nei fatti, in molti mercati si è verificato l’opposto). Inoltre, i livelli di capitale delle banche sono significativamente più solidi rispetto all’ingresso nelle precedenti crisi, gli standard di emissione sono molto più rigidi, le concentrazioni sono più basse e il rischio risiede in misura maggiore al di fuori del sistema bancario (ad esempio, cartolarizzazioni guidate da fintech, BDC, fondi di credito privato, mREIT, ecc.). In breve, sembra che il mercato sia stato straordinariamente rapido nel prezzare le cattive notizie (aumento del costo del rischio), ignorando opportunamente quelle buone (rialzo delle stime sul reddito da interessi netti, riacquisti, valutazioni). Nel frattempo, le stime sugli utili bancari continuano ad aumentare. Ciò sta portando a deprezzamenti significativi e ad alcune interessanti opportunità di ingresso.
Facendo un passo indietro, mentre esaminiamo il relitto del settore finanziario dopo il primo semestre, troviamo diversi motivi per essere incoraggiati:
1) Nonostante i fattori macro / geopolitici che hanno guidato gran parte del movimento di mercato, la dispersione all’interno del settore rimane estremamente elevata, fornendo significative opportunità di alfa per gli stock picker come noi. Solo nell’ambito delle banche europee, nei primi sei mesi del 2022 i primi 5 titoli hanno guadagnato in media il 35% (ne avevamo quattro su cinque), mentre i 5 peggiori hanno perso il 43% (nessuno in portafoglio).
2) Analogamente a quanto si è visto all’indomani dell’invasione russa, i timori per la crescita delle ultime 5-6 settimane hanno portato a svalutazioni indiscriminate, fornendo ottimi punti di ingresso in termini di rischio-rendimento in diverse nuove posizioni che stiamo attualmente costruendo.
3) Il portafoglio include ora un numero significativo di titoli che trattano a valutazioni che consideriamo distressed, scambiate a 3-4 volte gli utili, con rendimenti del free cash flow superiori al 20% e/o con oltre metà della capitalizzazione di mercato che dovrebbe essere restituita agli azionisti tramite riacquisti e dividendi nei prossimi tre anni. Sappiamo bene che i cuscinetti di valutazione sono inutili se accompagnati da utili costantemente declassati. Tuttavia, come detto, vediamo una buona tenuta degli utili in tutti i nostri titoli (e in molti casi un potenziale di rialzo, come nel caso in cui, ad esempio, il mercato obbligazionario sia in linea con il percorso di rialzi della BCE e della Fed), anche in un contesto macro più difficile.
Le azioni a buon mercato possono offrire grandi soddisfazioni, a patto che gli utili vadano nella giusta direzione e che il management sia favorevole agli azionisti. Questo è stato il caso di alcuni dei nostri grandi vincitori del primo semestre 2022, come Sabadell, Standard Chartered e Moneygram: l’asticella per un rialzo significativo è bassa quando c’è un cambiamento nella narrativa (nel caso di Sabadell e Standard Chartered si è trattato dei tassi, per Moneygram è stato il management alla ricerca di offerte di acquisto). L’attuale attesa del mercato è quella di una catastrofe universale e di un’inevitabile recessione globale (secondo un recente sondaggio di DB, l’88% degli investitori si aspetta una recessione nei prossimi 12 mesi – non sono rimasti in molti da dover convincere!). Anche se questa situazione dovesse verificarsi, crediamo che i titoli del nostro portafoglio abbiano già fatto molta strada nel prezzare i potenziali impatti. Se invece la situazione dovesse cambiare ancora una volta, o se la recessione dovesse rivelarsi breve e leggera, ci aspettiamo una significativa possibilità di rialzo per tutto il nostro portafoglio. In altre parole, sebbene il percorso esatto sia incerto, la ricompensa per il rischio appare convincente.
Maggio è stato un mese positivo per i titoli finanziari, in particolare per i bancari, nonostante l’instabilità dei mercati legata al persistere dell’incertezza sul ritmo dei rialzi dei tassi delle banche centrali, alle speculazioni su una recessione economica negli Stati Uniti e in Europa e alla pressione sulle valutazioni azionarie. Gli indici dei mercati globali più ampi hanno proseguito il ribasso, con l’MSCI ACWI in calo fino al 6%, prima di recuperare nell’ultima settimana di maggio e chiudere il mese in pari. L’indice ACWI Financials è salito del 2.2% a maggio, mentre gli indici bancari europei e statunitensi hanno guadagnato rispettivamente 11.6% e 6.1% in termini USD.
In maggio, la sovra-esposizione del Fondo alle banche europee è stata il fattore chiave della sovraperformance di oltre 600pb rispetto all’indice ACWI Financials. I maggiori contributi positivi sono arrivati dalle banche europee e statunitensi a grande capitalizzazione. Sul lato europeo, la performance è stata guidata dalle partecipazioni più ampie in portafoglio, tra cui BNP Paribas, BPER Banca, Barclays e Commerzbank. Negli Stati Uniti, il principale contributo è arrivato da Citigroup, dopo l’annuncio dell’acquisizione da parte di Berkshire Hathaway di una partecipazione del 3% nella società nel primo trimestre.
La forza delle banche europee a maggio è stata notevole, ma a nostro avviso chiaramente sostenuta da un significativo aumento delle stime sugli utili. Ciò è stato in gran parte determinato dall’aumento delle stime sul reddito netto da interessi, in quanto gli investitori azionari iniziano a incorporare, a malincuore, i significativi benefici derivanti dall’aumento dei tassi d’interesse. Le stime di consenso per il 2023 del settore bancario europeo sono aumentate dell’8%, nonostante l’impatto negativo della guerra su crescita e accantonamenti. Questo dato, in netto contrasto con quanto osservato in altre parti del mercato, a nostro avviso è destinato ad aumentare ulteriormente, poiché le stime sul reddito netto da interessi appaiono ancora troppo basse per gran parte del settore. Per molte delle banche europee a media capitalizzazione presenti in portafoglio, molto sensibili alle politiche della BCE, le stime di consenso sulla crescita del reddito netto da interessi per il 2023 si trovano nella fascia 1-3%: questi numeri sono destinati a crescere in modo significativo, anche se le aspettative del mercato obbligazionario di un rialzo di 200pb nei prossimi dodici mesi non si dovessero realizzare. Per contestualizzare, le nostre stime ipotizzano che la BCE si fermi all’1% (cioè solo 150pb di rialzi cumulativi dal livello attuale), e siamo sostanzialmente avanti rispetto al consenso.
Le azioni delle banche europee, nonostante il rally, restano in territorio negativo per l’anno in corso e dovrebbero salire del 55% solo per tornare ai livelli di inizio 2018, ossia l’ultima volta che il mercato stava scontando un potenziale ciclo di rialzi della BCE. Diversamente da allora, il capitale in eccesso viene ora restituito agli azionisti (con importi molto consistenti) e le stime mostrano un aumento sostenuto, con stime previsionali in crescita da ben 78 settimane consecutive. Inoltre, a differenza di allora (quando i titoli bancari europei venivano scambiati a circa 10 volte gli utili), il settore tratta ora a 6.5 volte gli utili, un multiplo che storicamente è stato infranto solo durante la Crisi Finanziaria, la crisi dell’Eurozona e la fase più profonda della pandemia. Utili più elevati, uniti a valutazioni interessanti e a un sostanziale ritorno di capitale rappresentano un mix convincente e continuiamo a vedere le banche europee come le entità con il miglior profilo rischio/rendimento del settore finanziario globale.
La debolezza dei mercati azionari è continuata in aprile, con gli investitori che hanno preso coscienza delle sfide imposte dal contesto di tassi in aumento, dal persistere delle pressioni inflazionistiche, dal potenziale rallentamento economico e dalle tensioni geopolitiche legate al conflitto Russia-Ucraina. Nel corso del mese, l’indice MSCI ACWI è sceso dell’8.0%, mentre il rendimento del decennale americano è salito di 57pb a 2.89%. I titoli finanziari e bancari hanno sofferto insieme al mercato, con l’ACWI Financials in calo dell’8.3% e le banche statunitensi dell’11.1%.
Ad aprile, il fondo Algebris Financial Equity è sceso del 4.2%, attestandosi a circa 400pb in più rispetto all’ACWI Financials. Gran parte della sovraperformance si deve al maggior peso delle banche europee nel portafoglio del fondo. I principali contributi alla performance sono arrivati da Banco BPM, che a inizio mese ha annunciato l’acquisizione di una partecipazione del 9.2% da parte di Crédit Agricole, Standard Chartered, che a fine aprile ha superato le attese sugli utili e annunciato un aumento della forward guidance, e M&T Bank, che nella conferenza sugli utili trimestrali ha indicato una forte attesa per i redditi da interessi netti 2022. Nel mese, la strategia è stata penalizzata soprattutto dall’esposizione alle banche commerciali statunitensi: il P/E atteso per il settore è infatti passato da 12x a 10x, per via delle preoccupazioni per il potenziale rallentamento economico innescato dall’inasprimento della Fed. In questo spazio, i principali detrattori alla performance sono state le partecipazioni core del fondo in Wells Fargo, Citizens e Citigroup.
Gli utili bancari del primo trimestre 2022 hanno mostrato un forte orientamento positivo all’aumento dei tassi d’interesse, come dimostrato dai rafforzamenti verificatisi negli Stati Uniti, nel Regno Unito e anche in Europa. Nel Regno Unito, NatWest, Lloyds e Barclays hanno registrato un RoTE oltre l’11%, dopo un decennio di rendimenti mediocri. In Europa, BNP ha realizzato un RoTE del 13.5% (così come Santander), con un dividend yield superiore al 7%, e riacquisti, crescita e utili in rafforzamento. Nonostante ciò, il titolo viene scambiato a 0.7 volte il valore contabile tangibile e 7 volte gli utili. Per quanto riguarda le banche europee, sebbene il mercato dei tassi stia scontando otto rialzi nei prossimi due anni da parte della BCE, le stime di consenso incorporano un beneficio derivante dagli aumenti molto limitato. Dopo quasi un decennio di tassi negativi e false speranze, la cautela degli analisti sul futuro percorso dei tassi in Europa è comprensibile, ma incorporare rialzi pressoché nulli ci sembra eccessivamente prudente. Questa posizione degli analisti suggerisce tuttavia un forte potenziale di miglioramento degli utili, anche a fronte di un ciclo di rialzi più breve e contenuto di quanto attualmente prezzato dal mercato obbligazionario. Un consenso così scettico rappresenta un’ottima opportunità da sfruttare: ad esempio, quando Standard Chartered ha comunicato i risultati del trimestre, ha suggerito che i margini di interesse netto 2023 potrebbero essere vicini ai livelli 2019, ben al di sopra di quanto previsto dal mercato, e il titolo è balzato del 14% in un giorno.
Tuttavia, non si tratta solo di tassi. Nel primo trimestre, nonostante il difficile contesto caratterizzato da alta volatilità dei tassi e dall’avvio della guerra, le banche europee hanno battuto senza difficoltà le aspettative sui ricavi e sui costi del credito, con un tasso di superamento delle previsioni sugli utili ante-imposte dell’80% e un sorpasso medio del 18%. Nessun istituto ha mancato l’obiettivo del reddito netto da interessi, il multiplo più alto del conto economico di una banca. Allo stesso modo negli Stati Uniti, la maggior parte delle banche ha battuto le stime, con un risultato particolarmente forte sul credito. I ricavi sono destinati ad aumentare con l’accelerare della crescita dei finanziamenti (ricordiamo che i prestiti sono in dollari nominali e non reali) e con l’incremento dei margini di interesse netti. A titolo di esempio, una delle nostre partecipazioni chiave negli Stati Uniti, M&T, ha sorpreso il mercato battendo ampiamente le sue previsioni sul reddito netto da interessi per il primo trimestre (e stima ora una crescita superiore al 50% per questa voce, rispetto al 33% atteso dal mercato). Come molte banche statunitensi ed europee, dispone di un’ampia posizione di liquidità che può ora essere sfruttata a rendimenti molto più interessanti. Le stime degli utili per azione (EPS) per il 2023 sono passate da $14 all’inizio dell’anno a $18, e vediamo potenziale per una crescita a oltre $20. Il titolo viene scambiato a circa 8 volte il valore di consenso, un minimo decennale per il titolo al di fuori della crisi Covid. Il rapporto rischio-rendimento, quindi, appare molto interessante.
Sia in Europa che negli Stati Uniti, vediamo margine per significativi miglioramenti degli utili in diverse banche. I titoli hanno subito un forte ribasso, al punto che le banche europee sono tornate ai loro minimi relativi, e sono oggi scambiate al 50% del multiplo di mercato, rispetto al 60-80% dei due decenni precedenti. I rendimenti da dividendo di molte banche europee forti (e non esposte alla Russia) variano tra l’8% e il 15%, con il rendimento del capitale che torna in primo piano. Nel frattempo, negli Stati Uniti le banche hanno subito un deprezzamento di circa 30% dal picco di febbraio: le valutazioni dei P/E assoluti e relativi sono ora inferiori ai livelli mediani di lungo periodo, rispettivamente a 25% e 35%. Negli ultimi due mesi abbiamo gradualmente aumentato l’esposizione del fondo alle banche regionali statunitensi, passando da una posizione piuttosto insignificante ad una attualmente chiave.
Ma perché le banche stanno sottoperformando, nonostante i forti driver fondamentali? Queste sembrano trovarsi al centro del mirino macroeconomico: infatti, i benefici immediati derivanti dalla crescita nominale e da tassi più elevati sui ricavi sono stati ignorati per i timori di una potenziale recessione, capace di trainare al ribasso le valutazioni. Le stime del PIL in Europa sono state penalizzate dall’aumento dell’inflazione e dai timori per gli effetti secondari della guerra. Tuttavia, i livelli di disoccupazione sono ora i più bassi dalla creazione dell’Eurozona e restano in calo; inoltre, nel corso della pandemia sono stati accumulati €1 trilione di risparmi in eccesso, che dovrebbero attutire lo shock inflazionistico. Negli Stati Uniti, questo cumulo di risparmi supera i $2 trilioni. Le stime di crescita sono state ridotte, ma si attestano ancora al 2.8%, vicino all’estremità superiore dell’intervallo del ciclo precedente: questo livello, pur rappresentando un rallentamento rispetto alle stime precedenti, è ancora ben distante dalla recessione. Inoltre, gli Stati Uniti sono più lontani dall’epicentro della guerra e sono indipendenti dal punto di vista energetico. Vediamo inoltre una forte resistenza all’aumento dei tassi: l’86% dei mutui statunitensi è fisso (a tassi molto bassi per 30 anni) e il 98% delle obbligazioni societarie non finanziarie è fisso, con oltre l’86% con scadenza oltre il 2024. I numeri sono simili in Europa, rispettivamente a 91% e 73%. In poche parole, sia le famiglie che le società sembrano ben posizionate per far fronte all’aumento dei tassi, e ciò significa che le banche dovrebbero beneficiare sia di maggiori ricavi, sia di un contesto creditizio più favorevole rispetto ai cicli di rialzo precedenti.
A marzo, gli indici MSCI ACWI e ACWI Financials sono saliti rispettivamente del 2.2% e 1%, mentre le banche europee sono scese del 2.8%. I timori per l’inflazione e la prospettiva di rapidi rialzi dei tassi da parte della Fed continuano a persistere sui mercati, rendendo le banche statunitensi ed europee valide coperture contro i rischi macroeconomici associati.
A marzo, i principali contributi alla performance del Fondo sono arrivati dalle banche europee, in particolare Sabadell, Santander e UBS. Fuori dall’Europa, un contributo positivo è arrivato da Invesco, asset manager statunitense che continua a generare flussi netti organici stabili e consistenti, pur rimanendo a buon mercato. Per quanto riguarda i detrattori, grandi banche francesi e italiane come UniCredit e Crédit Agricole sono state le più penalizzate a causa dell’esposizione a Russia / Ucraina. Il Fondo ha anche risentito dell’esposizione a società attive nell’investment banking, come Barclays nel Regno Unito e Citigroup negli Stati Uniti, che hanno sofferto della riduzione dell’attività sui mercati dei capitali nel primo trimestre. I principali detrattori continuano ad essere tra gli investimenti più interessanti del portafoglio dal punto di vista delle valutazioni, con un multiplo medio sugli utili stimati per il 2023 pari a 6 volte.
Guardando al passato, il buon inizio d’anno delle azioni bancarie è ormai un lontano ricordo. Di certo, molto è cambiato nelle ultime 5-6 settimane: i tassi sono saliti, le curve si sono appiattite (almeno negli Stati Uniti, non tanto in Europa), i prezzi delle materie prime si sono mostrati estremamente volatili e sono riemersi i timori per la stagflazione. Di conseguenza, le azioni bancarie si sono riportate rapidamente intorno ai minimi post-crisi su molte metriche di valutazione.
Quindi, la tesi di investimento è cambiata? Per le banche direttamente colpite dalla guerra, si sono chiaramente verificati cambiamenti. Benché l’esposizione a questi nomi fosse contenuta, le posizioni sono state ridimensionate in modo significativo e opportunistico. Per molte banche, al contrario, la tesi di investimento è indiscutibilmente migliorata: posizioni di capitale in eccesso intatte, sensibilità ai tassi sempre più preziosa, riserve solide (incluse le coperture Covid non utilizzate) e ben posizionate per assorbire le esigenze di accantonamento aggiuntivo, e valutazioni molto più interessanti dopo il forte declassamento di fine febbraio. Questo è particolarmente vero per le banche europee al dettaglio con solide basi di depositi in Paesi come Spagna, Irlanda e Regno Unito, ma a nostro avviso è sempre più valido anche per alcune banche regionali statunitensi e coreane. Per tutti questi istituti, la capacità reddituale e i rendimenti da dividendo stanno aumentando, il sentiment si sta inasprendo e i multipli si stanno riducendo. Si tratta di una combinazione rara, che rende il rapporto rischio-rendimento sempre più asimmetrico a nostro favore, e stiamo perciò aggiustando i portafogli di conseguenza.
Il sogno di tassi più alti è arrivato più velocemente e più forte di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare anche solo 4-5 mesi fa, eppure i titoli bancari sono rimasti nettamente indietro dall’inizio della guerra. A nostro avviso, ciò è stato guidato da una visione sempre più pessimistica dell’economia globale, come segnalato dalla curva dei rendimenti. Pur non ignorando in alcun modo i potenziali segnali inviati da una curva in appiattimento, crediamo valga la pena considerare i seguenti punti:
In sintesi, a nostro avviso il mercato appare eccessivamente preoccupato per i potenziali rischi che potrebbero derivare da un rallentamento della crescita (che le banche sono ben posizionate per gestire) e per nulla concentrato sui benefici concreti che le banche possono ottenere dall’attuale rialzo dei tassi. A nostro avviso, questi benefici inizieranno a maturare per gli azionisti già in questo trimestre in mercati come quello statunitense, britannico e coreano, poco dopo in Europa.
Riteniamo che l’opportunità nelle azioni bancarie rimanga interessante, ma come sempre in questo settore, la selezione dei titoli è fondamentale. Analizziamo di seguito alcuni dei nomi sui quali abbiamo incrementato le posizioni.
Con così tante opportunità interessanti, risulta difficile scegliere quali partecipazioni discutere, ma cominciamo dagli Stati Uniti: Popular e Webster sono due banche regionali che vantano masse di depositi consistenti, che permetteranno loro di beneficiare in modo sostanziale del ciclo di rialzi della Fed, così come di solide basi di capitale in eccesso che saranno utilizzate per riacquistare azioni a valutazioni di sole 7-8 volte gli utili. Passiamo ora a Santander: negli ultimi 25 anni, il Gruppo ha avuto la più bassa volatilità degli utili delle 20 principali banche americane ed europee, grazie alla sua diversificazione globale negli Stati Uniti e America Latina, così come nel Regno Unito e in Europa. Con un rendimento del patrimonio netto tangibile (RoTE) del 13%, rappresenta uno dei migliori franchising del settore bancario ma, nonostante ciò, scambia a solo 0.7 volte il valore contabile tangibile (TBV). Con i problemi di capitale saldamente alle spalle e data l’esposizione a mercati in forte crescita e tassi di interesse più elevati, le prospettive per il Gruppo appaiono molto buone. BNP ha un rendimento da dividendo di quasi 8%, il che è impressionante soprattutto perché realizza un RoTE del 10%, ed è in crescita, come dimostra un CAGR del 7% del TBV dal 2008. Infine, Hana Financial in Corea: nonostante un dividend yield iniziale del 7% e un RoTE attuale del 10%, e nonostante la spinta positiva attesa da tassi d’interesse più elevati su margini e profitti, le azioni scambiano ora a un minimo di 0.37x TBV.
Febbraio è stato un mese tumultuoso sia per i mercati che per la geopolitica. Le prime due settimane del mese hanno visto una prosecuzione delle tendenze macro e di mercato già dominanti a gennaio, ossia l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse. All’inizio di febbraio, la Bank of England ha annunciato un ulteriore aumento dei tassi di 25pb, prevedendo che l’inflazione nel Regno Unito avrebbe raggiunto il picco del 7.25% ad aprile. Ciò è stato seguito da un bollente rapporto sull’indice dei prezzi al consumo statunitensi, che ha mostrato un’inflazione del 7.5% a/a, sollecitando ulteriormente i progetti di rialzo della Fed. Nei primi 15 giorni del mese, nonostante il persistere delle preoccupazioni per l’inflazione, l’indice MSCI ACWI Financials e quello delle banche europee sono saliti rispettivamente di quasi 3% e 5.5%, a fronte di un indice globale sostanzialmente piatto. Tuttavia, nella seconda metà del mese, l’invasione russa dell’Ucraina ha portato ad una brusca inversione nel comportamento del mercato, con i titoli che si trovavano in testa nelle prime due settimane del mese ad aver subito il maggior calo: dal 15 al 28 febbraio, l’indice MSCI ACWI ha perso il 2.7%, l’MSCI ACWI Financials il 5.4% e l’indice delle banche europee ha mostrato un calo di oltre 16%.
In questo contesto, i principali contributi alla performance del fondo Algebris Financial Equity sono arrivati da due banche europee: Sabadell, che abbiamo venduto all’inizio del mese dopo il forte rialzo di gennaio, e Commerzbank, che abbiamo ridotto gradualmente nel corso del mese, entrambe molto sensibili dall’aumento dei tassi d’interesse. Contributi positivi sono arrivati anche da MoneyGram International, che abbiamo venduto dopo l’annuncio delle offerte di acquisizione ricevute dalla società di private equity Madison Dearborn e Hana Financial, banca coreana che ha generato buone performance a seguito degli ottimi risultati sugli utili e che continua a rappresentare una partecipazione fondamentale. I principali detrattori sono stati, nella maggior parte dei casi, gli istituti europei: nomi come BNP Paribas, ING e UniCredit, che hanno fornito un grande contributo positivo alla performance nell’ultimo anno, si sono trovati in difficoltà nelle ultime due settimane di febbraio, con i tassi di interesse in calo e il crescere delle preoccupazioni per la Russia.
Abbiamo sfruttato il forte rialzo delle prime due settimane del mese per ridurre la nostra esposizione netta, riducendo al margine i titoli che si sono mostrati più reattivi in risposta agli utili e ai cambiamenti delle aspettative sui tassi. In questo momento, crediamo sia opportuno mantenere un’ampia posizione cash, che abbiamo provveduto ad incrementare anche nelle fasi iniziali dell’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, il calo indiscriminato delle valutazioni azionarie ha creato punti di ingresso interessanti per alcuni titoli trainati al ribasso dal crollo generalizzato. I ~EUR175 miliardi di capitalizzazione bruciata, a nostro avviso, rappresentano circa il quadruplo delle massime perdite che le banche europee potrebbero assorbire in Russia (perdite che, con ogni probabilità, saranno peraltro inferiori data la presenza di garanzie, assicurazioni, collaterale offshore e coperture). Questo implica che le azioni stanno scontando anche una correzione economica piuttosto dura che, tuttavia, andrà a impattare livelli di crescita estremamente alti (anche con una riduzione di 100pb, il tasso di crescita del PIL europeo rimarrebbe vicino al 3%, ben al di sopra della tendenza). E, sebbene la BCE possa rimandare i propri piani di inasprimento, le curve dei tassi europei non accennano a variare, continuando a prezzare ~75pb di rialzi entro la fine del 2023, alla luce della debolezza dell’Euro, della linea dura della Fed e dell’accelerare dell’inflazione.
Date le attuali valutazioni, per riportare il settore a 10 volte il PE occorrerebbe un taglio degli utili in linea con quello visto al culmine del Covid – ciò, tuttavia, sembra essere altamente improbabile, dato il beneficio derivante dai tassi in crescita e le consistenti riserve accumulate nel periodo Covid. Per fortuna, la nostra significativa posizione in liquidità ci permette di essere offensivi. Stiamo aggiungendo lentamente e selettivamente su nomi nuovi e esistenti, concentrandoci su banche con ampio eccesso di capitale, elevata redditività pre-accantonamenti e limitata esposizione all’Europa orientale.
La riunione del FOMC di gennaio ha svelato una Fed sempre più hawkish: attitudine avvalorata, durante la conferenza stampa, dalla mancata esclusione del presidente Powell di toccare i tassi ad ogni riunione successiva di quest’anno. I mercati azionari non hanno ben reagito, in particolare i segmenti growth più speculativi. Continuiamo a credere che i titoli bancari forniscano una buona copertura contro l’aumento dei tassi d’interesse. Il rischio principale che vediamo da una Fed eccessivamente aggressiva è che il tightening comporti un rallentamento della crescita economica e un appiattimento della curva dei rendimenti. Questo contesto potrebbe esercitare pressioni sui mercati del credito e azionari. Tuttavia, notiamo come questo ciclo presenti una forte somiglianza con quello del 1999-2000, quando la Fed attuando la stretta monetaria rese barcollanti le azioni tech e growth, le curve sempre più piatte e rallentò una crescita alta. In quel contesto, le banche sono state molto performanti sia su base assoluta che relativa, quelle statunitensi a +33% e quelle europee a +15% nei 18 mesi successivi al picco del boom tecnologico, un periodo durante il quale il Nasdaq scese del 64%. Riteniamo che le banche siano ben posizionate per continuare a sovraperformare in questo ciclo, con l’attitudine da falco delle banche centrali che rappresenta da un lato un problema per molti settori, dall’altro un vento di coda per la crescita delle banche di maggiore qualità.
Le banche statunitensi hanno recentemente concluso la rendicontazione degli utili del quarto trimestre. I titoli hanno performato in modo eccellente in vista dei guadagni, salendo di oltre il 9% nella prima settimana dell’anno contro un calo del 2% dell’S&P 500 nello stesso periodo, mentre il rendimento a 10 anni è salito di 25 punti base. Abbiamo sfruttato questa forza per prendere profitto su alcune banche regionali statunitensi, i cui multipli sono aumentati sulla scia delle aspettative di margini di interesse netti più alti e di un ciclo di rialzi più rapido da parte della Fed. Una volta che i guadagni hanno colpito, il sentiment si è indebolito. Mentre le banche hanno guidato la crescita dei finanziamenti (in aumento del 10% rispetto a un trimestre fa) e dei margini d’interesse netti, le preoccupazioni circa l’impatto negativo di spese più alte e utili da commissioni minori hanno catturato l’attenzione degli investitori. Tra le grandi banche, J.P. Morgan, in tema di spese particolarmente elevate per il 2022, rappresenta un buon esempio, mentre i mercati dei capitali e delle banche ipotecarie sembrano normalizzarsi dai primi picchi del 2021. Gli analisti sell-side hanno rivisto le stime delle spese operative per il 2022 incrementandole intorno ad una media del 2% per l’industria, con una revisione netta di -1% dei ricavi netti pre-provisionali. Tutto sommato, non si tratta di un cambiamento significativo per le stime future, ma l’euforia pre utili ha iniziato a scemare. Continuiamo a scandagliare il mercato alla ricerca di titoli che offrano un buono sconto rispetto alla capacità di generare utili e alla sensibilità ai tassi di interesse.
A gennaio, UBS ha riportato i guadagni del quarto trimestre del 2021. I profitti hanno superato del 25% le aspettative, con miglioramenti sia nei ricavi che nei costi, e più in generale all’interno di ogni segmento operativo dell’istituto. La banca d’investimento continua a fornire ricavi forti, pur mantenendo una disciplina dei costi che è stata ben accolta dopo alcune preoccupazioni emerse negli Stati Uniti. Probabilmente la cosa più importante è che UBS ha fornito aspettative ben superiori al consensus sul ritorno di capitale – dichiarando un dividendo di $0.50 rispetto alle aspettative di $0.39, e un buyback per il 2022 di $5.0 miliardi rispetto alle aspettative di $3.2 miliardi. Congiuntamente, ciò implica un rendimento totale del 10% per UBS anche dopo il rally dell’8% post risultati. Inoltre, è stato presentato un nuovo business plan fino al 2024 che evidenzia una crescita annuale dei profitti del 10-15% nel segmento Global Wealth Management (rispetto al consensus del 5%), e un obiettivo di ROTE (Return on Tangible Equity) del 13-16% rispetto al consensus del 13%, che alimenta il miglioramento del rendimento del 10% contro le stime sulla forza dei guadagni a lungo termine. Crediamo che tali obiettivi siano ragionevoli, in particolare alla luce delle iniziative di taglio dei costi lordi annunciate da UBS. Il risparmio generato da questa operazione contribuirà a compensare l’inflazione dei costi che le aziende si trovano ora ad affrontare a livello globale, consentendo alla leva operativa di fornire il ROTE più elevato previsto. Con azioni negoziate a 1,26 volte il valore contabile tangibile dopo il rally post-earnings, UBS è un esempio di valore delle banche europee oggi.