Inflation’s higher than your bond rates
That’s what I was fearing
So your savings account
Is slowly disappearingDogecoin Rap, Remy, 2021
Un anno fa, i mercati erano in preda al panico. I titoli obbligazionari delle grandi società garantite dai governi offrivano rendimenti record agli investitori disposti a scommettere sulla loro sopravvivenza. Oggi, invece, regna un clima di euforia. I mercati non solo hanno scontato probabilità decisamente inferiori di concretizzazione di simili scenari apocalittici, ma si sono mossi per riflettere un contesto di goldilocks economy, ossia una fase dell’attività caratterizzata dalla combinazione di forte crescita e inflazione contenuta.
L’ipotesi di fondo del consensus – ribadita dal presidente della Fed come, a scendere, dalla maggior parte degli economisti sell side – è che le pressioni sull’inflazione saranno temporanee e le banche centrali riusciranno a mantenere la politica accomodante, lasciando che la festa continui.
E se si sbagliassero?
Dopo vent’anni di stimoli monetari basati sugli asset del QE infinito, che insieme ai tagli alle imposte per le imprese hanno avuto scarsi effetti sull’inflazione, la politica economica ha finalmente voltato pagina. I mercati finanziari non sono più l’unica priorità: l’economia reale lo è. La settimana scorsa, il discorso
del Presidente Biden al Congresso ha evidenziato le misure chiave per riequilibrare la società: maggiori sostegni alle famiglie e aumento della pressione fiscale sulle fasce di reddito più alti. Si tratta di un cambiamento drastico rispetto al QE infinito che, come sosteniamo dal 2015, ha aggravato le disuguaglianze e si è dimostrato, in alcuni casi, deflazionistico. Anche l’Europa sta accelerando la distribuzione di vaccini anti-Covid e aumentando la spesa attraverso il piano Next Generation EU per la ripresa dell’Unione Europea.
Milton Friedman una volta ha detto che niente è più permanente di un programma governativo temporaneo. Prima che un fenomeno monetario, l’inflazione è un fenomeno politico. Crediamo che per i governi non sarà facile rinunciare alla spesa e ai disavanzi elevati. I programmi odierni di spesa pubblica si tradurranno presumibilmente in una maggiore domanda strutturale di servizi e materie prime, mentre è probabile che l’aumento delle tensioni geopolitiche riporti in patria la produzione di beni strategici, con un’inversione di rotta. È altrettanto probabile che ne consegua un continuo deprezzamento delle valute fiat rispetto agli attivi reali.
Provenendo da un mercato rialzista pluridecennale per il segmento obbligazionario, è facile per gli investitori decidere di rimanere nella zona di confort delle proprie allocazioni. Tuttavia, circa il 60% delle obbligazioni globali oggi rende meno dell’1%. La maggior parte dei portafogli obbligazionari, dei portafogli bilanciati e dei fondi a reddito fisso è posizionata nel modo sbagliato. Come abbiamo visto negli ultimi trimestri, tutti contengono titoli obbligazionari che rendono meno dell’inflazione e non forniscono più molta protezione in caso di vendite massicce sui mercati. Gli investitori possono perdere denaro lentamente contro l’inflazione oppure rapidamente in caso di re-pricing.
Le valorizzazioni sono troppo alte e la volatilità troppo bassa. Riteniamo che la domanda rimbalzerà più rapidamente del previsto. Questo sviluppo, insieme ai colli di bottiglia dell’offerta, riporterà probabilmente la volatilità sull’inflazione, i rendimenti e gli attivi rischiosi. Ma la volatilità passeggera è solo l’inizio della storia. Ci aspetta un aumento della spesa pubblica e le banche centrali sono pronte a sostenerla adottando politiche ancora più espansive nei prossimi anni, tra cui il controllo della curva dei rendimenti e l’emissione di monete digitali.
Dal panico all’euforia
Riaperture: una storia di divergenza
Le economie globali stanno riaprendo, ma per una riapertura totale sarà probabilmente necessario aspettare il 2022. All’inizio dell’anno, ci aspettavamo un’estate 2021 quasi normale nelle economie sviluppate. Gli alti tassi di efficacia dei vaccini e i grandi contratti nazionali inizialmente puntavano a raggiungere l’immunità quasi completa entro l’estate. Tuttavia, le difficoltà operative e un certo scetticismo sugli effetti collaterali dei vaccini, hanno rallentato più del previsto le campagne vaccinali. Riteniamo che, ad eccezione del Regno Unito, degli Stati Uniti e di Israele, quasi nessun Paese sviluppato oggi si trovi nelle condizioni di poter vaccinare il 60% della popolazione, con almeno una dose, entro giugno. Secondo le nostre stime, in Europa è probabile che i tassi di vaccinazione del 60-70% si raggiungano solo ad agosto. Le vaccinazioni proseguiranno presumibilmente con maggiore lentezza in altre economie sviluppate quali Australia, Nuova Zelanda, Corea e Giappone.
Il Covid ha amplificato le divergenze tra Paesi, con gli USA che sovraperformano il resto del mondo, soprattutto i mercati emergenti – ad eccezione della Cina. Nelle ultime tre settimane, circa il 30% del totale dei nuovi casi di contagio da Covid proveniva dalla sola India. Nonostante solo l’8% della popolazione fosse vaccinata, il governo indiano aveva deciso che l’economia non poteva più sostenere il peso del lockdown. Le riaperture anzitempo hanno provocato una recrudescenza dei contagi, causando un secondo lockdown. L’EIU stima che solo il 60% della popolazione indiana sarà vaccinata entro la metà del 2022, penalizzando così le capacità del Paese di riaprire l’economia, in misura sostanziale, fino ad allora. Al contrario, negli Stati Uniti quasi il 70% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino e il Paese si prepara a vivere un’estate di quasi normalità. Questo contrasto tra l’India e gli Stati Uniti è solo un esempio, ma è anche illustrativo della divergenza tra mercati emergenti e mercati sviluppati in termini di vaccinazioni e, quindi, di percorsi verso la ripresa economica. Tale divergenza è stata illustrata nelle ultime previsioni di crescita dell’FMI
dell’aprile 2021: mentre la crescita dei mercati sviluppati è stata rivista al rialzo di 0,8 punti percentuali nel 2021 e di 0,5 punti percentuali nel 2022, la crescita dei mercati emergenti è stata rivista al rialzo di soli 0,4 punti percentuali nel 2021 ed è rimasta invariata per il 2022. La necessità di ripetere la vaccinazione ogni anno e la presenza di varianti del virus aumentano il rischio che questa divergenza persista. Anche se, alla fine, sia le economie emergenti che quelle sviluppate raggiungeranno lo stesso tasso di vaccinazione, il periodo di tempo per raggiungere questo obiettivo è ulteriormente allungato dalla necessità di ripetere le somministrazioni. Inoltre, come si è visto con le varianti in Sud Africa e in Brasile, l’efficacia dei vaccini potrebbe risultarne compromessa. Ciò cambierebbe le tempistiche del ciclo produttivo e, potenzialmente, provocherebbe ulteriori differenze nei tempi di consegna tra le nazioni.
Inflazione: alcune banche centrali stanno frenando
“Ci troviamo in una situazione in cui siamo su un tetto e non esiste una strada priva di rischi: dobbiamo saltare.”
− Jerome Powell, 2013, verbali della Fed sul tema del tapering.
L’inflazione più alta o più alta per più tempo è il rischio principale per le valorizzazioni di mercato correnti. “Può darsi che i tassi di interesse debbano aumentare un po’ per assicurarsi che la nostra economia non si surriscaldi” – ha detto all’inizio della scorsa settimana il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Louise Yellen – ma la reazione dei mercati è stata negativa e il Segretario ha dovuto ritornare rapidamente sui propri passi. Oggi, la convinzione che i tassi di interesse resteranno più bassi più a lungo, che le pressioni inflazionistiche si manterranno contenute e che le banche centrali proseguiranno quindi con politiche espansive, è alla base di valorizzazioni record sui mercati azionari e di premi di rischio record per i titoli di debito e credito governativi a lungo termine.
L’aspettativa tra gli investitori e gli economisti delle banche centrali è che, sebbene l’inflazione possa essere più elevata, si tratterà di un fenomeno transitorio. Né gli investitori né le banche centrali sono preparati per un cambiamento di regime permanente o di prolungato rialzo dell’inflazione. Le proiezioni di alcune banche centrali, tuttavia, si stanno già dimostrando troppo ottimistiche. La Fed e la Banca del Canada prevedono che l’inflazione resti intorno al 2% fino al 2023 mentre, sullo stesso orizzonte temporale, le stime BCE la danno al di sotto del 2%. Tuttavia, nelle ultime settimane, il PPI (Producer Price Index – un indicatore dei prezzi al consumo dalla prospettiva dei produttori nazionali) in Cina, USA ha raggiunto circa il 4% anno su anno. In parte, questo aumento è dovuto a una grande variazione su base annua dei prezzi delle materie prime, sia per le hard che per le soft commodity, in parte a causa delle interruzioni dell’offerta causate dalla pandemia. Tuttavia, anche escludendo gli effetti di base sui prezzi delle materie prime, c’è stato un trend positivo nel PPI. Come si è visto nel PPI tedesco ad esclusione dell’energia, i prezzi sono in aumento di oltre il 2% anno su anno e infrangono picchi pluriennali. Secondo l’indagine ISM USA di aprile, otto intervistati su dieci hanno riferito di aver pagato prezzi più alti per i materiali, rispetto ai soli 6 intervistati su 10 di gennaio. Sebbene, storicamente, il passaggio da PPI a CPI sia stato moderato, questa volta potrebbe essere più intenso. Un elemento catalizzatore in tal senso potrebbe arrivare con la riapertura dell’economia e il calo della disoccupazione: una maggiore inflazione dei beni potrebbe iniziare a esercitare pressioni sull’aumento dei salari, fattore che rialzerebbe ulteriormente il CPI. Negli Stati Uniti, l’aumento dei prezzi al consumo potrebbe essere già dietro l’angolo: in base alle recenti richieste di utili, i dirigenti delle società statunitensi hanno segnalato il prossimo rincaro dei prezzi.
Ad esempio, P&G ha dichiarato che i prezzi di alcuni articoli saranno ritoccati, passando da medio ad alti, a partire da settembre e che quelli di altri prodotti saranno rivisti a breve. Allo stesso modo, Whirlpool ha reso noto di stare pianificando rincari compresi tra il 5 e il 12%. Si manifestano anche i primi segnali di nuovi catalizzatori dell’inflazione. Da un lato, alcuni di questi fattori trainanti sono temporanei ma potrebbero protrarsi fino alla fine dell’anno: ad esempio, inizialmente gli investitori avevano previsto che la carenza globale di chip sarebbe durata solo poche settimane, ma ora potrebbe persistere per la maggior parte del 2021 o oltre il 2022, secondo alcune aspettative più ribassiste. Per ora, questa carenza di chip ha comportato una diminuzione della produzione / scorte piuttosto che un aumento dei prezzi ma, poiché la carenza si estende e le scorte continuano a diminuire, è probabile che i prezzi inizino a salire. Ad esempio, Goldman Sachs stima che la carenza comporterà un rialzo del CPI statunitense, nel 2021, compreso tra lo 0,1% e lo 0,4%. Dall’altro lato, sono presenti anche nuovi driver di inflazione più strutturali: come il fenomeno dell’onshoring delle catene dell’offerta e della produzione, nonostante i costi più elevati, sia come lezione impartita dalla pandemia, sia come un modo per proteggere la proprietà intellettuale in un contesto di aumento del rischio geopolitico. Questa tendenza alla de-globalizzazione probabilmente farà salire i costi di produzione.
Quali sono le banche centrali che dichiareranno per prime la fine della festa? Alcuni politici hanno già iniziato a tirare leggermente il freno.
La Banca del Canada è stata la prima banca centrale dei Paesi del G10 a iniziare a ridurre gli acquisti di asset emessi per la pandemia. A metà aprile, ha annunciato il tapering degli acquisti di attivi poiché prevede una crescita più forte per il Canada e ritiene che l’inflazione rimarrà costantemente al di sopra o vicino al 2% fino al 2023. L’orientamento da falco della Banca del Canada potrebbe essere il solo di questo tipo nel contesto globale: nonostante l’aumento dei casi di contagio, l’economia correlata alle commodity è stata rafforzata dal rialzo dei prezzi delle materie prime. Inoltre, la Banca del Canada ha un mandato unico per controllare l’inflazione, al contrario del doppio mandato della Fed che si concentra anche sul raggiungimento della piena occupazione. Di conseguenza, a differenza della Banca del Canada, altre banche centrali hanno scelto di aspettare, anziché tirare il freno. Ciò potrebbe tuttavia lasciare presagire la necessità di un rallentamento più energico in seguito, se l’inflazione dovesse continuare a salire in misura persistente.
E’ probabile che la Fed inizi nel secondo semestre le discussioni sull’uscita dal programma di acquisti per l’emergenza pandemica. Come dichiarato dal presidente della Fed Jerome Powell, durante l’ultima riunione, il tapering dipenderà dal fatto che gli Stati Uniti mostrino progressi sostanziali verso il raggiungimento della massima occupazione. È probabile che ciò accada entro la fine dell’anno, quando l’occupazione riprenderà progressivamente nei settori collegati alle riaperture, come viaggi e ospitalità.
La Banca d’Inghilterra potrebbe essere la prossima a considerare di passare ad una politica aggressiva. L’annuncio di un graduale ridimensionamento del piano di acquisti a partire dal 4° trimestre 2021 potrebbe arrivare già ad agosto. Il nuovo orientamento politico potrebbe essere innescato da una revisione al rialzo delle previsioni di crescita e inflazione. Le attuali ipotesi economiche della Banca d’Inghilterra sono state fatte prima della rapida campagna vaccinale nel primo trimestre. Ciò detto, il consiglio di amministrazione della banca centrale inglese rimane in gran parte accomodante e potrebbe abbaiare più che mordere.
Altre banche centrali dei Paesi del G-10 potrebbero essere più lente nell’ipotizzare il ridimensionamento degli acquisti di attivi. In Europa, la BCE ha recentemente liquidato le discussioni sul tapering come “semplicemente premature”. È anche probabile che la BCE sia meno sotto pressione rispetto alla Fed, in considerazione del fatto che la spesa fiscale e le campagne vaccinali procedono più a rilento in Europa. Tuttavia, alcuni dei falchi della BCE hanno già rotto i ranghi e, di conseguenza, il consensus sul mantenimento del PEPP potrebbe iniziare ad affievolirsi già dopo la riunione di giugno.
Difficilmente la Reserve Bank of Australia (RBA) e la Reserve Bank of New Zealand (RBNZ) parleranno di tapering fino al 2022, vista la lentezza delle vaccinazioni, i rapporti tesi con il principale partner commerciale, la Cina, e i rischi sistemici dovuti agli alti prezzi degli immobili residenziali. Allo stesso modo, in Giappone, non vi è quasi alcuna pressione per discutere del ridimensionamento degli acquisti di attivi poiché l’inflazione rimane bassa, nonostante gli effetti di base dello scorso anno.
Geopolitica: Cina e Russia mettono alla prova l’amministrazione Biden
Un rischio determinante per il resto dell’anno riguarda l’eventualità di un rinnovato inasprimento delle tensioni geopolitiche. In effetti, la nuova amministrazione statunitense si sta dimostrando più aggressiva di quanto generalmente previsto. Prima delle elezioni, Biden era considerato “una colomba” nella politica internazionale, opinione basata semplicemente sul contrasto con l’approccio imprevedibile di Trump. I primi mesi del 2021 hanno chiarito che questa convinzione comune era sbagliata: nei primi tre mesi del mandato di Biden, la Russia ha ricevuto sanzioni da lungo tempo attese e la posizione nei confronti della Cina non si è ammorbidita di molto, al di fuori del commercio. La Turchia potrebbe essere la prossima della serie. Con l’insediamento di un nuovo leader mondiale alla Casa Bianca è probabile che anche altre potenze globali vogliano testare i limiti entro i quali spingersi. Di conseguenza, i prossimi mesi potrebbero essere un po’ intensi. La geopolitica può causare “grappoli di volatilità”, poiché i mercati cercano di capire quale sarà l’area di tensione successiva una volta esaurita quella in essere.
La Russia ha giocato alla guerra e per le relazioni USA-Russia si è trattato di un inizio difficile. L’avvelenamento di Navalny ha innescato una serie di sanzioni personali e l’interferenza elettorale ha infine provocato un’estensione delle sanzioni al debito sovrano. Sebbene queste ultime restrizioni arrivino in una forma più mite del temuto, lanciano comunque un messaggio potente. Gli Stati Uniti stanno monitorando la spavalderia della Russia negli affari mondiali e sono pronti a toccare aree sensibili. Dal canto suo, la Russia è desiderosa di sfidare la nuova leadership degli Stati Uniti. I commenti di Putin su Biden sono stati provocatori e le truppe ammassate al confine con l’Ucraina hanno chiarito che la Russia vuole ancora essere considerata il leader dell’Est europeo. Nelle prossime settimane è probabile un allentamento delle tensioni, poiché sono state annunciate delle sanzioni e la Russia sta già ritirando le truppe. Tuttavia, l’inizio un po’ ruvido indica chiaramente maggiori tensioni in futuro, ossia ritorsioni reciproche e possibile nervosismo sui mercati.
La Cina si rivela un altro fronte aperto, poiché s’intensificano le tensioni al confine con Taiwan e la concorrenza tecnologica con gli Stati Uniti. La carenza di semiconduttori aggrava l’annosa questione della concorrenza tecnologica con gli Stati Uniti, mentre le tensioni con Taiwan potrebbero richiedere una posizione più chiara degli Stati Uniti nella regione. Inoltre, aumentano i segnali di cooperazione Cina-Russia, che impensieriscono ulteriormente Washington. Nel complesso, è meno plausibile che le tensioni tra Stati Uniti e Cina abbiano un impatto immediato sul mercato: non c’è scontro aperto come con la Russia e, dopo Trump, gli Stati Uniti hanno superato la fase delle guerre commerciali. Tuttavia, un graduale deterioramento aumenterà il rischio di tensioni occasionali e rafforzerà la polarizzazione in termini di relazioni bilaterali globali.
È realistico ipotizzare che le tensioni geopolitiche s’intensifichino ulteriormente anche in Turchia. Oltre alla volatilità interna, le relazioni di Ankara con l’UE continuano a precipitare e i primi commenti di Biden non sono stati positivi. Con gli Stati Uniti, la Turchia ha un “conto aperto” di vecchia data: aspettiamo ancora le ritorsioni sia per l’acquisto dei sistemi missilistici S-400 che per le sanzioni alla banca Halkbank e i commenti di Erdogan sugli Stati Uniti continuano a sostenere la linea dura. Mentre la precedente amministrazione USA non ha mai intensificato la guerra economica con la Turchia, un parallelo con la Russia suggerisce la necessità di maggiore cautela con Biden. È verosimile che le misure finanziarie/economiche contro la Turchia abbiano un impatto sui mercati molto più forte che in Russia, data la forte dipendenza del Paese dai capitali esteri.
Geopolitica e mercati – i guai non vengono mai da soli.
Geopolitica e mercati: in aumento i rischi sottostanti
Negli ultimi decenni, i venti di coda macroeconomici provenienti dalla politica monetaria e fiscale hanno generalmente oscurato gli shock geopolitici. Tuttavia, le persistenti tensioni tra Cina, Russia e Stati Uniti potrebbero andare oltre il fragore mediatico.
La prima reazione istintiva alle tensioni geopolitiche è ovviamente il risk-off sui mercati. Oggi, le valorizzazioni scontano un contesto molto calmo, con gli spread obbligazionari dei mercati emergenti rispetto alla volatilità delle azioni, ai minimi storici. Tuttavia, l’IIF a sinistra, mostra che solo le società negli Stati Uniti, in Cina e Taiwan sono in grado di sostenere prezzi degli input più elevati, in media. La combinazione di tempi più lunghi nella catena di approvvigionamento e la produzione a costi più elevati sul territorio nazionale potrebbero finire per comprimere anche i profitti aziendali.
Non c’è più niente da comprare?
Spread stretti, tassi in rialzo e una raffica di rischi estivi rappresentano una combinazione complicata per gli investitori obbligazionari. I mercati emergenti e high yield ora rendono meno del 5% in USD e la duration degli indici è ai massimi, dopo il boom delle emissioni nel 2020. Di conseguenza, anche piccoli movimenti dei tassi potrebbero trasformarsi in rendimenti negativi. Nel febbraio 2020, prima della crisi provocata dal Covid, abbiamo avvertito gli investitori che non c’era più niente da comprare sul mercato. Oggi, il rovescio della medaglia per i titoli
obbligazionari è decisamente sbilanciato contro gli investitori in questo segmento: rimangono solo poche aree di valore.
Sulla base della nostra scomposizione dei rendimenti del credito per fattori di rischio (si veda l’Appendice I), una percentuale significativa dei rendimenti degli indici IG e HY dallo scorso anno è attribuibile a una maggiore liquidità, che potrebbe presto iniziare a diminuire con il cambiamento dei toni da parte delle banche centrali. Oggi il premio per il rischio derivante dalla liquidità è sparito e il credito presenta un profilo rischio-rendimento molto asimmetrico. In uno scenario positivo, gli investitori possono eseguire operazioni di carry trade e godere di un restringimento limitato degli spread, mentre in uno scenario negativo i drawdown dei titoli obbligazionari ad alto rischio sono storicamente vicini al 10-15%. In termini di asset class, il credito è un cattivo affare.
Riteniamo che, nei mercati sviluppati, siano presenti alcune opportunità in selezionati titoli obbligazionari ciclici con rating a singola B. Compagnie aeree, compagnie di crociera e alcune case automobilistiche stanno ancora scontando lo scetticismo sulla riapertura delle attività, anche nei casi in cui il sostegno del governo è forte o la liquidità abbondante. Il premio per il rischio è più alto in Europa, mentre la maggior parte dei settori oggetto di riapertura negli Stati Uniti ha prezzato una ripresa.
Nei mercati emergenti rimaniamo perlopiù cauti, ma troviamo selettivamente valore in situazioni con un forte supporto esterno, nonostante i rendimenti elevati, come Pemex, Naftogaz e Air Baltic. Un’altra area di valore è rappresentata dalle società di sviluppo immobiliare in Cina: il settore offre rendimenti uniformemente compresi tra il 7 e il 10%, a prescindere da differenze importanti nei fondamentali. Gli sviluppatori di qualità relativamente alta possono offrire rendimenti del 6-7%, nonostante un effetto leva (gearing) basso e talvolta le dimensioni sistemiche.
Infine, rimaniamo positivi sul debito convertibile, soprattutto nei settori dell’energia ed in quelli oggetto di riapertura. Gli emittenti high grade nei settori ad alto beta continuano a offrire agli investitori un profilo upside-downside convesso positivo. Gli emittenti con bilanci solidi nei settori dell’ospitalità, dell’energia o dei viaggi possono assistere ad una forte rivalutazione dei titoli azionari in uno scenario positivo, ma hanno poco rischio di credito in uno negativo. Pertanto, la presenza di convertibili in un portafoglio obbligazionario può compensare l’asimmetria negativa dei mercati del credito. Tra gli esempi: Dufry, FNAC, Accor, TUI e Campari. Il debito convertibile è attualmente la nostra asset class principale, con un’allocazione di circa il 20%.
Conclusioni: ripensare gli investimenti obbligazionari
Rockets, moon shots,
Spend it on the have nots
Money, we make it
Fore we see, you take itInner City Blues, Marvin Gaye, 1970
Creato nel 2013 come una parodia per deridere bitcoin e offrire valute alternative digitali a un pubblico più ampio, la capitalizzazione di mercato di Dogecoin ora vale più di Ford Motor Company. È facile liquidare questo fenomeno semplicemente come un altro esempio di bolla speculativa trainata da una politica monetaria accomodante. La storia ci mostra che, in tempi di crisi, i governi usano le valute per garantirsi la sopravvivenza. A quel punto, le valute non sono più una riserva di valore affidabile. Il dollaro rimane la moneta di riserva mondiale, per ora, ma è probabile che il governo degli Stati Uniti continui sulla strada degli stimoli da tempo di guerra. Questa guerra non si combatte fuori, ma dentro i nostri Paesi. Le nostre economie sono diventate incredibilmente sbilanciate, dopo decenni di QE infinito e tagli fiscali, che hanno avvantaggiato le classi più abbienti rispetto a quelle più disagiate e creato riprese ricche in termini di asset ma povere in termini di salari. La guerra di oggi non è contro un nemico esterno, ma contro le disuguaglianze.
Di conseguenza, riteniamo che gli investitori dovrebbero considerare delle alternative alla loro allocazione.
Nelle parole del recente articolo scritto dal veterano degli investitori obbligazionari, Dan Fuss, e pubblicato sul Financial Times con il titolo: Bond investing needs a complete rethink:
“Qualsiasi grande scossa che colpisce i mercati potrebbe minare la base della considerevole leva finanziaria degli investitori che vi alberga. Si presume che le principali banche centrali accorrerebbero in soccorso dei mercati e questo è, nella maggior parte dei casi, un presupposto valido. Tuttavia, la leva dipende dalla fiducia. Se la fiducia cominciasse a vacillare, la liquidità in eccesso scomparirebbe rapidamente. Le banche centrali stanno monitorando con attenzione questo aspetto, ma potrebbero non essere in grado di controllarlo”.
Nel secondo semestre dell’anno, riteniamo che la volatilità dell’inflazione e le discussioni sul tapering potrebbero riportare la volatilità sugli attivi rischiosi. Le obbligazioni e il credito sono un gigante addormentato, con valutazioni ai massimi storici e rendimenti che ora compensano a malapena i rischi.
Nel lungo periodo, tuttavia, riteniamo che gli investitori dovrebbero considerare uno scenario di ulteriore allentamento della politica monetaria – forse con la nomina di un nuovo presidente della Fed – e l’introduzione di misure politiche ancora più accomodanti, tra cui il controllo della curva dei rendimenti e, infine, l’emissione di valute digitali (Central Bank Digital Currency – CBDC) da parte delle banche centrali. Riteniamo che le CBDC, già utilizzate in Cina, possano apportare un cambiamento epocale nello scenario politico. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria potrebbe cambiare direzione, passando “dall’alto verso il basso” – dalla banca centrale fino alle banche commerciali e alle imprese- al “dal basso verso l’alto”, con iniezioni monetarie dirette nei settori e nelle imprese.
Ci aspettiamo un rialzo dell’inflazione, rendimenti reali costantemente negativi, un aumento della pressione fiscale e maggiori interventi governativi nei settori economici. Gli investitori dovrebbero cercare delle alternative. Nella nostra strategia Global Credit Opportunities, continuiamo a investire fortemente in titoli legati ad asset reali o flussi di cassa reali, come obbligazioni convertibili e settori delle commodity, mantenendo una duration neutra e un’allocazione molto selettiva nel credito.
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