Federal Reserve – Ultima fermata 4%
Il calo dell’inflazione complessiva, dovuto alla diminuzione dei prezzi dell’energia, non è sufficiente a far cambiare idea alla Fed. L’aumento dell’inflazione core della scorsa settimana, la resilienza delle vendite al dettaglio e la persistente rigidità del mercato del lavoro rafforzano la narrativa di un proseguimento della politica monetaria restrittiva da parte della Fed.
La scorsa settimana, i dati relativi all’indice dei prezzi al consumo (IPC) annuale negli Stati Uniti si sono attestati all’8,3%, leggermente al di sotto del dato di luglio pari all’8,5%. Tuttavia, questa diminuzione era ampiamente prevista, poiché è stata determinata dal calo dei prezzi dell’energia. A destare preoccupazione è stata l’inflazione core, che si è attestata al 6,3%, rispetto al precedente dato, in cui è risultata pari al 5,9%.
Le vendite al dettaglio sono aumentate dello 0,5% rispetto al mese precedente in cui vi era stata una variazione nulla, mentre le vendite al dettaglio al netto di auto e gas sono leggermente rallentate, con un aumento dello 0,3% rispetto allo 0,7% di luglio, come da previsioni. I dati non suggeriscono un raffreddamento delle vendite al dettaglio, rafforzando la nostra visione di una Fed aggressiva per questa settimana.
Gli indicatori anticipatori ci lasciano un po’ più speranzosi. I colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento continuano ad allentarsi, con tempi di consegna in riduzione e scorte in aumento nel settore industriale. Anche i prezzi dei biglietti aerei e delle auto usate dovrebbero subire un calo nei prossimi mesi. L’inflazione legata all’aumento degli affitti continua a rimanere elevata, ma l’aumento dei tassi ipotecari dovrebbe iniziare a influenzare anche il settore immobiliare, come dimostrano i dati sui permessi di costruzione. L’inflazione comincerà quindi a scendere nei prossimi mesi, anche se questi indicatori ancora non si riflettono nei dati attuali.
In questo contesto, la Fed dovrà continuare a trasmettere un messaggio hawkish, poiché il livello dell’inflazione è elevato e il ritmo della recente diminuzione non è abbastanza forte.
Mercoledì pensiamo che la Fed effettuerà un rialzo di 75 pb, lasciando aperta l’ipotesi di rialzi analoghi o maggiori se la pressione inflazionistica dovesse continuare. La decisione sarà accompagnata da una forte revisione al rialzo delle previsioni, anticipando un tasso terminale sempre più vicino al 4% per il 2023. La buona notizia è che i mercati ci sono già arrivati. I tassi stanno prezzando un rialzo di 78 pb in vista della riunione, ad un livello di 10 pb più alto rispetto a una settimana fa, il che implica un tasso di policy nell’intervallo 3-3,25%. Le aspettative per la fine dell’anno sono per un livello dei tassi ufficiali pari al 4,3% circa, superiore di 192 pb rispetto alla situazione attuale. La Fed potrebbe trasmettere un messaggio aggressivo, ma la maggior parte della decisione è già scontata dal mercato, a seguito del forte dato sull’inflazione uscito la scorsa settimana.
Valute asiatiche – Sotto pressione
La diffusa forza del dollaro USA sta aumentando la pressione sulle valute asiatiche. La scorsa settimana lo yen giapponese ha toccato i minimi pluri-decennali rispetto al dollaro USA. In Cina, il Renminbi ha superato la quota dei 7 rispetto al dollaro, per la prima volta dalla metà del 2020.
In Giappone, la scorsa settimana la Bank of Japan (BOJ) ha condotto un “controllo dei tassi di cambio” sui mercati valutari, una mossa considerata come un’anticipazione di un intervento vero e proprio. Tuttavia, il Ministero delle Finanze deve coordinarsi con il Tesoro statunitense per qualsiasi intervento e non è certo che Washington sia d’accordo con la vendita delle riserve di dollari.
I minimi di 24 anni dello Yen giapponese precedono la riunione di politica monetaria della BOJ di mercoledì/giovedì. Data la mancanza di strumenti efficaci a disposizione del governo per sostenere la valuta, la BOJ potrebbe subire crescenti pressioni monetarie per variare la propria policy dall’allentamento alla neutralità, nel caso in cui il cambio dollaro/yen (USDJPY) dovesse superare i 150 dollari. Riteniamo che la BOJ possa temere che questo cambiamento possa essere interpretato come un allontanamento dalla sua politica accomodante. Riteniamo che probabilmente manterrà la propria politica espansiva, anche se potrebbe modificare la forward guidance sui tassi di cambio.
Allo stesso modo, il Renminbi ha raggiunto quasi i minimi dalla pandemia da Covid nel 2019/20 rispetto al dollaro USA, superando la quota dei 7 per la prima volta dalla metà del 2020. Tuttavia, riteniamo che la preoccupazione principale della People’s Bank of China (PBOC) continuerà a riguardare il ritmo del deprezzamento, ma non la direzione complessiva dell’andamento del cambio dollaro/renminbi (USD-RMB).
Sebbene la Cina stia mostrando segnali di ripresa economica grazie agli stimoli e all’iniezione di liquidità della PBOC, i fondamentali sembrano favorire l’indebolimento del Renminbi a causa dell’indebolimento delle esportazioni, delle turbolenze in corso nel settore immobiliare e della politica zero-Covid ancora intatta. Pertanto, riteniamo che ci sia ancora spazio per un ulteriore ribasso del Renminbi. L’andamento del Renminbi da inizio anno segue da vicino l’aggiustamento sul cambio euro/dollaro (EUR/USD), offrendo pochi motivi alla PBOC per intervenire con più forza. Il rallentamento delle esportazioni e la riduzione del divario sui tassi d’interesse rispetto agli Stati Uniti comporteranno quasi certamente maggiori possibilità di ulteriori pressioni sulla valuta.
Guerra in Ucraina – Nessuna tregua in vista
Il 24 settembre saranno trascorsi 7 mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, avvenuta a fine febbraio. Facciamo il punto della situazione, che è decisamente più fluida e complicata di quanto i militari russi si aspettassero all’inizio dell’anno.
Le recenti controffensive ucraine hanno permesso di riconquistare le terre controllate dai russi e sono state seguite da nuovi aiuti da parte degli Stati Uniti, che giovedì della scorsa settimana hanno fornito un’altra serie di aiuti militari all’Ucraina, per un ammontare di 600 milioni di dollari.
Questo mese, le forze di Kiev hanno riconquistato decine di insediamenti e più di 3.500 miglia quadrate di territorio controllato dai russi nella regione nord-orientale di Kharkiv, dove le autorità ucraine hanno trovato un altro sito di sepoltura di massa di 440 tombe senza nome, vicino a Izyum.
Mentre le forze russe sembrano aver riguadagnato terreno dopo essere state costrette a ritirarsi, il Cremlino deve affrontare le battute d’arresto interne, poiché crescono le critiche sul modo in cui la Russia ha affrontato la guerra, anche se a livelli ancora contenuti.
Sul campo di battaglia, nelle ultime settimane, la Russia ha perso centinaia di veicoli militari pesanti, tra cui oltre 100 carri armati, secondo quanto riportato dai report dell’intelligence. Ha anche perso diversi pezzi di equipaggiamento elettronico, che ora sono nelle mani delle forze alleate dell’Occidente.
I recenti contrattacchi ucraini sono stati riconosciuti dai media russi, che attribuiscono la maggior parte dei successi all’intelligence statunitense e alle armi occidentali.
Tuttavia, nonostante i recenti successi sul campo di battaglia dell’Ucraina, la Russia mantiene ancora forze significative dispiegate in Ucraina e nei suoi dintorni, oltre a vasti depositi di armi e munizioni, che le danno la possibilità di reagire e colpire. Inoltre, le forze ucraine potrebbero ora affrontare una maggiore resistenza attaccando le regioni controllate dalla Russia. Le recenti conquiste di Kiev nei pressi di Kharkiv, nel nord-est, sono state ottenute con l’effetto sorpresa e sfruttando i punti deboli nella lunga e poco protetta linea del fronte russo; ottenere risultati simili utilizzando le stesse tattiche potrebbe rivelarsi difficile.
La Russia probabilmente faticherà ad aggiornare o sostituire le attrezzature perdute perché le sanzioni occidentali limitano l’accesso di Mosca all’elettronica avanzata. E se si sparge la voce che le difese avanzate della Russia sono state compromesse, le sue prospettive di vendita di tali apparecchiature nei mercati di esportazione probabilmente diminuiranno, indebolendo ulteriormente la sua industria degli armamenti.
Per contestualizzare la situazione, alla fine di agosto (24):
- 5.587 civili ucraini sono stati confermati morti, ma si ritiene che il numero reale sia di decine di migliaia;
- Oltre 6,5 milioni di rifugiati;
- Perdite militari: 9.000 ucraini e circa 25.000 russi;
- La guerra è già costata all’Ucraina almeno 113,5 miliardi di dollari e si prevede che avrà bisogno di oltre 200 miliardi di dollari per la ricostruzione;
- Prima dell’ultimo round di aiuti da 600 milioni di dollari da parte degli Stati Uniti, le nazioni donatrici si erano impegnate a dare circa 85 miliardi di dollari all’Ucraina.
Algebris Investments’ Global Credit Team
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