Alzi la mano chiunque abbia apportato modifiche significative al proprio portafoglio di investimenti negli ultimi tre mesi.
Pur essendo la domanda chiaramente ironica, la questione è però rilevante. L’inflazione è la più alta degli ultimi quattro decenni ed è alquanto improbabile che molti investitori tre mesi fa fossero posizionati esattamente dove desideravano, considerando gli attuali sviluppi. E la situazione è in continua evoluzione. Il quantum dell’incremento dell’inflazione è di per sé sorprendente… e persino in aumento.
Chi segue le nostre pubblicazioni periodiche, sa bene che Algebris, nel corso degli ultimi 12 mesi, ha sempre messo in guardia dall’inflazione. Oggi, con l’impennata dei costi dell’energia, sono rimasti in pochi a non prendere consapevolezza dei primi ed evidenti effetti. Tanti (troppi) numeri vengono divulgati dagli attori di mercato, ma sicuramente tutti sono d’accordo sul quadro generale: l’inflazione è la più alta mai sperimentata da decenni. La Fed e la Banca d’Inghilterra hanno agito aumentando i tassi di interesse a breve termine. In Europa, invece, probabilmente un intervento troppo tempestivo rappresenterebbe un passo eccessivo per la BCE, che tuttavia ha avuto un atteggiamento più da “falco” nell’ultima riunione.
Facendo un passo indietro, il grafico sottostante mostra al contempo i valori di inflazione più alti e i tassi di interesse più bassi negli ultimi 25 anni; ovviamente, questi livelli così estremi non possono coesistere. Stiamo vivendo la fine dell’esperimento di politica monetaria avvenuto dopo la crisi finanziaria globale. Attualmente, non sono molti i trader delle banche d’investimento o i gestori patrimoniali che gestiscono portafogli o selezionano fondi, che hanno sperimentato cosa sia l’inflazione. Questo, quindi, richiederà un cambiamento nel modo di pensare e nel posizionamento di portafoglio.
Forse la domanda più importante per gli investitori è: “C’è qualcosa in cui poter investire che sarà in grado di generare un rendimento superiore all’inflazione?”. Anche supponendo che l’inflazione si avvicini al 3%-4% entro la fine dell’anno, visto che alcune delle principali conseguenze legate alla pandemia si attenueranno, non vi sono molti asset in grado di generare rendimenti più elevati. Con l’interruzione del Quantitative Easing, inoltre, molte obbligazioni restano soggette a ulteriori rivalutazioni al ribasso.
È importante sottolineare come le obbligazioni finanziarie subordinate non abbiano mai fatto parte del programma di allentamento quantitativo e, pertanto, non sentiranno la mancanza del venir meno del massiccio piano di acquisti da parte della banca centrale. Gli Additional Tier1 ora rendono più del 5%, mentre l’equity delle banche europee (quelle non esposte alla Russia) rende anche più del 7%. Nel complesso, le banche e le istituzioni finanziarie globali (in particolare quelle europee) racchiudono molto valore al loro interno, potendo beneficiare dell’inflazione e dell’aumento dei tassi di interesse a breve e a lungo termine. Non sono molti i settori che offrono questo tipo di opportunità.
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